Testo dell’intervento di Fausta Speranza al convegno il 13 luglio 2001 a Genova
Parliamo di Internet non in quanto strumento o mezzo mediatico ma, piuttosto, come metafora della comunicazione di oggi. La rete, infatti, è sinonimo di simultaneità, velocità, annullamento o restringimento dello  spazio e del tempo. Inoltre, si può guardare all’informazione non solo come comunicazione di dati giornalistici ma come trasmissione in tempo reale di quei dati.  In questo modo riflettiamo sul concetto di globalizzazione dal punto di vista dei sistemi informativi e cioè intendendo per globalizzazione la copertura globale dell’informazione.
A questo proposito possiamo affermare, un po’ provocatoriamente, che non è tutto globale quel che connette. Internet è certamente il mezzo che ha bruciato più tappe nella storia delle tecnologie. Il telefono per raggiungere il 30% della popolazione mondiale ha impiegato trentotto anni, la TV  diciassette, il pc tredici, mentre Internet lo ha fatto in soli sette anni. La rete ha realmente cambiato il concetto di distanza e di tempo e ha allargato lo sguardo sul mondo. Non si può dimenticare, però, che il pianeta rimane diviso tra ricchi e poveri, istruiti e non istruiti, tra informatizzati e non informatizzati.  Se pensiamo che un computer costa in Bangladesh una cifra pari ad otto anni di stipendio medio mentre negli Stati Uniti si acquista con lo stipendio medio di un mese, ci rendiamo conto che la possibilità di accesso alla rete non è un fenomeno che si può definire globale.  In Malawi ci vogliono circa vent’anni di lavoro per comprare un pc e in Sierra Leone si dovrebbe approssimativamente parlare di centoventi anni.  Si potrebbe continuare non tralasciando alcuni luoghi dell’Africa dove ancora esiste il baratto e i calcoli diventerebbero impossibili.    Non meraviglia, inoltre, che  l’88% degli utenti di Internet viva nei paesi industrializzati che racchiudono, però, soltanto il 17% della popolazione del pianeta.  Colpisce che l’Asia del Sud, nella quale risiede il 23% della popolazione  mondiale, abbia circa l’1% di navigatori digitali.
Possiamo affermare che Internet, fedele al suo nome World Wide Web, è una rete ad estensione globale che connette prodigiosamente le persone di tutto il mondo ma dobbiamo aggiungere che collega chi è connesso. Gli altri sono esclusi. Il tempo si contrae, lo spazio si restringe, le frontiere scompaiono, però rischiamo di affidarci ad una conversazione dai toni alti che esclude i molti che non hanno voce. Può trattarsi di una comunicazione che non lascia spazi per inserirsi perché compattata come accade nell’ambito degli scambi digitali di dati.
Un’altra riflessione che può essere utile riguarda la lingua inglese: viene utilizzata nell’80%  dei  due miliardi e mezzo di siti web registrati al mondo fino ad oggi, eppure meno di una persona su dieci la parla.   Sono dati riportati dal Rapporto mondiale sulla popolazione pubblicato ogni anno dall’ONU. Si riferiscono al Rapporto del 2000 e forse qualche cifra nell’aggiornamento cambierebbe, ma senza alterare la fotografia della situazione.
A questo punto va chiarito che non si intende demonizzare il processo di globalizzazione dei sistemi informativi che piuttosto rappresenta la chiave di accesso al Terzo Millennio. Si deve tenere presente, però, che questa magia rende ancora più esclusi gli esclusi. Vale la pena di ricordare che all’inizio del secolo scorso la proporzione tra ricchi e poveri era indicata con la cifra di 8 a 1, oggi viene indicata come 75 a 1.  La fiducia che sembrava si potesse riporre nell’effetto “vasi comunicanti” che, prodotto dalla globalizzazione, sarebbe stato in grado di livellare le condizioni sociali della popolazione mondiale, si è rivelata una illusione.  Ormai siamo in grado di valutare che, se la copertura globale dell’informazione, come altre forme di globalizzazione, non viene gestita, non arriva affatto a ricoprire il mondo abitato. Su questo si sono espresse personalità molto autorevoli come il Presidente della Commissione Europea, Romano Prodi, il Segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, e il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi. Ritengo, in ogni caso, che i dati numerici siano utili alla riflessione e se finora abbiamo parlato di esclusione per ciò che concerne i paesi poveri, ora vale la pena di dare uno sguardo all’Italia.  Più di un italiano su quattro risulta conquistato da Internet. Nel 1999 gli utenti erano circa sei milioni e solo due anni più tardi sono arrivati ad essere undici milioni, pari al 23,4% della popolazione. Siamo, con questo dato, vicini alla Francia (25%), più lontani dall’Inghilterra (34%) e ben distanti dalla Svezia (69%).  Possiamo comunque vantare una posizione dignitosa.  Ma se facciamo l’identikit di questo 23,4 % di popolazione italiana scopriamo che il 99,5% ha un’età inferiore ai 40 anni, è maschio, vive al Nord ed ha un reddito medio-alto.
