Premio “Cittadino Europeo”

Nel segno della speranza: a Roma, la consegna del Premio “Cittadino Europeo”

Alla sede di rappresentanza del Parlamento europeo di Roma si é svolta questa mattina la cerimonia di consegna del Premio “Cittadino europeo” 2012. Dal 2009, con questo riconoscimento si cerca di dare rilievo a iniziative o persone che si distinguono per impegno civile e sociale. Alla cerimonia, c’era per noi Fausta Speranza:

Tra i premiati, Biagio Conte, fondatore della “Missione Speranza e Carità” a Palermo, per assistere i poveri della città. E poi, Giovanni Riefolo che fa parte del direttivo dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia, promotore di incontri sulla memoria nelle scuole di Roma per affermare i principi di fratellanza e rispetto contro la xenofobia. E l’associazione “Melarancio”, impegnata nel teatro per ragazzi su valori umani. C’è poi l’Albergo etico di Asti, un progetto che aiuta ragazzi con sindrome di Down o disabilità psichica, a lavorare a contatto diretto con i clienti, mettendo a disposizione la propria professionalità: una sorta di accademia che forma i ragazzi nei settori della ristorazione e del turismo. Il presidente, Antonio De Benedetto:

R. – L’albergo etico è un metodo di formazione attiva, volto al miglioramento dell’handicap sensoriale, fisico e mentale, con gli strumenti del sistema alberghiero, quindi il ristorante, la reception, le camere. Questo è il concetto di una grande casa che dà l’indipendenza. Noi vorremmo arrivare a certificare l’indipendenza e poi a dare un lavoro.

D. – Dunque, i ragazzi con – ad esempio – Sindrome di Down o altre disabilità non sono ospiti, ma sono protagonisti della struttura?

R. – Assolutamente protagonisti. Protagonista la Sindrome di Down nell’accoglienza, nel lavoro di cucina, nel lavoro di sala, soprattutto nel front office, non nel back office: non dietro alle quinte, ma davanti; noi ci siamo, noi esistiamo!

D. – Che cosa significa, per questo progetto, aver ricevuto il Premio “Cittadino europeo”?

R. – Per l’Albergo etico è molto importante, come penso per tutti gli altri vincitori del Premio; è un riconoscimento di esistenza di quello che si fa. Sicuramente per noi, che non siamo finanziati da nessuno ma facciamo tutto con la buona volontà della società, diciamo che questa incomincia ad essere una firma molto importante.

D. – Nell’Albergo etico di Asti, Nicolò è un punto di riferimento per i ragazzi lavoratori …

R. – Io, nell’Albergo etico sono il responsabile per dare una mano ai ragazzi per affacciarsi al mondo del lavoro, per gestirci tra di noi. Io sono un ragazzo down che dà una mano ai ragazzi ad imparare a muoversi nel mondo del lavoro.

D. – C’è sicuramente il peso del lavoro che c’è in tutti i mestieri; ma c’è anche l’entusiasmo di stare insieme …

R. – Sì, anche. Tutti insieme per darci una mano tra di noi, affinché tutto funzioni bene nell’albergo: il modo di apparecchiare, il modo di comportarsi …

D. – Gli ospiti più simpatici che avete avuto e che ricordi?

R. – Per me, sono tutti simpatici, i clienti!

Infine, tra i premiati c’è l’Unitalsi con il suo progetto case-famiglia a favore di persone con disabilità o stato di disagio sociale, prive dei principali riferimenti familiari. Il presidente dell’Unitalsi, Agostino Borromeo:

R. – Le case famiglia sono nate per rispondere all’interrogativo angoscioso che si pongono i genitori di un ragazzo ammalato o diversamente abile: cosa succederà dopo di me? La casa famiglia dà questa risposta: tuo figlio, tua figlia, sarà sempre accudito, circondato da persone amiche, che condividono le sue sofferenze e cercano di alleviarle, di rendergli la vita meno difficile possibile e che con lui pregano, se vuole pregare, ma che comunque lo sorreggono con la loro fede. Esistono già diverse case famiglia in Italia. Una a Ascoli Piceno, un’altra a Rieti, una a Pisa. Ciascuna nasce in un contesto particolare. A volte è una persona che dona all’Unitalsi una struttura e addirittura ha i mezzi per poter rendere operativa la struttura. In altri casi è la diocesi, come nel caso di Rieti: è il vescovo di Rieti che ha messo a disposizione dell’Unitalsi una struttura e l’Unitalsi accoglie gli ospiti, se ne occupa attraverso una propria cooperativa e l’azione dei volontari. Quindi le situazioni non sono tutte uguali ma lo scopo è sempre uno: dare un aiuto e un calore umano agli ultimi, ai più deboli, ai più sfortunati.

D. – Chi sono soprattutto i volontari, ci sono più giovani o persone di mezza età?

R. – I volontari sono di tutte le età. L’Unitalsi è una realtà di centomila volontari e tra questi centomila volontari ci sono giovani, giovanissimi, e persone ormai avanti negli anni che avendo più tempo libero lo dedicano al prossimo.

D. – E’ un progetto che tanti possono far nascere anche in altri luoghi d’Italia o anche in altre nazioni. Questo premio è anche un invito a crescere?

R. – Certamente è un invito a crescere. Per noi è uno stimolo a continuare su questa strada perché l’esperienza dimostra quanto bisogno ci sia di questo tipo di intervento e lo Stato non può affrontare le situazioni singole. Noi, anche perché animati dagli ideali cristiani che ci sono propri, questo lo possiamo e lo dobbiamo fare.

