Wifi più che cibo e coperte

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PAURA E SPERANZA: IN

UNGHERIA TRA I PROFUGHI

Gli articoli del dossier

– Orban e gli ungheresi “traditi dalla storia”
– Il braccio di ferro tra Orban e la UE
– Anche nei Balcani, Italia in prima linea
– Wifi più che cibo e coperte

Siamo al punto di svolta dove i profughi sanno che se salgono su uno degli autobus che vedono in lontananza saranno in Europa davvero. di Fausta Speranza

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Il bambino siriano in cerca di una connessione internet per poter comunicare con i parenti e amici, anche loro profughi (foto F. Speranza).

Un bambino un po’ paffuto vede il microfono e ci corre incontro strillando: “www”. Il papà lo richiama e ci spiega: “Sono giorni – dice – che non facciamo che parlare della necessità di connessione digitale per tornare in contatto con familiari rimasti indietro o in viaggio su un’altra rotta; abbiamo bisogno come il pane di google map per orientarci”. Per questo il bambino, appena ha visto qualcuno diverso entrare nel campo, ha chiesto la world wide web. Il papa’ lo sgrida e lui ne resta contrariato. Ma poi ci sorride e, non soddisfatto, chiede: “Internet, Internet”. Raccontiamo l’episodio a esponenti della Croce Rossa che ammettono:  è la prima crisi in cui ci sentiamo chiedere wifi più che cibo e coperte. La cosa all’inizio ci ha sorpreso  ma poi abbiamo capito e abbiamo impiegato dei fondi per pagare le aziende perchè offrissero connessione gratuita nelle zone interessate.

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Mohamed Abdel Natal dell’UNHCR (foto F. Speranza).
Mohamed Abdel Natal dell’UNHCR, organismo Onu per i rifugiati, ci spiega che Internet è stato utile anche per un tam tam di notizie tra i profughi. Per esempio, l’indicazione di non fidarsi di chi, dopo l’istallazione del filo spinato, ha chiesto soldi ad alcuni profughi accompagnandoli in punti dove gli stessi organizzatori truffatori tagliavano con le cesoie il filo spinato, invitando a proseguire il cammino. E’ passato così in Ungheria il maggior numero delle centinaia di persone che si sono ritrovate in carcere dopo l’entrata in vigore della nuova legge che prevede tre anni di galera per gli illegali.
da Famiglia Cristiana del 29 settembre 2015

Il braccio di ferro tra Orban e la UE

PAURA E SPERANZA: IN UNGHERIA TRA I PROFUGHI

Gli articoli del dossier

– Orban e gli ungheresi “traditi dalla storia”
– Il braccio di ferro tra Orban e la UE
– Anche nei Balcani, Italia in prima linea
– Wifi più che cibo e coperte

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Aniko Bakoni, del Comitato di Helsinki (foto F. Speranza).

Solo uomini e soli: niente rende meglio l’idea della politica del governo di centro-destra ungherese, nei confronti della questione migrazioni, quanto le immagini scelte dalla Tv di Stato: solo giovani senza vulnerabilità apparenti. Non compaiono famiglie. Ce lo fa notare Aniko Bakoni del Comitato di Helsinki, che non ha dubbi: “Alla barriera fisica che Budapest oppone, fatta di filo spinato e difesa di soldati, si accompagna il muro della comunicazione e quello legale”.
Solo nel week end abbiamo incontrato nei punti nevralgici di arrivo e espulsione verso l’Austria 10.000 persone  e di queste almeno il 25% erano donne e bambini. Ma in Tv non si vedono. C’è poi un altro elemento chiave: anche nelle citazioni ufficiali mancano le migliaia di famiglie, così come manca il termine profughi o rifugiati. Sono sempre tutti appellati come migranti: nei documenti in cui Orban spiega la sua posizione e negli interventi fatti dai ministri degli Interni e della Difesa. Non compare distinzione tra  poveri, richiedenti asilo, rifugiati o profughi.