In ogni caso, non dobbiamo parlare solo di esclusione, perchè perderemmo di vista altri aspetti significativi sui quali rimanere vigili. Ragioniamo su questo:  i vari mass media stanno convergendo in Internet. Si guarda felicemente alla rete come ad una fonte globale: ci ritroviamo connessi con le principali biblioteche e con web cam in tutto il mondo e il prodigio è reale, ma c’è sempre l’altro aspetto delle “magnifiche sorti e progressive” della civiltà, delle quali ci parlava Leopardi. Siamo collegati con le biblioteche del mondo ma il nostro mass media diventa uno solo. C’è il rischio di assottigliamento delle fonti.  I vari mezzi di comunicazione, infatti,  stanno convergendo in Internet. Si parla del famoso medium totale che raccoglie intorno al web, radio, TV e telefono oltre che la scrittura e il pc. Collegati con tutto il mondo, dunque, potremmo usufruire di un solo medium totale e delle fonti di informazione da lui veicolate. Non è un processo negativo di per sè ma uno sviluppo da capire. Stiamo già vedendo oggi come la conversione di molti gruppi editoriali e centri di informazione abbia creato una concentrazione di potere che non ha nulla a che vedere con la pluralità delle fonti che ci si aspettava da uno strumento globale come Internet.
Parlando da giornalista, inoltre, sottolineo che la grande velocità dei nuovi mezzi di comunicazione, la cosiddetta “notizia in tempo sempre più reale”  apre una problematica enorme: la verificabilità delle fonti. Non c’è il tempo necessario per il controllo delle notizie che pubblichiamo  perché siamo costretti ad inseguire a livelli estremi l’attualizzazione. In questo modo la notizia si coriandolizza. Abbiamo sempre l’ultimo aggiornamento e nelle redazioni è forte la tentazione di dare sempre l’ultimo dettaglio ma si dimentica sempre di più di ricostruire l’antefatto. Mi chiedo quanti possano realmente capire il continuum di una notizia, che non riguardi un fatto di cronaca che viene spesso morbosamente riproposto in tutti i suoi dettagli.
Mi sembra che il rischio paradossale sia la difficoltà di possedere e gestire le informazioni a fronte delle nuove illimitate possibilità che abbiamo di essere raggiunti dalle notizie. L’autorevole massmediologo canadese Derrick De Kerckhove afferma che i mass media deformano la nostra psiche perché sono un’estensione del pensiero, una specie di arto-fantasma mai abbastanza integrato al corpo e alla mente. Ci ricorda che anche di fronte ad Internet dobbiamo cercare di tutelare  la connessione tra l’estensione dei nostri sensi, la mente e il corpo. Si tratta di essere in grado di gestire ciò di cui stiamo usufruendo  e certamente non di rinnegarlo.   Accenniamo soltanto al problema della extraterritorialità di Internet che si pone come zona franca che sfugge alle normative territoriali. Un eventuale controllo su fenomeni come la pedofilia, che ha tristemente trovato nella rete  un utilissimo strumento di promozione, deve fare i conti con accordi internazionali finora impensabili perché da riferire ad un ambito virtuale e non a confini geografici. Non può mancare uno sforzo di inventiva per aggiornare, in questo caso, gli aspetti legislativi di battaglie a crimini di vecchia data. E il punto è sempre quello: capire e gestire fenomeni in fieri che accanto a grandissime potenzialità  presentano forti rischi.
Anche per sottolineare le non scontate potenzialità, propongo due esempi di dati, questa volta  di natura decisamente positiva. Il primo riguarda la Russia: nascono ogni giorno cinque nuovi siti web dedicati all’informazione,  tuttora risalgono in tutto a circa 4000 ed è certamente una vittoria della libertà di informazione.  Gleb Plavonsky, sociologo dissidente ora consigliere di Putin, ha detto che Internet rappresenta l’occasione unica e la vera speranza di riequilibrio dell’informazione, essenziale per pluralismo e democrazia.   Il secondo esempio ci porta in Spagna, precisamente in Andalusia, in  un paesino vicino a Granada dove hanno avviato un sistema di teledemocrazia. Ricordiamo che la zona ha il reddito più basso di tutta la Spagna. Il Consiglio comunale è connesso ad Internet e dopo il dibattito, durante la pausa telematica,  si chiede alla popolazione di esprimere la propria opinione sulle proposte. Solo più tardi si vota. Anche qui, certamente, è fondamentale la differenza tra chi è connesso e chi no. Ma la vincente positività del caso è riposta nelle scelte fatte in fase progettuale. Prima di avviare il sistema di teledemocrazia, infatti, nel 1999, lo Stato ha provveduto alla distribuzione di un computer per ogni abitante e all’istituzione di corsi di aggiornamento anche per i cittadini più anziani. In tema di esclusione, d’altra parte, gioca un ruolo fondamentale  la scelta di un percorso formativo per quanti ancora non hanno acquisito gli strumenti per “navigare”.  Un percorso formativo che deve passare attraverso la diffusione dei pc, ma soprattutto attraverso una scolarizzazione dell’informatica, anche per chi per andare a scuola non ha più l’età.
In definitiva, anche per quanto riguarda i media e i sistemi informativi,  la globalizzazione è un fenomeno ineluttabile che non va nè ostacolato nè osteggiato ma neanche subito. Piuttosto, va governato, che non significa censurato ma, piuttosto,  progettato, promosso e tutelato. Non può essere abbandonato a se stesso.

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