AGROALIMENTARE E TESSILE, DOVE IL TTIP PUO’ CONVENIRE ALL’ITALIA

AGROALIMENTARE E TESSILE, DOVE IL TTIP PUO’  CONVENIRE ALL’ITALIA

Gli industriali italiani prevedono un forte incremento delle esportazioni verso gli Usa. Ecco perché.

Gli articoli del dossier
di Fausta Speranza
“TTIP, più politica che economia”

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Ttip, l’Europa in difficoltà per eccesso di regole

Ttip, le critiche di chi non lo vuole

Agroalimentare e tessile, dove il Ttip può convenire all’Italia

Il settore agroalimentare e quello tessile sono indiscutibilmente il cuore del Trattato commerciale  tra Ue e Usa. Al momento è quanto emerge da tutti i documenti che si possono prendere in considerazione. Risulta evidente, dunque, che tra i Paesi maggiormente interessati c’è l’Italia.

Secondo Confindustria, con il TTIP in Italia verrebbero assicurati almeno 30.000 nuovi posti di lavoro. Al momento, il volume di scambi nel solo settore agricolo tra Roma e Washington è quantificabile in 2,5 miliardi di dollari l’anno. Ma bisogna ricordare che attualmente sono significative le limitazioni all’esportazione dall’Italia in Usa di prodotti ortofrutticoli, sempre per motivi di standard di produzione o ispezioni, di dazi e quote di mercato. Si può immaginare il vantaggio se le limitazioni venissero rimosse.

Ma non siamo ancora al vero core business, se non parliamo di formaggi. Attualmente, ci fa notare Anthony Gardner, ambasciatore Usa presso l’Unione Europea, gli americani stanno scoprendo sempre di più il cibo di qualità. Gardner ci dice che nel 2013 la vendita di formaggi italiani esportabili ha subito un’impennata del 200% rispetto all’anno precedente. Bisogna ricordare che i formaggi pastorizzati al momento non sono esportabili per differenze normative negli standard di pastorizzazione. Superare tutto ciò, con il TTIP, significherebbe spalancare per la ricchissima produzione italiana di formaggi spazi notevoli di mercato. C’è poi il peso delle quote stabilite di mercato. Per esempio, attualmente dopo una certa quantità di un certo tipo di formaggio esportato, scatta un aggravio del dazio. E’ un caso di barriere tariffarie oltre i dazi, in via di rimozione con il TTIP.

Si dovrebbe aprire a dovere il capitolo dei vini italiani, sempre più amati dagli americani raffinati, ma sostanzialmente, si tratta di dinamiche analoghe. Bisogna piuttosto ricordare che sono 1400 i prodotti italiani per i quali l’Italia si distingue tra i primi 5 paesi del mondo, dall’agroalimentare al tessile, al pellame, solo per citare alcuni ambiti.

TTIP, LE CRITICHE DI CHI NON LO VUOLE

TTIP, LE CRITICHE DI CHI NON LO VUOLE

Privacy, prodotti Ogm, concorrenza sleale… Ecco che cosa teme chi non vuole il Ttip.
langeBernd Lange (foto F. Speranza).

Vista dalla parte dei critici, l’approvazione del TTIP aprirebbe la porta agli Ogm e alla carne agli ormoni, oggi leciti negli Usa e banditi in Eu. Non solo, spazzerebbe via i paletti in tema di rispetto della privacy che distinguono il Vecchio dal Nuovo Continente e lascerebbe inondare il mercato europeo di audiovisivi americani. Sull’onda di questi rischi, in varie piazze europee ci sono state e sono annunciate manifestazioni di protesta. La più consistente a Berlino: 250.000 persone. Ma c’è bisogno di distinguere tra leggende metropolitane e reali prospettive e soprattutto c’è bisogno di capire meglio quello che già accade sulle nostre tavole.

La carne agli ormoni è questione fuori dalla sfera negoziale. Il bando è insito nei Trattati fondanti l’Ue e non può, in nessun modo, essere rivisto da semplici negoziatori. Il TTIP, dunque, potrà rivedere dazi, barriere non tariffarie che riguardano la sola carne senza ormoni, che pure si produce negli Stati Uniti.

Ma se con gli Usa ci sono regole e altre si tenta di scriverne, nel frattempo la globalizzazione sta imponendo, senza troppe discussioni e manifestazioni, uno status quo non trascurabile. Facciamo un esempio: attualmente il 40% della produzione mondiale di maiale e derivati viene dalla Cina. L’immissione nel mercato anche europeo avviene attraverso meccanismi più diversi ma sicuramente senza tutti i vincoli che vigono tra paesi occidentali. Altro prodotto: il pollo. L’Ue non importa pollo dagli Stati Uniti perché, nella fase di disinfestazione, si usa una sostanza, la clorina, in misura non accettata da Bruxelles. Ma in Europa si mangia pollo proveniente dal Vietnam e dalla Cambogia, senza che questo desti particolare sospetto, perchè il percorso è diverso, gestito da quella sorta di far west che caratterizza questa fase di sostanziale inadeguatezza di regole vecchie a un mondo nuovo e di assenza di nuove regole appropriate. In caso di accordo su standard comuni tra Ue e Usa, certamente anche questi paesi sarebbero chiamati ad adeguarsi.