Solo nel week end abbiamo incontrato nei punti nevralgici di arrivo e espulsione verso l’Austria 10.000 persone  e di queste almeno il 25% erano donne e bambini. Ma in Tv non si vedono. C’è poi un altro elemento chiave: anche nelle citazioni ufficiali mancano le migliaia di famiglie, così come manca il termine profughi o rifugiati. Sono sempre tutti appellati come migranti: nei documenti in cui Orban spiega la sua posizione e negli interventi fatti dai ministri degli Interni e della Difesa. Non compare distinzione tra  poveri, richiedenti asilo, rifugiati o profughi.
E’ qui il cuore del braccio di ferro di Orban con il resto d’Europa,  che – in testa la cancelliera tedesca Merkel – vorrebbe rispondere in modo nuovo alla crisi nuova. Cioè, ad esempio, appellandosi ai criteri fondamentali di solidarietà e emergenza umanitaria e riformando strumenti messi a punto in altro momento storico, come l’Accordo di Dublino che impone al Paese che ha registrato un rifugiato di accoglierlo nel caso in cui, passato in altro Paese, sia stato da lì espulso.
Orban si oppone a qualunque apertura od eccezione. Si oppone a seguire la pancia dell’Europa che non ce l’ha fatta ad assistere indifferente alla marea umana in fuga da guerre e violenze e ha aperto la porta di casa, in attesa di mettere a punto le questioni di diritto. L’Europa che ricorda bene come l’embrione dell’Unione sia nato per portare pace a tutti i profughi su territorio europeo della Seconda Guerra mondiale. E’ stata la Germania, paese più forte d’Europa a farlo per prima ma Commissione Europea e Consiglio dei capi di Stato e di governo hanno cercato di tenere il passo, imponendo il ricollocamento dei primi 120.000 arrivati sul Mediterraneo. I Paesi ex comunisti dell’est si sono opposti ma sul ricollocamento hanno visto prevalere la maggioranza qualificata. E’ stato un pronunciamento significativo ma tutto da verificare: la Slovacchia ricorrerà e gli altri, Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria non è affatto detto che si attengano davvero alla decisione. Al momento non ci sono sanzioni previste.
Orban, che dà voce all’altra pancia d’Europa, quella che ha paura di vedere il proprio territorio invaso e impoverito, si sta opponendo in punta di diritto all’Europa che vorrebbe riconoscersi almeno un po’ nei profughi attuali. Ma per prevalere sulle chiusure del governo ungherese, e di altri, l’Europa dovrebbe avere il coraggio e la forza di pronunciamenti che abbiano il potere legale di un’azione comune in politica estera.
Il punto è proprio questo: la questione migranti e profughi viene ancora pensata e gestita come una questione di sicurezza interna. E invece è una questione di politica estera e come tutte le grandi questioni di politica estera paga lo scotto di un’Europa ricattata dai suoi stessi Paesi membri, ricattati a loro volta dagli umori degli elettori locali: gli egoismi nazionali impediscono di fare il salto sul piano sovranazionale e di dare davvero alla Commissione e all’Alto rappresentante della politica estera e della sicurezza, attualmente Federica Mogherini, gli strumenti di azione che dovrebbero avere. Tutta questa storia non è solo un referendum sull’accoglienza o no dei profughi, ma sullo spessore politico, tanto invocato, dell’Europa unita.
L’altro punto nevralgico lo dobbiamo individuare ancora al di sopra, allargando lo sguardo alla comunità internazionale. Da più parti si invoca l’intervento dell’Onu, di fronte a una emergenza umanitaria che investe Medio Oriente e Vecchio Continente. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-Moon, oltre a richiamare l’Ungheria al rispetto dei diritti umani nell’incontro ai margini dell’Assemblea generale con il presidente ungherese Jonos Ader, ha indetto una Conferenza mondiale sulle migrazioni il 30 settembre. Il ruolo delle Nazioni Unite non si gioca tanto nelle possibili misure di assistenza ai profughi quanto nei possibili interventi di pacificazione nelle aree da cui provengono. Ma qui emerge la questione dei difficili equilibri tra potenze che sottendono i conflitti nell’area mediorientale. In particolare, al momento, gli equilibri che impediscono un’azione congiunta in Siria contro il sedicente Stato islamico.

