Caschi blu dell’informazione
Iniziativa di Alberto Abruzzese, Lucia Annunziata, Giulio Anselmi, Ermanno Bocchino, Sandro Bolchi, padre Pasquale Borgomeo, Giampiero Gamaleri, Marcelle Padovani, Paolo Serventi Longhi, Fausta Speranza, Sergio Zavoli, Franco Zeffirelli
“Caschi Blu dell’Informazione” è un’iniziativa sviluppata da un gruppo di intellettuali e giornalisti ideatori di un manifesto con cui si chiede l’apertura nelle aree di conflitto di adeguati corridoi informativi, che, non meno degli invocati corridoi umanitari, sono elementi fondamentali sulla via della pace.
La proposta si articola nei punti seguenti:
-scrivere una “Carta dell’informazione in tempo di guerra” da portare, per vie diplomatiche, all’attenzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
-creare un “Osservatorio” composto da studiosi e professionisti di indiscusso prestigio che indaghi su ogni episodio di violazione della libertà e completezza dell’informazione sul teatro di guerra.
-istituire un “Tribunale etico internazionale” incaricato di comminare sanzioni morali, denunciando alla pubblica opinione i casi di grave violazione della libertà di stampa e le sempre più sottili forme di censura e di propaganda che con violenze palesi ed occulte vengono esercitate nei confronti dei giornalisti e di tutti gli operatori della comunicazione, compreso Internet.
Tutto è cominciato in un’aula dell’Università LUISS-Guido Carli dove il Prof. Gianpiero Gamaleri svolge il corso di “Teoria e tecniche delle comunicazioni di massa”, così come il Prof. Ermanno Bocchini insegna “diritto dell’informazione”. Incontrandosi e discutendo della guerra in atto, hanno commentato che sarebbero serviti dei corridoi informativi accanto agli auspicati corridoi umanitari. La sensazione che prevaleva era che i Serbi non fossero adeguatamente informati. E’ vero che in un numero considerevole di case, superiore forse alle aspettative, c’erano antenne satellitari in grado di ricevere le trasmissioni, ad esempio, della CNN ma è anche vero che molte esasperazioni nazionalistiche poggiavano sulla disinformazione. Inoltre era anche la frammentarietà e l’insicurezza delle notizie che giungevano fino a noi a convincere che l’informazione non aveva caschi blu a sua difesa. Restava ferma la relativa convinzione che sia più difficile combattere un nemico guardandolo in faccia piuttosto che ignorando la sua identità.
A questo proposito è molto interessante lo studio di Cumins intitolato War and television. Bruce Cumins, studioso americano di prestigio, stabilisce un’equazione precisa: dove c’è televisione non c’è guerra. Presentando un’analisi che spazia dalla Korea al Viet-Nam, dalla guerra del Golfo al travaglio jugoslavo, distingue i conflitti in due categorie: “monitorated wars”, guerre monitorate, e “unmonitorated wars”, guerre non monitorate. Le prime tendono a estinguersi in breve tempo. Le seconde rischiano di diventare endemiche. La tesi di Cumins, nella sua essenzialità, è semplice: fin dai tempi delle trincee è molto più difficile sparare a un nemico quando lo si guarda negli occhi. E la TV, se presente, ti costringe in qualche modo, con il suo occhio elettronico, a guardare in faccia il nemico. Certamente il veleno della propaganda cerca di inquinare anche la fonte televisiva. Da Saddam Hussein a Slobodan Milosevic abbiamo assistito a un uso addomesticato del mezzo e, parallelamente, a una relativa debolezza delle democrazie alimentate ovviamente da un’informazione aperta e spesso anche autocritica. Alla fine, però, dovrebbe esserci sempre un vero vincitore: un’opinione pubblica internazionale sufficientemente informata che sa distinguere.