C’è anche un altro punto sensibilissimo per i critici del TTIP: gli Ogm, anche questi vietati in Europa e permessi negli Stati Uniti. Anche qui si tratta di un veto imposto da norme fondanti che non possono essere messe in discussione da politiche commerciali. Ma anche qui bisogna guardare allo stato di fatto. L’europarlamentare Paolo De Castro, del gruppo socialisti e democratici,  assicura a Famiglia Cristiana che 400.000 tonnellate di soia per nutrire gli animali vengono importate in Europa ogni anno da Usa e Brasile e che si tratta di soia Ogm. Parliamo, ci spiega De Castro,  del 90% delle proteine vegetali che compongono i mangimi in Europa. Dunque, non sembra proprio che gli Stati Uniti abbiano bisogno del TTIP per promuovere il prodotto.  E, a guardare ancora meglio, si scopre che la Cina ha cominciato a comprare questo prodotto dagli Usa, con domanda crescente ogni anno, assicurando un’eventuale alternativa a Washington.C’è poi lo scottante tema della privacy, diversamente tutelata in Eu o Usa. E su questo si accaniscono le proteste dei critici del TTIP. Bernd Lange, relatore sul Trattato della Commissione Commercio Internazionale, INTA, dell’Europarlamento, sostiene, carte alla mano, che la privacy in nessun modo rientra tra i temi discussi. E’ la stessa convinzione che ci esprimeHiddo Houben, negoziatore per la Commissione Europea sul TTIP, che ci ricorda il riferimento all’interno del Trattato di Lisbona, spiegandoci ancora una volta che mai negoziatori di politiche commerciali potrebbero cancellare un assioma del Trattato in vigore dal 2009.

Sull’altro tema sollevato dai critici, quello relativo alla produzione di audiovisivi con il presunto rischio di vedere affondato definitivamente il cinema d’autore in Europa dal dilagare della produzione statunitense, entrambi ci spiegano che il settore audiovisivo è semplicemente fuori da qualsiasi punto in discussione per il TTIP. Leggiamo le 28 pagine di mandato a trattare pubblicate sui siti ufficiali delle istituzioni europee e in effetti non compare.

Qualcuno scrive inoltre che il Trattato transatlantico costringerà i governi a privatizzare i servizi pubblici, ma nessuno dei movimenti che alimentano le manifestazioni, a partire dal gruppo Tsipras o del Movimento 5 Stelle rappresentati a Strasburgo, ci sa spiegare in che modo avverrebbe.  C’è poi il divieto stabilito in Ue di esperimenti su animali per la produzione di trucchi, deodoranti, cosmetici, che avvengono invece in Usa. Anche qui si discute delle paure di abbassamento degli standard europei ma non si discute del fatto che intanto dalla Cina arrivano prodotti senza nessuna certificazione adeguata a questi  standard, in particolare in Italia. E non si ricorda che in Europa si sono sviluppate alternative alla sperimentazione animale che gli Stati Uniti stanno prendendo in considerazione. Forse, arrivare a un accordo forte tra sponde dell’Atlantico potrebbe solo rafforzare il peso di certe posizioni.C’è anche un altro aspetto da considerare: è urgente una normativa che argini il fenomeno del ‘faking it’, cioè la contraffazione di prodotti, in particolare, se parliamo di TTIP, di prodotti alimentari. Non avviene solo in Cina, maestra nel settore. Sono pieni anche gli scaffali dei negozi statunitensi di prodotti made in Usa che esibiscono etichette che fanno seriamente pensare a produzioni made in Italy o in Spain. Pensiamo a confezioni di olio di oliva o al parmigiano reggiano.Le scritte sono studiate ad arte per essere equivoche e fuorvianti e spesso compare il nome del paese europeo con accanto la relativa bandiera, anche se nulla di quel prodotto è originale. Una normativa seria, all’intero del TTIP, può arginare il fenomeno che comporta una notevole perdita di mercato e di valore di mercato per i prodotti europei. Un solo esempio: un cittadino americano compra una porzione di parmisan, che lascia pensare di essere italiano, e identifica il sapore che imita l’originale pensandolo l’originale: si ritrova a pensare che non sia così diverso da prodotti Usa e non spenderà di più per brand italiani, neanche in altri casi. Se fosse vero prodotto italiano o spagnolo o greco, invece, la differenza di sapore si sentirebbe.

TTIP, L’EUROPA IN DIFFICOLTÀ PER ECCESSO DI REGOLE

TTIP, L’EUROPA IN DIFFICOLTÀ PER ECCESSO DI REGOLE

La mancata armonizzazione delle regole e degli standard tra i 28 Paesi della Ue mette l’Europa in difficoltà nella trattative commerciale con gli Usa.

Elena Bryan.