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Un gruppo di parlamentari italiani, guidati dall’eurodeputata Silvia Costa (foto F. Speranza).
Ne abbiamo parlato con il presidente del Parlamento Europeo, Martin Schultz. Ci ha detto chiaramente che finchè, di fronte alla questione siriana, Europa e Stati Uniti procedono su un binario parallelo e opposto a quello di Russia e Iran, non si va da nessuna parte. E c’è poi il ruolo della Turchia, non abbastanza considerato. Ci vuole – ci spiega Schultz – “una vera coalizione internazionale contro il sedicente Stato islamico, altrimenti l’area non potrà essere pacificata”. E poi la ribadita raccomandazione: “Tutti gli interlocutori devo avere un ruolo, a partire da Mosca e Teheran”.
Risulta evidente che l’azione più efficace che l’Europa può fare, per superare le logiche dei nazionalismi, sarebbe di fare il salto e porsi come interlocutore credibile e unitario sullo scacchiere politico mondiale. Finchè questo non accade, il premier ungherese Orban ha buon gioco a sostenere di muoversi nel rispetto della legalità formale. Una legalità costituita in altri tempi e troppo ingessata per l’oggi, ma ancora non riformata.
Orban, di fatto, scandalizza l’Europa rimanendo però praticamente inattaccabile. Abbiamo visto lo sconcerto di fronte ai carri armati e ai soldati equipaggiati da assetto di guerra sui volti del gruppo di parlamentari italiani, guidati dall’eurodeputata Silvia Costa, che abbiamo seguito in missione in Ungheria, proprio per potersi rendere conto da vicino.

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Uno dei blindati croati fermati alla frontiera (foto F. Speranza).
Ai responsabili di frontiera è stato chiesto conto dei blindati. Hanno risposto che, quando l’esercito ungherese si muove, come qualunque altro esercito, si muove con i mezzi che ha. E di fronte alle perplessità per tutto l’equipaggiamento da guerra, ci è stato risposto che è normale che ogni soldato abbia sempre con sé gli strumenti in dotazione. Si è fatta notare la differenza che balza agli occhi tra il confine ungherese con la Croazia e il confine ungherese con l’Austria, dove i profughi al loro arrivo vedono solo poliziotti e non soldati, e ci hanno spiegato che ogni Paese risponde alle questioni di sicurezza in base ai propri standard. Torniamo al punto nevralgico:  come pretendere che non si parli di sicurezza interna ma di politica estera? In questo contesto, concreto e legale, è impossibile.
Questo non significa che Silvia Costa e gli altri parlamentari del PD presenti, tra cui Roberto Cociancich, Sandra Zampa, Flavio Zanonato, non abbiano intenzione di dare voce a richieste e perplessità. Ci sarà –i anticipano a Famiglia cristiana – un’interpellanza parlamentare e una lettera alla Mogherini ma anche alla Commissione Europea.

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Tamas Lederer di Street Aid (foto F. Speranza).
Restano ancora denunce da verificare, come quella di Tamas Lederer di Street Aid  FOTO , che sostiene che in Ungheria ci siano violazioni in tema di minori e in tema di rifugiati politici. E ci dice: “In più è vergognoso che nel dibattito pubblico si parli tanto di rischio malattie e terrorismo e non di storie di persone”.
Attraversando i punti caldi, non registriamo evidenti comportamenti in violazione delle normative internazionali ma più di un operatore della Croce Rossa e dell’UNHCR, l’organismo Onu per i rifugiati, non nasconde, off the record, le grandissime difficoltà incontrate su territorio ungherese. Di qualunque genere, ci dicono, spiegandoci che non possono aggiungere altro perchè devono assicurarsi la presenza sul territorio.  Ancora una volta, in questo lungo viaggio da un capo all’altro dell’Ungheria viene da chiedersi: ma siamo sempre in Europa?
da Famiglia Cristiana del 29 settembre 2015

Orban e gli Ungheresi “traditi dalla storia

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Il nazionalismo del premier Orban fa appello a sentimento segreto degli ungheresi.

