Cipro, anche qui il dramma dei migranti

Dalla Siria e da altri Paesi del Medio Oriente arrivano a Cipro i “clandestini”. E finiscono anche loro nella trappola dell’isola divisa.

di Fausta Speranza

Gli articoli del dossier

Cipro, la partita del gas naturale
Cipro, il Paese islamico che non esiste
Cipro, la cultura non si arrende
Cipro, anche qui il dramma dei migranti

cipro9Sami Ozuslu, direttore e editorialista del Turkish Cypriot Daily (foto F. Speranza).

Sbarcare sulle coste di Cipro è relativamente facile per tutti i disperati che fuggono dalla tragedia in Siria o dalla fame e da altre guerre in Medio Oriente e Africa. Nessuno sa quanti siano. E sembra che nessuno sappia quanti dal Nord passano al Sud per essere poi rigettati indietro e viceversa. Accetta di accennare alla questione immigrazione nella Repubblica di Cipro del Nord, il giornalista Sami Ozuslu, direttore e editorialista del Turkish Cypriot Daily, che coordina anche il Kanal SimTvRadio, una sorta di consorzio di media. Ozuslu ci chiarisce subito: “Potete parlare di rifugiati solo al Sud, perchè sono tali se sono riconosciuti da uno Stato, ma al Nord lo Stato non esiste e, dunque, non possono esistere neanche i rifugiati”. Ci racconta qualcosa che lo colpisce e che colpisce moltissimo anche noi:  “Tanti dei profughi, specialmente siriani, quando arrivano non sanno che Cipro è divisa”.

Tra gli aspetti più noti del problema,  l’immigrazione illegale che passa dal Nord al Sud europeo, alimentando un certo traffico della prostituzione. Alle donne cui va bene, lavorano come babysitter. Gli uomini in questi anni hanno lavorato nelle costruzioni, ma il problema è che c’è stato un brusco arresto al Sud e un forte rallentamento al Nord. Dal 2003 si erano moltiplicati i pendolari: gente che la mattina dal Nord passava il Muro e andava a lavorare al Sud dove i salari sono decisamente più alti. Almeno 60.000 persone. Ma anche questo fenomeno è stato drasticamente ridimensionato dalla crisi. C’è da dire che al Nord i salari, oltre che bassi rispetto al Sud, sono caratterizzati da una netta differenza tra settore pubblico e privato, che paga molto meno. A parità di professione e anzianità, per lo stesso lavoro, se nel privato si arriva a un salario equivalente a 700 euro, nel pubblico si possono raggiungere i 2000 euro. A ben guardare, in salari pubblici se ne va il 70% del budget di Cipro del Nord, che ammonta all’equivalente di 5 milioni di euro l’anno. Un dato che ci ricorda, fatti i debiti distinguo, la madre patria del Sud, la Grecia con la sua elefantiaca amministrazione.

Da Famiglia Cristiana del 6 febbraio 2015

Cipro, la cultura che non si arrende

Da un lato e dall’altro del Muro, gli uomini di cultura non si arrendono alla divisione dell’isola. di Fausta Speranza

Gli articoli del dossier

Cipro, la partita del gas naturale
Cipro, il Paese islamico che non esiste
Cipro, la cultura non si arrende
Cipro, anche qui il dramma dei migranti

cipro7Ahmet Sozen, capo del Dipartimento per le relazioni internazionali e Direttore del Cyprus Policy Centre (foto F. Speranza)

Si chiama Joint Teacher Commission: è il progetto che professori turco-ciprioti e colleghi greco-ciprioti  stanno cercando di portare avanti, nonostante l’indifferenza della politica. Il progetto cresce all’Università internazionale del Mediterraneo orientale, che si trova a Famagosta, nel Nord di Cipro. Vale sempre la regola che al momento gli insegnanti si incontrano a titolo strettamente personale perchè i professori del Nord per il mondo non esistono. Esiste il progetto: una Commissione per portare avanti “un dialogo a livello di società civile parallelo a quello dei negoziati, che passi attraverso l’educazione delle nuove generazioni”. Così ci spiega Ahmet Sozen, capo del Dipartimento per le relazioni internazionali e Direttore del Cyprus Policy Centre.

Ci racconta di aver partecipato, in una sorta di ruolo di consulenza, alla fase di riavvio dei negoziati a inizio anno e ci assicura che “in sei mesi è stata scritta una pagina, prima dell’ennesima sospensione”. Si dice certo che sul piano negoziale, a parte la mancanza di volontà delle parti, nulla può accadere prima di un anno, cioè prima dell’inizio del mandato del presidente che uscirà dalle elezioni di primavera. Anche per questo afferma che “la società civile deve muoversi in parallelo e il mondo della cultura lo sta facendo”.