 

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di Fausta Speranza
“TTIP, più politica che economia”

 

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Ttip, l’Europa in difficoltà per eccesso di regole

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Agroalimentare e tessile, dove il Ttip può convenire all’Italia

 

Un punto chiave del TTIP è la creazione di tribunali privati internazionali per dirimere eventuali controversie tra investitori e Stati. Le cause sono già possibili ma passano attualmente per tribunali statali che tendono a tutelare gli interessi dello Stato e che solo grandi multinazionali possono affrontare. Si creerebbe un’entità indipendente con standard comunemente accettati, che dovrebbe rappresentare una possibilità concreta per piccole e medie imprese che attualmente non possono sostenere direttamente una causa con uno Stato. Si è discusso tanto di questi tribunali a partire dalla sigla ISDS, che sta perInvestor-State Dispute Settlement. Ora sembra si stia imponendo la definizione più semplice diInvestment Care System. Dovrebbe trattarsi, in ogni caso, di un giudizio di primo grado, più appello.

Il punto è che il tema dei tribunali è esemplare delle difficoltà dell’Europa nel negoziare il Trattato transatlantico. Lo capiamo bene parlando con Elena Bryan, Rappresentante per il commercio della Missione degli Stati Uniti presso l’Unione Europea. A Famiglia Cristiana ricorda che nella sola Europa, tra i vari Stati membri, ci sono in vigore 250 diversi accordi di arbitrato. Tra Paesi Ue e Usa, ce ne sono nove. Cercando di saperne di più, scopriamo che la proposta della Commissione Europea sugli ISDS o ICS, che dir si voglia, non è ancora pervenuta all’altra parte. Si focalizza, dunque, immediatamente che l’Europa che negozia standard comuni Oltreoceano non ha ancora standard comuni al suo interno.

Guardiamo a un altro ambito: al settore farmaceutico. Bruxelles e Washington tentano di superare i costi e le lungaggini dovute alla moltiplicazione di ispezioni: i controlli sui farmaci, infatti, seguono protocolli diversi, pur trattandosi di farmaci con gli stessi componenti. Questo obbliga a passaggi ripetuti e costi moltiplicati. Ma bisogna guadare dentro casa nostra e prendere atto del fatto che, al momento, anche alcuni medicinali approvati in un paese Ue non possono essere approvati automaticamente in altri Stati membri.

Altro tema centrale è la questione dello scambio di dati sensibili. La normativa di Bruxelles è più restrittiva rispetto a Washington e l’ultima normativa Usa, denominata Safe Harbour, non aiuta. Non è tema da poco e il braccio di ferro da parte dell’Ue è importante. Ma anche qui va affrontato con la dovuta consapevolezza che, se è vero che in sede di Commissione Europea e di Europarlamento sono state date linee guida inequivocabili, è vero anche che i singoli paesi non si sono sempre adeguati e continuano a viaggiare con diversi distinguo nazionali. Per esempio, per quanto riguarda le indicazioni di tracciabilità in cui non c’è armonizzazione.

Diversità, o meglio divergenza, si registra anche in relazione ai prodotti più interessati dallo slancio agli scambi. I paesi del Sud Europa producono  quei formaggi e quei vini che le tavole degli americani aspettano. E, dunque, il Trattato risulta una gran bella prospettiva per allargare le vendite. Ma i paesi del Nord Europa, per esempio,  sono forti, piuttosto, nella produzione di carne e il TTIP aprirà, superando gli ostacoli, all’importazione di carne bovina made in Usa. In questo caso, non suona come un vantaggio, ma come concorrenza, per paesi come la Danimarca. Va ricordato che nella filiera di approvazione dei singoli passi negoziali, da una parte, c’è il filo diretto tra negoziatori Usa e relativo potere politico, mentre, dall’altra parte, il tutto passa per la discussione e l’approvazione di 28 governi. Si tratta di una catena di comando più articolata e complicata, attraverso la quale non possono non emergere interessi tanto diversi.

C’è poi un aspetto che colpisce su tutti, perchè in qualche modo li investe tutti. Le diverse normative nei diversi paesi Ue in tema di cittadinanza rappresentano maglie larghe attraverso le quali, al momento, investitori statunitensi, o perchè no cinesi, possono aggirare dazi e barriere non tariffarie. Pensiamo alla nuova normativa di Malta che permette l’acquisto, ad un prezzo di 250.000 euro, della cittadinanza dell’isola, e dunque europea. Per un facoltoso imprenditore che volesse venire a fare affari in Europa, sarebbe facile, con una spesa per lui relativa, aggirare gli attuali ostacoli di dazi e barriere non tariffarie o investimenti.

In considerazione di tutto ciò, immaginando i tempi possibili di approvazione del Trattato, viene in mente che non è solo alle elezioni americane che si deve guardare. Ci sono anche elezioni di casa nostra da considerare, fattore in genere di forte rallentamento dei processi di integrazione e di ripiegamento interno. Fanno pensare, dunque, diverse scadenze oltre al voto presidenziale in Usa: in Germania le amministrative nel 2016 e le federali nel 2017, in Francia il voto presidenziale nel 2017.