 

PAURA E SPERANZA: IN UNGHERIA TRA I PROFUGHI

Gli articoli del dossier

– Orban e gli ungheresi “traditi dalla storia”
– Il braccio di ferro tra Orban e la UE
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– Wifi più che cibo e coperte

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Il primo ministro ungherese Victor Orban (Reuters)

Camminando per le strade di Budapest non c’è più traccia delle persone accampate alla stazione in attesa di lasciare il paese, ma se ci si ferma a parlare con qualcuno, ci si rende conto che una traccia è rimasta nell’emotività. Più di una persona ci ripete che gli ungheresi sono stati traditi dalla storia. Immaginiamo sia un’espressione entrata nel dibattito corrente.

Qualcuno parla di 200 anni di guerre tra nazioni, lingue, culture che non possono aver lasciato spazio alla fiducia nell’altro. Ricordiamo che tutto il continente è stato terreno per secoli di conflitti, ma ci sentiamo rispondere che solo in Ungheria, però, ci sono stati 150 di dominio ottomano, per non parlare del comunismo poi. Rinunciamo a confronti sul livello di drammaticità della storia passata e cerchiamo di capire il supporto di cui gode tra la popolazione il premier Orban, paladino della chiusura delle frontiere.

Ci sentiamo spiegare che Orban, in carica dal 2010, sta difendendo, dopo tanto liberismo selvaggio degli Anni Novanta, il popolo ungherese. Finalmente, ci dicono ben tre persone, sta avvenendo una “ungherizzazione del Paese”. Altra espressione che sa di slogan.

In sostanza Orban ha rinazionalizzato i settori dell’energia e dell’acqua, quello bancario e quello agricolo. Alzando le tasse per tutti gli stranieri, in modo chirurgico, ha facilitato gli investimenti stranieri solo nel settore manifatturiero. Questa la chiamano ungherizzazione. Non fa certo rima con globalizzazione. Parliamo con una famiglia italiana che anni fa si è trasferita in Ungheria e ha messo su un’azienda agricola. Allo scadere dei 20 anni di affitto del terreno coltivato con profitto, pensava di essere forte del diritto di prelazione sul terreno formalmente riconosciuto dal precedente contratto ma la nuova legge del governo Orban, con valore retroattivo, ha cancellato il diritto di prelazione. La famiglia italiana ha visto assegnato quel terreno a una famiglia ungherese. E’ solo un esempio. Ci sono altri casi di usufrutto andato in fumo: anche qui per interventi legislativi retroattivi.

Di fatto non si può parlare di incremento del benessere in questi 5 anni, ma è vero che mentre prima le bollette di energia e acqua pesavano per il 25% sulle entrate delle famiglie, ora questi costi sono stati drasticamente ridotti. Ma nel frattempo c’è la disoccupazione e il PIL non risulta cresciuto.  A proposito di disoccupazione, verifichiamo che per arrivare al 7%, fornito da fonti governative, si arriva comprendendo tra gli occupati anche tutti gli ungheresi che lavorano all’estero. E’ uno standard particolare di analisi dei dati che distingue l’Ungheria dal resto d’Europa.

Anche questo è “difesa dell’ungheresità”, espressione che traduce letteralmente l’altra espressione più ricorrente, insieme con ungherizzazione.

Non mancano alcune critiche ma sono sempre su faccende interne. Il monopolio stabilito per il tabacco, che prima rientrava nel libero commercio, pare essere toccato a fedelissimi. La critica che ascoltiamo da un anziano signore non sta nell’aver sottratto il commercio al libero mercato ma solo sulla scelta dei nomi dei beneficiari.