DIETRO L’INTUIZIONE IL DIRITTO
L’iniziativa è maturata presto sotto il profilo giuridico e ha trovato l’adesione di altri intellettuali, esponenti e studiosi dell’informazione: Alberto Abruzzese, studioso di sociologia della comunicazione; Lucia Annunziata che ha personalmente conosciuto le limitazioni del regime di Milosevic, essendo stata espulsa perché sospettata di non rispettare tutti i diktat imposti ai giornalisti stranieri; Giulio Anselmi, in quel momento direttore dell’ANSA, la maggiore agenzia giornalistica italiana; il regista televisivo Sandro Bolchi e quello cinematografico Franco Zeffirelli; Padre Pasquale Borgomeo, direttore generale della Radio Vaticana che ha, come i servizi di RAI International, trasmissioni rivolte anche ai paesi più direttamente interessati; Paolo Serventi Longhi, segretario della Federazione Nazionale della Stampa Italiana; Sergio Zavoli, scrittore e giornalista sempre attento agli aspetti etici dell’informazione, e poi Marcelle Padovani, presidente dell’Associazione Stampa Estera di Roma, che si è appassionata all’iniziativa tanto da ospitare la conferenza stampa di presentazione, il 29 aprile 1999, e da mettere a disposizione anche in seguito la sede dell’Associazione come trampolino per poter interloquire con i colleghi stranieri.
L’iniziativa, nata dallo scambio di idee tra il Prof. Bocchini e il Prof. Gamaleri, è stata dunque portata avanti con tutti questi protagonisti e altri sostenitori come i giornalisti Enrico Pulcini e chi scrive, che ha curato l’organizzazione e i contatti. L’intuizione iniziale trovava conferma nella premessa giuridica così formulata dal Prof. Bocchini: accanto alla comunità degli Stati, e quindi dei governi e delle istituzioni, c’è una comunità di popoli che deve essere considerata dall’informazione. I popoli sono costituiti dalle persone e l’informazione è diritto primario della persona. Anche quando ci sono regimi che possono non rappresentare adeguatamente o rappresentare in modo distorto la gente, è il popolo ad avere la priorità. E’ su questo che si basa il concetto del diritto-dovere di un’informazione aperta. Va detto che la concezione di corridoi informativi vuole essere un’iniziativa fondamentale verso la pace e che, pertanto, si sottolinea il carattere di reciprocità che il flusso dell’informazione attraverso questi canali deve avere.
IN GUERRA
Per tornare con la mente alla situazione e al clima in cui l’idea maturava, riportiamo anche il seguente comunicato comparso nel sito dei Caschi blu dell’informazione in risposta alla presentazione da parte di Milosevic del Codice di condotta per i corrispondenti stranieri di guerra.
>>CENSURIAMO LA CENSURA>>
Alla tragedia nei Balcani si accompagna la guerra di notizie e propaganda. Il comando militare supremo di Belgrado per la prima volta dalla guerra fredda in un paese d’Europa impone la censura preventiva militare.
Come ben sai, con il titolo di “Codice di condotta per i corrispondenti stranieri in guerra” intende mettere il bavaglio all’informazione. E’ urgente difendere l’unica buona condotta per un giornalista: informarsi e informare.
Alla “tessera di guerra” che Milosevic crede di poter assegnare a suo piacimento rispondiamo chiedendo una Carta dell’informazione con l’avallo dell’ONU che attesti in maniera irrevocabile la responsabilita’ della verita’.
Al “permesso giornalistico” di cui Belgrado crede di poter gestire la scadenza rispondiamo chiedendo un Osservatorio che tuteli in ogni tempo il dovere di un’informazione libera.
Era un momento drammatico in cui il presidente jugoslavo imprimeva l’ennesimo giro di vite. D’altra parte, non mancava la consapevolezza che anche sul fronte delle forze occidentali potevano esserci carenze o distorsioni nell’informazione. A questo proposito va ricordato il dibattito con il quale è stato sottolineato il ruolo dei media come armi di guerra. Qualcuno, parafrasando McLuhan, ha detto: il medium è il massacro, perché spesso l’informazione è stata massacrata essa stessa.
NON SOLO BANDIERA ITALIANA PER I CASCHI BLU
Anche nei mesi successivi alla presentazione dei Caschi blu dell’informazione in molti hanno manifestato di condividere le ragioni di fondo. L’European Institute for the Media, che ha sede a Dusserldolf, ha voluto saperne di più e farne sapere di più ospitando nel Bollettino bimestrale un articolo ampiamente esplicativo. Grazie anche a questa pubblicizzazione in ambito transnazionale, sono piovute al sito dei Caschi blu dell’informazione adesioni dalle più disparate zone, come ad esempio Libano, Egitto, Canada, oltre che da tutta la zona dei Balcani.
