Il giorno prima della firma della Costituzione europea a Roma, il Papa, ricevendo in Vaticano il presidente della Commissione europea Romano Prodi, aveva invocato la benedizione del Signore su tutti i rappresentanti degli Stati convenuti a Roma per la firma del Trattato costituzionale e su tutti i popoli d’Europa. L’Unione Europea – ha detto – possa “operare attivamente in campo internazionale per la pace tra i Popoli, ed offrire un aiuto generoso per la crescita dei popoli più bisognosi degli altri continenti”. In particolare ha ricordato come il Cristianesimo abbia dato “un grande apporto” nel plasmare la civiltà europea. “Riconosciuto o meno nei documenti ufficiali – ha precisato – è questo un dato innegabile che nessuno storico potrà dimenticare”. Ai nostri microfoni abbiamo lo stesso Romano Prodi, intervistato da Fausta Speranza che gli ha chiesto innanzitutto quali sono stati gli aspetti più importanti dell’incontro con Giovanni Paolo II:

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R. – Due aspetti. Uno,evidentemente di commozione personale, e su quello non voglio dire nient’altro. Poi, c’è un aspetto politico che anche nel colloquio si è sentito molto: il grande momento dell’Europa che respira a due polmoni e che – anche se con problemi che tutti condividiamo, che tutti abbiamo sentito – si dà veramente una regola per il futuro. E’ un’Europa stabile, è un’Europa che ha chiuso con Yalta, che ha finito con le tensioni … si è parlato proprio tanto di pace, di come i nuovi Paesi stanno arrivando, non solo la Polonia ma tutti; del clima che si deve creare, per la nuova Europa …

D. – Presidente, ci aiuti ad interpretare il voto di mercoledì scorso al Parlamento…

R. – Ma … l’interpretazione seria, politica è una sola. Il Parlamento europeo ha voluto affermare la sua forza di fronte a quello che è il governo europeo, anche se i termini non sono precisi: si parla di Commissione, non di governo … Ma è un classico della democrazia: il Parlamento cresce, diventa consapevole della sua forza, e va considerato non per i poteri formali che ha, ma per il fatto che è un Parlamento! E d’ora in poi, il Parlamento europeo sarà un protagonista molto più forte, insieme alla Commissione, della vita europea. E quindi, gli Stati membri che in molti casi avevano sempre controllato il voto dei loro parlamentari, si sono trovati adesso di fronte ad un’evoluzione di straordinaria importanza nelle istituzioni europee.

D. – “L’Europa è aperta a tutti gli Stati che rispettano i suoi valori”: questo è il principio. Secondo lei, il Trattato costituzionale aiuterà a rendere più concreto il rispetto di questi valori?

R. – Sì, molto. Perché i valori sono ben chiari nel Trattato costituzionale. Certamente, anch’io avrei preferito, e ho lavorato attivamente perché ci fosse nel preambolo il riconoscimento delle radici storiche del cristianesimo e del giudaismo: questo non è stato possibile. Ma i valori di questa nostra religione sono veramente contenuti nella Carta costituzionale. Possiamo veramente pensare ad un’Europa – se legge nell’articolo 1.4 – che ha questi principi come strumento di pace, come una nuova entità che si mette a servizio di un concetto molto diverso da quello tradizionale, del rapporto di forza tra Paesi, ma che regola i conflitti con un atteggiamento multilaterale, con l’uguaglianza tra i diversi Paesi che partecipano alla nuova Unione … è un superamento del concetto di “Stato moderno”!

D. – Dunque, le sembra che il Trattato costituzionale possa essere una scommessa di pace?

R. – Sì! E’ una scommessa di pace. E non è una scommessa: nel senso che finora l’abbiamo mantenuta! Nel ’57 è stato firmato il primo Trattato di Roma; ci siamo allargati, successivamente. Mai, mai un conflitto all’interno dei confini dell’Unione. Tragedie, subito fuori dalla nostra porta. In questo senso, l’unificazione dell’Europa con l’allargamento, e quella già progettata verso Bulgaria e Romania e verso i Balcani, sono un’ulteriore garanzia di pace.

D. – Ecco, però lei spesso ha ricordato che l’Europa deve guardare anche oltre i propri confini. Dunque, questo Trattato costituzionale potrà aiutare ad evitare una crisi di divisione, come quella che c’è stata per l’ “Iraq”?