Ci raccontano comunque che Orban è un ungherese doc. Protestante, attivo, presente. Al senso della paura e dell’essere a rischio invasione che la politica cavalca – ci spiegano – mancano argini  innanzitutto perchè nella società ungherese, dopo gli anni di comunismo, e nonostante gli oltre  dieci anni dall’ingresso nell’Ue, non c’è associazionismo civile. E’ quello che lamenta in Ungheria chiunque abbia rapporti con il resto dell’Europa e del mondo. Ma non sono certamente la maggioranza.
da Famiglia Cristiana del 29 settembre 2015

Anche nei Balcani, Italia in prima linea

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PAURA E SPERANZA: IN UNGHERIA TRA I PROFUGHI

Gli articoli del dossier

– Orban e gli ungheresi “traditi dalla storia”
– Il braccio di ferro tra Orban e la UE
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Marco Monguzzi, responsabile dell’area Europa per la Croce Rossa (foto F. Speranza).

Poliziotti italiani alla frontiera calda tra Ungheria e Croazia, a Benemend. Li incontriamo e pensiamo a un impegno di collaborazione tra forze europee. Ci spiegano, invece, che sono lì perchè l’arrivo dei profughi  sta per spostarsi in Slovenia e, dunque, in Italia. Si stanno organizzando.
Stessa mobilitazione per la Croce Rossa. FOTO Marco Monguzzi, responsabile dell’area Europa, ci  fa notare che, dopo il Muro eretto al confine con la Serbia e quello in costruzione per la Croazia, Budapest sta già provvedendo alla barriera con la Slovenia. Il fiume umano, che non si arresta da Siria, Iraq ma anche Afghanistan, allungherà dunque il percorso ma non si fermerà. Ne sarà investita, “oltre alla Slovenia, anche la Romania, così come Montenegro e Albania”.

Il punto è che, oltre ai percorsi via terra, il passaggio obbligato via mare, dalla città turca di Bodrum all’isola greca più vicina di Lesbo, è di soli 45 minuti. E’ facilmente presumibile che l’imminente inverno non bloccherà questa traversata, come invece frena quella più lunga sul Mediterraneo.
La Croce Rossa è pronta a intervenire in questi Paesi con le tecniche nuove messe a punto in questa emergenza. Di diverso dalle tante altre affrontate nel mondo,  c’è che non si tratta di necessità per persone sostanzialmente stanziali, come – ci spiega Monguzzi – nei casi di calamità naturali o in scenari di conflitto. A partire dal kit: non un fabbisogno essenziale per un mese, troppo pesante da trasportare, ma coperte e viveri per un giorno o due. Di più è troppo gravoso per chi, dopo aver viaggiato dalla Siria o dai Paesi limitrofi, arriva ai confini d’Europa e deve aspettare in tenda qualche ora, poi salire su un autobus per essere accompagnato a un altro confine, ma solo nei pressi: gli ultimi 4 o 5 chilometri spettano sicuramente a piedi. Lo abbiamo visto a Hegyeshalom, ultimo paese ungherese prima dell’Austria.

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Laszlo Szoke, sindaco di Hegyeshalom (foto F.  Speranza)
A Hegyeshalom abbiamo incontrato profughi anche fuori dei centri di accoglienza. Al sindaco, Laszlo Szoke, facciamo presente che, in base alla nuova legge in vigore in Ungheria dal 15 settembre, dovrebbero essere arrestati. FOTO Abbozza uno strano sorriso e ci dice: “Io sono sicuro che sono tutti entrati prima del 15 settembre”. La complicità di quest’uomo, che vediamo muoversi tra i binari dei treni e le tende accanto al personale delle organizzazioni umanitarie, ci restituisce un’altra faccia delle politiche dure del governo Orban.
da Famiglia Cristiana del 29 settembre 2015