Come per tutti i progetti a carattere fortemente ideale e umanitario i passi non possono essere che lenti. Per quanto riguarda la Carta, in ogni caso, c’è stato un vivo impegno anche perché in altre sedi erano maturate idee analoghe, ad esempio a Firenze se ne era parlato in un convegno organizzato il 3 maggio. Sono state fondamentali, poi, altre due tappe dell’autunno 1999. Si tratta dell’incontro-dibattito organizzato a Firenze nell’ambito del Premio Italia, e dedicato al rapporto tra televisione e guerra, e del Primo Forum Nazionale promosso a Gubbio dalla FNSI, la Federazione Nazionale della Stampa Italiana. In questa sede la proposta della Carta ha trovato concretezza in una prima bozza.
I DIECI COMANDAMENTI DELL’INFORMAZIONE
“Il principio della libertà di espressione e, quindi, della libertà di stampa è uno degli elementi di base della vita democratica di ogni paese”: così si legge all’inizio del manifesto con cui ci si è impegnati a elaborare il testo preciso della Carta. La necessità di un documento del genere nasce dalla constatazione che tale principio, pur formalmente riconosciuto, viene frequentemente calpestato. Un’Europa che sta consolidando le comuni casi economiche si deve porre il problema di avere un documento che aiuti a difendere sempre e comunque la libertà di informare e di essere informati. Il rappresentante dell’ONU in Italia, Staffan De Mistura, al Forum di Gubbio ha salutato l’iniziativa con favore, spiegando che manca attualmente una norma riassuntiva dei vari principi in materia di informazione. I casi di repressione, intimidazione e minacce nei confronti dei giornalisti per la loro attività professionale e nei confronti dei media indipendenti sono una realtà da non dimenticare. Nel Manifesto si legge: “la costruzione di uno spazio europeo non può avvenire solo attraverso il rispetto di parametri di bilancio, finanziari, monetari o strategico-militari ma deve tenere conto anche del rispetto di standard comuni di vita democratica”. I promotori della Carta invitano la Commissione e il Parlamento europeo a fare in modo che i paesi membri e quelli che dovessero chiedere l’adesione all’Unione europea accolgano nella propria legislazione dieci principi. Tra questi, oltre all’abolizione di forme di censura e intimidazioni e il rispetto di forme di associazionismo, si prevede tra l’altro:
-fornire un servizio radiotelevisivo pubblico realmente indipendente e altrettanto indipendenti organi di tutela dei servizi radiotelevisivi privati;
-porre il limite di un tetto congruo alle concentrazioni proprietarie;
-favorire la nascita di tipografie e di aziende di distribuzione indipendenti;
-affermare il rispetto del diritto dei giornalisti a tenere segreta la fonte delle loro informazioni;
-favorire con misure idonee l’accesso dei cittadini ai media elettronici e in particolare a Internet.
A richiamare drammaticamente l’attenzione di tutti sulla necessità di mettere nero su bianco alcuni principi ribaditi e difesi in tutta Europa è stata la vicenda dei Balcani. Ma in realtà altre situazioni difficili e più che attuali nel mondo chiedono altrettanto drammaticamente la considerazione di tali principi.
A conferma, se ce ne fosse bisogno, dell’importanza della comunicazione, nel dibattito a Gubbio Staffan De Mistura ha detto in modo provocatorio ma deciso: “non porterò più beni materiali senza avere anche una radio che assicuri informazione”.