Passiamo il Muro e andiamo all’Università di Cipro.  Incontriamo Nigazi kizilyurek. che insegna materie umanistiche. Gli chiediamo se è vero che la cooperazione tra università si sta facendo più stretta e lui, con un sorriso, ci chiede: “Basta dire che io sono turco-cipriota e insegno al Sud?”. Kizilyurek in realtà ha nazionalità greco-cipriota, ma ci sembra di aver capito il senso delle sue parole. Anche meglio quando aggiunge: “Il conflitto non è etnico, né religioso, dalle ultime rilevazioni di uno studio, fatto da ricercatori del Nord e del Sud, emerge che il 65% di tutti i ciprioti non vuole il conflitto e voterebbe per una qualche riunificazione”.

cipro8Lo stadio turco-cipriota di Nicosia (foto F. Speranza)

A ben guardare dallo studio emerge che al Nord in maggioranza vorrebbero una federazione, mentre al Sud la maggioranza è per una confederazione di due Stati dstinti. Ma la volontà comune di una svolta è indubbia. Per capire il valore rivoluzionario di tutti questi progetti, che sembrano all’ordine del giorno per qualunque territorio, può essere utile ricordare che in quella che per il mondo è l’unica Repubblica di Cipro, al Sud, i giovani possono viaggiare e godere per esempio degli scambi Erasmus; nella parte Nord, invece, i giovani per lasciare la Turchia, unico Paese in cui possono arrivare in aereo, devono aver acquisito un passaporto turco, la loro carta di identità turco-cipriota non ha valore.

Incontrando proprio ragazzi e studenti, oltre che commercianti, si percepisce che la società civile sta aspettando seriamente la risposta sui progetti dai leader politici seriamente interpellati. Qualcuno ci ricorda che nei mesi scorsi, nonostante tante perplessità sollevate da politici, la squadra di calcio della Repubblica di Cipro si è recata a giocare nello stadio a Nord con la squadra turco-cipriota. Un altro forte segnale dalla società civile.

Da Famiglia Cristiana del 6 febbraio 2015

 

 

 

 

Cipro, il paese islamico che non esiste

Nel ricordo di Ataturk, a Cipro del Nord si è sviluppata una Repubblica islamica moderata che nessuno riconosce.                        di Fausta Speranza

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Cipro, la partita del gas naturale
Cipro, il Paese islamico che non esiste
Cipro, la cultura non si arrende
Cipro, anche qui il dramma dei migranti

cipro4Statua di Ataturk al palazzo presidenziale (foto di F. Speranza)

Cinque minuti di silenzio per qualsiasi attività a Cipro del Nord, compreso gli inservienti dell’hotel internazionale a 5 stelle. E’ l’appuntamento fisso a Leskosa nei giorni di anniversario del leader della Turchia che ne ha fatto a inizio secolo scorso il paese musulmano più laico: Ataturk. Oggi che la Turchia con Erdogan, che ad agosto dopo essere stato premier è diventato presidente, vira sempre di più sull’onda del suo partito islamico, con ostentato orgoglio nella Repubblica di Cipro Nord ti sbandierano il volto di Ataturk con sempre maggiore convinzione, sottolineando a tutti i livelli la resistenza dei turco-ciprioti ad ogni islamizzazione della vita politica e sociale.

Trovare una donna velata per strada è davvero un’eccezione e scopri che non e’ cipriota. Una convinzione e un impegno di resistenza laica espressi da un paese musulmano sunnita che nelle cartine geografiche non esiste. Non trova eco nel mondo neanche la preoccupazione espressa per i tanti “coloni”, o con termine internazionale “settler” turchi che continuano ad arrivare nella repubblica che adotta, gioco forza, la lira di Ankara.

cipro5Emine Colak, presidente della Ong Human Rights Foundation (foto di F. Speranza)

Emine Colak è la presidente della Ong Human Rights Foundation, nata dopo il fallimento del piano Annan. FOTO. Ci riceve nel suo studio di avvocato e ci spiega che l’Ong vuole ricordare al mondo l’esistenza dei turco-ciprioti ma vuole anche contribuire a migliorare la situazione interna. Ci dice: “I coloni turchi negli ultimi anni portano soldi soprattutto per costruire moschee e questo preoccupa noi ciprioti”. Poi spiega che, oltre a quelli ricchi, ci sono turchi poveri provenienti dal sud della Turchia che rappresentano l’emergenza del momento perchè creano attriti con la popolazione locale per la rigidezza dei loro costumi islamici. Tutto cio’ colpisce in modo particolare considerando la storia di Cipro, fatta di battaglie feroci tra musulmani e governatori prima genovesi e poi veneziani.

cipro6La Cattedrale gotica di Famagosta, oggi Moschea (foto di F. Speranza)

Ne rende memoria la citta’ di Famagosta, a nord est, su territorio turco-cipriota, con la sua Cattedrale di San Nicola trasformata in Moschea, peraltro senza nessun intervento architettonico ma solo con l’aggiunta di arredi all’interno. FOTO cattedrale. Ma al sud e’ accaduto il contrario: Moschee trasformate in chiese. Scoprire una cosi’ forte battaglia per una sana laicita’ a Cipro Nord fa pensare che dovrebbe trovare supporto internazionale e non indifferenza.