R. – Questo no, purtroppo, perché la competenza in politica estera non c’è ancora e quindi, se domani ci dovesse essere un conflitto come quello iracheno, non c’è nessuna garanzia che non ci siano le stesse divisioni. Ma l’Europa si fa con la pazienza, ci vorrà qualche decennio per avere una politica estera comune, ma la via è segnata.

D. – “L’Europa è un’unione di minoranze”: è un’espressione che le è cara. In che modo si coniuga con l’esigenza di un’Europa ad una sola voce?

R. – Si coniugano proprio perché ognuno è in minoranza. Non c’è nessuno che imponga la propria voce agli altri. In minoranza si discute, si decide insieme e ciascuno contribuisce alla decisione. Ma nessuno la impone agli altri. Ed è questo il concetto nuovo dell’Europa. Per questo non sono soddisfatto dei punti in cui – come nella politica estera – si è mantenuta l’unanimità delle decisioni, perché in 25 Paesi, con il principio dell’unanimità, è difficile prendere delle decisioni, anzi: è impossibile!

D. – Presidente: euro, allargamento, Trattato costituzionale sono le conquiste più evidenti di questi cinque anni. Ce ne racconta qualcuna invece meno evidente e magari più sofferta?

R. – Io esco con la tristezza di non vedere messi in atto i progetti che avevamo messo in cantiere nel 2000 in campo economico, il cosiddetto “processo di Lisbona”, in cui avevamo detto – anche con molta gioia comune, no? – che insieme avremmo fatto una strategia per aumentare il gruppo economico, la ricerca, le innovazioni per diventare – era il nostro slogan – “la società più innovativa del mondo”. Sono passati quattro anni e in questo campo, proprio la mancanza di processi decisionali, l’obbligo dell’unanimità, hanno fatto sì che non siamo la società più innovativa del mondo. Lo dobbiamo ancora divenire.

D. – Ecco, però, parliamo proprio di Europa nel mondo: ci parla dei rapporti di partenariato che l’Europa ha avviato?

R. – E’ il nuovo capitolo: abbiamo definito i confini dell’Europa, l’allargamento è già fatto, quello verso la Bulgaria e la Romania è prossimo, c’è il caso della Turchia, quindi i Balcani e poi i confini si fermano. Ma se l’Europa è un segnale di pace, deve attuare la politica già approvata – intendiamoci: già approvata! –, la cosiddetta “politica di vicinato”, cioè tutti i Paesi, dalla Russia fino al Marocco che sono vicini potranno – se vogliono – concludere con l’Europa uno strettissimo accordo, condividendo con l’Unione tutto, senza però far parte delle istituzioni europee, cioè senza diventare membri dello stesso Parlamento e della stessa Commissione, ma condividere unione doganale, trattati commerciali, regole economiche, cooperazione di polizia, di giustizia, regole dell’immigrazione … tutto quanto concerne la collaborazione più profonda. Ecco, è importante questo perché vuol dire estendere questa “infezione di pace” anche a Paesi che ne hanno tanto bisogno – pensi a Israele, alla Palestina, l’Egitto, i Paesi del Maghreb: pensi all’Ucraina, che è questa grande anima europea … Ecco, questo è l’ulteriore passo ed il compito dei prossimi decenni.

D. – Presidente Prodi, io avei voluto chiederle, una volta fatta la valigia, se ci raccontava così, sottovoce, la sua voglia, l’intenzione di tornare indietro e di fare, altrettanto sottovoce, a qualche leader europeo qualche raccomandazione per il bene dell’Europa: non so se lei ha voglia adesso che ha fatto la valigia, ma l’ha anche disfatta …

R. – Sì, (mercoledì) è stata proprio una giornata incredibile, perché ho fatto proprio la valigia, ho chiuso casa – come si dice in termini popolari – ho disdetto i contratti della luce, del gas, l’abbonamento alla televisione, tutte le cose che si fanno normalmente; e poi come sono arrivato in ufficio è incominciato questo strano momento in cui siamo dovuti ritornare indietro, e adesso per qualche settimana dovrò rimanere a custodia delle istituzioni. Lo faccio volentieri, perché ci vuole continuità. Ma non ho proprio molti consigli da dare, salvo quello di prendere una lezione comune, che tutti dobbiamo trarre da questi avvenimenti, e cioè di considerare la nuova forza del Parlamento europeo.

29 ottobre 2004

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