STOP ALLE ARMI MA NON ALL’INFORMAZIONE
Guardando ai Balcani ora che il conflitto è concluso, la situazione si presenta niente affatto risolta. Lo ricordano le interessantissime testimonianze dei giornalisti provenienti da Kossovo, Serbia, Montenegro, raccolte dai colleghi italiani che non vogliono dimenticare Serbia e Kossovo solo perché i bombardamenti sono cessati. Tra quanti durante il conflitto sono stati in prima linea nel loro lavoro, a dispetto delle armi, ricordiamo Baton Haxhiu, giornalista di “Koha ditore” del Kosovo; Dusan Masic, direttore del Dipartimento Informazione di Radio B92 della Serbia; Vladan Radosadljivic, direttore del Media Center di Belgrado; Jagoda Vukusic, presidente dell’Associazione Giornalisti Indipendenti della Croazia. Con alcuni di loro si è riusciti a mantenere il contatto anche sotto le bombe, dialogando via internet. Li nominiamo perché ci piace sottolineare che dietro all’informazione ci sono sempre persone. Andrebbero nominati anche quanti sono stati messi in condizione di interrompere il loro lavoro e quanti hanno perso la vita per farlo. Oggi tutti quelli che rilasciano dichiarazioni segnalano mille difficoltà. Purtroppo nelle aree interessate dal conflitto si continuano a registrare episodi di violenza e intolleranza e non si può ancora parlare di pacifica convivenza interetnica. E’ evidente che se ne dovrebbe parlare di più. Si tutela l’informazione anche evitando che dall’evento mediatico si passi al silenzio, ribellandosi all’idea che quando tacciono le armi tacciano anche i media. Il proposito dei Caschi blu dell’informazione è di difendere al comunicazione anche e proprio quando sembra si spengano i riflettori. E per non tacere, la prima informazione da dare dopo il conflitto riguardava la necessità, in quelle zone, di infrastrutture di ogni tipo, compreso quelle per l’informazione. Significava anche computer e mezzi tecnici per radio e Tv distrutte. Per questo la Rai ha messo a disposizione macchinari desueti ma funzionanti e cura da vicino Radio West.
Radio West, che propone trasmissioni nelle varie lingue delle etnie coinvolte, si colloca nella logica di pacificazione che investe in dialogo e confronto. Nel Kossovo non occorre solo assicurare l’ordine e avviare la ricostruzione materiale. Bisogna soprattutto promuovere la ricostruzione delle menti. I ragazzi che sono simili ai nostri, sono stati contagiati dal virus dell’intolleranza etnica. Si accendono come un fiammifero se riprende il sopravvento quella malattia contagiosa che è la lotta razziale. E questa malattia la si può estirpare in un solo modo: con una cultura diversa alimentata dai mezzi con cui i giovani hanno più familiarità. Per questo una radio può essere altrettanto importante, e forse di più, dei blindati, dei fucili mitragliatori, dei posti di blocco. Costruire le menti è stato sempre più importante che costruire le fortezze. La filosofia è chiara: affiancare al contributo militare e assistenziale anche investimenti economici e infrastrutturali che consentano all’area travagliata dal conflitto di riprendere il passo della pacifica convivenza e di avviare il processo che potrà portarla a tutti gli effetti in Europa, disinnescando il rischio di ulteriori focolai di guerra. Se è vero che il principio del Peace-keeping è quello di impegnarsi per evitare ogni forma di conflitto, allora è urgente e importante che i caschi blu dell’informazione si impegnino a portare avanti in tempo di pace le idee maturate nell’emergenza.