Colak ci parla poi con orgoglio delle battaglie della sua Ong per il miglioramento della situazione dei diritti umani e ci ricorda che dal 28 gennaio 2014 l’omosessualità non è più un reato. Per quanto riguarda la libertà di espressione, non è l’unica ad assicurare che i turco-ciprioti ne hanno più di quanta sia riconosciuta in Turchia. Anche lei, come altri, lascia intendere che si spera in ulteriori cambiamenti dopo le prossime elezioni presidenziali ad aprile 2015. In campagna elettorale, sono solo proclami. I partiti sono quattro. Le differenze si possono giocare proprio sul livello di distanza imposta alla Turchia, ma il margine resta ristretto.

Tutti i partiti invece hanno l’adesione all’Ue nel loro programma, anche se l’avvocato ammette che nel paese c’è meno entusiasmo per l’Ue, dopo la grossa crisi economica che ha colpito la Grecia e Cipro di conseguenza. La crisi mondiale non ha risparmiato la Turchia e la parte turca di Cipro, ma molto meno di quanto abbia segnato lo Stato Ue, le cui banche, fortemente legate a quelle greche, le hanno seguite nel collasso. Anche a Cipro colpisce il numero di istituti chiusi.

Sul piano economico, c’è una battaglia che la Repubblica di Cipro, membro Ue, sta facendo per il riconoscimento del marchio Doc per il famoso formaggio greco Halloumi. Il punto è che, passando il Muro e andando al nord di Cipro, riconosciuta solo dalla Turchia, si trova esattamente lo stesso prodotto caseario con il nome, tradizionale per i turco-ciprioti, di Hellim. Oltre il 16% della popolazione nel Nord è legata alla produzione o distribuzione di questo formaggio e il 24% dei prodotti esportati è rappresentato proprio dall’Hellim. Il marchio Doc solo per l’Halloumi significherebbe un danno economico per il Nord, ma si capisce che rappresenterebbe qualcosa di più: l’ennesimo rifiuto di considerazione del mondo per un popolo che da 40 anni paga l’invasione turca e che oggi si batte per resistere alla svolta islamica.

Da Famiglia Cristiana del 6 febbraio 2015

 

 

 

 

Cipro, la partita del gas naturale

Usa, Turchia, Russia: tutti interessati ai giacimenti scoperti in mare. Una partita a scacchi di livello mondiale. di Fausta Speranza

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Cipro, la partita del gas naturale
Cipro, il Paese islamico che non esiste
Cipro, la cultura non si arrende
Cipro, anche qui il dramma dei migranti

cipro3Le bandiere greco-cipriota e turco-cipriota lungo il Muro (foto F. Speranza)

Il Muro di Nicosia fa ombra da sempre a interessi geopolitici che lo tengono su, ma mai come nel 2014, a 40 anni dalla divisione, la partita è stata così complessa e aperta ad una svolta: favorevole alla riunificazione o drammatica.  L’elemento nuovo entrato in campo è di quelli prorompenti: le risorse energetiche, difficilmente foriere in genere di pacificazione. Si tratta di un giacimento di gas naturale individuato nelle acque a sud-est, nell’area tra Cipro e Israele. Il gas non è stato ancora liberato, ma la sola individuazione ha provocato un’esplosione di dinamiche geopolitiche. Come se non bastassero le implicazioni internazionali già proprie di tutto il Medio Oriente. Tra Cipro e Israele ci sono solo 400 km di mare, tra Cipro e il Libano 100 km, poco di più tra l’isola e la Siria.