Dalla sede di rappresentanza del Parlamento Europeo a Roma per la Radio Vaticana Fausta Speranza

Radiogiornale RadioVaticana del 29 Ottobre 2012

Etiopia, i colori dell’Africa cristiana

Aethiopia Porta Fidei. L’Etiopia, porta della fede.

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La foto di copertina è dell’agenzia Reuters.

La storia religiosa millenaria dell’Etiopia in oltre 100 preziosi manufatti artistici. E’ la mostra “Aethiopia Porta Fidei. I colori dell’Africa cristiana”, ospitata al Museo diocesano di Vicenza fino al 24 febbraio 2013. Per tutto il suo passato storico, prima giudaico e poi cristiano, l’Etiopia è considerata una sorta di provincia dell’Oriente cristiano “casualmente” in terra d’Africa. Icone, rotoli magici, croci, libri, strumenti: i reperti sono tutti molto particolari e poco conosciuti.

La lunghissima tradizione esposta nella mostra comincia addirittura le sue radici nel popolo ebraico e viene fatta risalire lontano fino forse alla regina di Saba, nel suo viaggio in terra di Israele per incontrare il re Salomone. Secondo alcune interpretazioni, già vive nell’antichità, dovrebbe identificarsi proprio con la regina di Saba la voce femminile del Cantico dei Cantici che pronuncia la frase che in in latino suona “Nigra sum sed formosa” e che potremmo tradurre in “Sono bruna ma bella”.   La tradizione locale colloca proprio in Etiopia il regno di Saba e racconta che Salomone avrebbe preso la regina con l’inganno durante la visita di lei alla corte di Israele.

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Ci sono poi i reperti che ci riportano alla Chiesa cristiana delle origini, che rivive ancora oggi perché si sono conservati riti, rappresentazioni artistiche in cui è evidente lo spirito della prima età evangelica. E questo si deve naturalmente al fatto che l’Etiopia cristiana si è trovata rapidamente circondata da popoli islamici e che proprio per questo si è radicata nella tradizione, ha difeso l’affermazione di un’identità di razza, lingua, costumi, che in buona misura, nonostante tante fasi critiche, è giunta fino a noi.

Di fronte al racconto di tutto ciò attraverso bellissimi reperti ci si ricorda che in Europa non si può essere monocentrici. E’ la riflessione del cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, che incontriamo alla presentazione della mostra a Roma. «Riscoprire questa ricchezza – ci dice – serve a noi europei per perdere l’autoreferenzialità che ci caratterizza,  derivata spesso da un senso di superiorità che, pur avendo come adice ultima delle giustificazioni dal punto di vista della storia, del pensiero e della cultura, non si giustifica mai quando va oltre i limiti di una capacità di convivenza e di unità con tutta quanta la famiglia umana».

E’ indubbio che la ricchezza della Chiesa d’Etiopia, che la mostra documenta, è un’occasione e una provocazione per la nuova evangelizzazione in Europa. Basta pensare all’intensità dei colori delle icone, che sembrano sintetizzare l’immaginario religioso di un popolo. Nella mostra ce ne sono una quarantina di piccolissimo formato, realizzate tra il XVI e il XVIII secolo. Erano un accessorio quotidiano quanto prezioso.

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L’arcivescovo di Addis Abeba, cardinale Demerew Souraphiel Berhaneyesus, e l’arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola.

Ma tanta ricchezza di storia non può far dimenticare l’oggi: l’Etiopia è il secondo Paese più popoloso d’Africa, con più di 86 milioni di abitanti, di cui la metà ha meno di 20 anni. E’ uno dei Paesi più poveri al mondo. Nelle zone rurali si conta un medico ogni 100.000 abitanti. Ha le potenzialità per crescere ma lo sviluppo economico, industriale e quello delle infrastrutture richiede innanzitutto personale con adeguate competenze. I migliori giovani attualmente vanno a frequentare l’Università all’estero.

Ecco che la storia cerca di mettersi a servizio dell’attualità: la mostra è stata voluta per raccogliere fondi per portare avanti il progetto dell’Università Cattolica d’Etiopia San Tommaso d’Aquino Ecusta, ad Addis Abeba. Il terreno c’è: il Governo federale della Repubblica Democratica d’Etiopia ha donato 60 ettari. Attualmente c’è solo una piccola struttura gestita da suore salesiane di Zway, a 250 chilometri dalla capitale, che ospita corsi di laurea diurni e serali per tecnici di laboratorio medico e operatori sociali. Ma si farà, invece, un vero e proprio Campus medico in gemellaggio con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e l’Università degli Studi di Padova.

L’arcivescovo di Addis Abeba, cardinale Demerew Souraphiel Berhaneyesus, ci racconta che i servizi educativi assicurati dalla Chiesa cattolica da tempo sono molto apprezzati dal popolo e che lo stesso governo etiopico chiese a Giovanni Paolo II di aprire un’università. Ci spiega, poi, che il progetto è stato fortemente sostenuto dalla Conferenza Episcopale Italiana. E’ evidente che un Campus universitario così progettato potrà essere molto importante non solo per l’Etiopia ma anche per tutto il Corno d’Africa, per la Somalia, per Gibuti, per l’Eritrea, per il Sudan.

L’arcivescovo di Addis Abeba aggiunge che “il polo universitario può avere conseguenze positive fino in Medio Oriente, dove si recano molti etiopici per lavorare come domestici, come infermieri”. Sottolinea che ovunque “solo con l’educazione si può avere una coesistenza pacifica e si può assicurare partecipazione dei giovani allo sviluppo del Paese”. La mostra insegna che non può esserci educazione senza memoria storica.
Fausta Speranza

Famiglia Cristiana del 29 Ottobre 2012