DA IDEA NASCE IDEA
L’altra proposta in elaborazione, lanciata dai Caschi blu dell’informazione, è quella di un Osservatorio permanente dei media per monitorare sempre e ovunque la realtà dell’informazione in modo scientifico e professionale. Esiste già da due anni, con sede a Firenze, l’Osservatorio internazionale sulla libertà di informazione, promosso da alcune associazioni indipendenti e sostenuto tra gli altri dalla FNSI. Ma solo conoscendo e comprendendo quanto accade sempre e normalmente, e non solo nei casi di violazioni palesi di diritti, si può lavorare per tutelare una corretta e sana informazione. A questo proposito va detto che si sta formando un team di lavoro legato all’associazione internazionale Planet che, in un seminario tenutosi a Genova il 29 ottobre 1999, ha chiamato a raccolta tutti i gruppi o gli organismi interessati a creare un punto di osservazione dei media. A sollecitare lo studio e l’analisi del funzionamento dei media non solo le guerre ma anche, ad esempio, il
ruolo che in Italia e in altre parti del mondo ha svolto e sta svolgendo il sistema dei media nei processi di trasformazione e di ristrutturazione della politica. Esistono in Italia varie iniziative che segnalano una crescente attenzione al sistema dei media sia in ambito universitario, sia nel campo dell’associazionismo e delle organizzazioni non governative. Sembra si stia diffondendo davvero la percezione che il nostro prossimo futuro sarà sempre più condizionato dai mezzi di informazione e comunicazione e che si stia gradualmente affermando l’esigenza di intervenire in un settore così delicato e strategico. Resta da dire che il Forum nazionale di Gubbio è stata un’occasione particolare
per i giornalisti italiani perché per la prima volta si sono ritrovati i rappresentanti di tutte le realtà dell’informazione a confronto insieme. Ma si deve aggiungere che, oltre ai personaggi già citati, hanno partecipato anche docenti universitari di mass media, giornalisti stranieri del calibro di Daniel Williams del Washington Post o con un ruolo trasversale come Bettina Peters, vicesegretario generale dell’Ifj, il sindacato internazionale dei giornalisti. La ricchezza di un dibattito sostenuto a questo livello e soprattutto varcando i confini nazionali ci fa pensare che i Caschi blu dell’informazione abbiano ragione di esistere anche come Caschi blu della comunicazione. Ogni guerra produce un’accelerazione sul piano tecnologico. Vogliamo credere che la guerra del Kossovo possa aver provocato anche un’accelerazione sul piano della consapevolezza dell’importanza dell’informazione e della comunicazione. Senz’altro ci ha chiamato a riflettere in modo particolare sul fatto che le prime vittime dei conflitti sono i diritti umani e le notizie e che l’humus più fecondo per le guerre è proprio la disinformazione. E’ triste trarre insegnamenti dalla drammatica realtà delle armi che, seppure moderne e sofisticate, restano strumenti di morte. Ma a questo proposito è doveroso sottolineare che sarebbe molto più avvilente pensare che il dramma si è compiuto, che tanti convegni sono stati fatti ma che non siamo in grado di trattenere insegnamenti utili per il futuro. In questo senso, primo dovere dei Caschi blu dell’informazione è tenere aperto il dibattito, lo scambio di idee, di propositi e di esperienze. L’invito è per tutti attraverso il sito già citato. La convinzione di fondo è sempre la stessa: la comunicazione può rappresentare in ogni situazione una preziosa occasione di crescita delle persone e del livello di umanità dei loro interscambi e rapporti.
Testo dell’intervento in inglese:
CASCHI BLU DELL’INFORMAZIONE: A TASK FORCE OF INFORMATION KEEPERS
Ensuring information in the world could contribute in a substantial way to rebuild or to mantain the peace. Often the weapons are misunderstanding, no knowledge, censorship, propaganda too. That´s why it sprung up the idea to have „I Caschi blu dell´informazione“, „a task force of informationkeepers“.
The idea was from a group of opinion leaders and journalists (Alberto Abruzzese, Lucia Annunziata, Giulio Anselmi, Bocchini, Bolchi, P.Borgomeo, Giampiero Gamaleri, Marcelle Padovani, Pulcini, Serventi-Longhi, Fausta Speranza, Sergio Zavoli, Franco Zeffirelli).
It was presented in Rome on may 1999 at the side of Foreign Press Association that joined the iniziative. The aim is to arrive in every conflict area (and in the world there are so many running tragedies) as a task force for humanitarian help, to defence information in that area and to open a channel to ensure exchange of news in every way.
The theorical idea needs realising in a concrete way so the hour is struck to launch a project. First of all „I Caschi blu dell´informazione“ tried to put themselves in contact with other promoters of similar projects, first of all in Italy. They discovered „The Mega chip“ project by Planet (an indipendent association for cultural exchange in the world) and Formin (a Forum of humanitarian and volontary organizations as Amnesty International Italia).
Their aim is to create a global Observatory for the Media to monitorate what is happening. It could be the first step.
A meeting is organised in September, exactly few days before the Third ONU Assembly for population, to present the iniziative in a so high side.
In the same time „I Caschi blu dell´informazione“ presented the idea to the European Institute for the Media, the core of communication studies in Europe. For the high professional standard of the Institute „I Caschi blu dell´informazione“ are sure that the project could soundly go on, if it is worth, in the best way.