L’area in mare che nasconde gas naturale si trova nelle acque riconosciute dal diritto marittimo internazionale alla Repubblica di Cipro, che ha avviato le ricognizioni. A settembre, per suo conto, hanno cominciato a lavorare sul posto l’Eni e la sudcoreana Kogas, con l’impegno di costruire 4 pozzi in un anno. Qualche mese prima era arrivato in missione riconciliante sull’isola l’inviato Usa Biden, dimostrando un inusuale interesse per la questione cipriota da parte degli Stati Uniti così drammaticamente coinvolti nell’incubo della vicina Siria o nel caos del non lontano Egitto. Alla missione Usa, si era accompagnata, a inizio anno, una Dichiarazione congiunta di Nicosia, termine usato dai greci per la capitale, e Lefkosa, termine turco per la stessa capitale. Le due parti si impegnavano in passi concreti su punti nodali. Ma, dopo l’inizio dei lavori, nell’area interessata si sono materializzate navi turche ufficialmente impegnate in attività esplorative sul carattere sismico del territorio. Molto poco ufficiosamente, le autorità turche e quelle turco-cipriote rivendicano per Lefkosa i proventi delle risorse energetiche, sostenendo che appartengono agli abitanti dell’intera isola, in via di riconciliazione. La partita si è complicata e non sono bastati i solleciti ammonimenti del Consiglio Europeo ad Ankara perché resti fuori di acque territoriali appartenenti ad uno Stato membro Ue.  Il risultato è stato un congelamento del negoziato ai primi di ottobre. Il presidente greco-cipriota Anastasias ha abbandonato il tavolo.

Abbiamo incontrato entrambi i negoziatori: il turco-cipriota, Ergun Olgun, ci spiega che  “Anastasias cercava solo un espediente per sospendere”, ammettendo però che “troppi paesi stanno effettuando esercitazioni militari e altre attività a Cipro”. Sulla proprietà del gas, ci spiega la rivendicazione di Lefkosa affermando che “le due comunità sono separate ma nella stessa casa e non hanno divorziato: le proprietà sono comuni”. Un’opinione condivisa solo dalla Turchia. Il greco-cipriota, Andreas D. Mavroyiannis, ci riceve con la stessa cordialità e gentilezza, ma sottolineando subito: “Io non rappresento nei negoziati il governo ma la comunità greco-cipriota”. La sottolineatura ci colpisce. La teniamo a mente anche quando dichiara: “I negoziati vanno fatti  per il futuro comune, non per interessi di altri”. Un’opinione è condivisa: il gas potrebbe rappresentare una benedizione o una maledizione. Una benedizione, se porta soldi ai ciprioti. Una maledizione, se alza la posta della partita giocata da altri sull’isola. Difficile essere ottimisti.

Dal 2003, il processo negoziale per una riunificazione dell’isola di Cipro, con stop and go, è sostanzialmente sempre proseguito sulla traccia della proposta Onu: una Federazione di due Stati. La bozza di accordo proposta dall’allora segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, nel 2004, al momento dell’ingresso della Repubblica riconosciuta nell’Ue, è stata approvata da referendum dalla parte turco-cipriota ma bocciata proprio dal nuovo Stato greco-cipriota dell’Ue. Da allora è rimpallo di responsabilità e disputa su varie questioni. Il negoziato non ha fatto passi avanti sostanziali. Si è solo complicata la questione delle proprietà abbandonate o confiscate rispettivamente da esponenti delle due comunità sui due territori. Dopo 40 anni non è più pensabile la restituzione dei beni immobili e la differente evoluzione delle due parti complica ogni meccanismo di risarcimento o compensazione, che dir si voglia. C’è il pronunciamento del Consiglio d’Europa sui risarcimenti dovuti a cittadini greco-ciprioti cacciati dal Nord, ma si tratta di cause a livello individuale, come è nel costume dell’organismo a 47 paesi.  Ma ci sono cause a livello collettivo di turco-ciprioti che non trovano istanza a Strasburgo. Non è questione semplicissima ma il problema vero per cui Cipro non trova pace non è nel capitolo proprietà. E’ il capitolo sicurezza dell’area quello davvero incriminato. E i ciprioti hanno davvero debole voce al proposito.

Nicosia è l’unica capitale rimasta al mondo divisa in due. Il Muro in alcuni punti è stato costruito apposta in cemento ma non troppo alto; in altri punti coincide con belle mura antiche; in altri ancora è un posticcio filo spinato che lascia intravedere da entrambi le parti le case e gli abitanti. Oltre la capitale, la linea divisoria, con distanziati check point, segna la lunghezza di 180 km di frontiera a tre quarti di isola. Lo fa in in base a un armistizio, che da subito ha servito  logiche di piani geopolitici ben al di fuori dell’isola del Mediterraneo orientale e ben al di sopra delle teste dei cittadini che su tutto il territorio sono poco più di un milione di persone. Circa 800.000 sono i greco-ciprioti. Circa 300.000 sono i turco-ciprioti, cioè meno della comunità turca-cipriota che vive a Londra, che sfiora i 360.000. Questo dato fa pensare ad una artificiosità che si dovrebbe poter facilmente sanare. Ma non è così.

Da Famiglia Cristiana del 6 febbraio 2015