Europarlamento: l’Italia contro le frodi

Grazie all’iniziativa dell’Italia, l’Europarlamento ha avviato la procedure per creare una super-procura anti-corruzione. Obiettivo: sottrarre alle frodi 500 milioni l’anno. di Fausta Speranza

Ogni anno 500 milioni di euro si bruciano in Europa per le sole frodi comunitarie. L’Italia, tristemente leader in tema di corruzione, per una volta potrà vantare di aver messo in moto i meccanismi giusti per individuare e recuperare questi soldi: è italiano, infatti, il relatore della raccomandazione votata mercoledì 12 marzo al Parlamento Europeo contro corruzione, riciclaggio, contraffazione. Per una volta la notizia è che Bruxelles e Stati virtuosi per antonomasia come la Germania hanno fatto resistenza alla nascita della Procura europea, che, su progetto italiano, colpirà i reati di contraffazione, corruzione, e altro, che portano altrove i soldi stanziati a livello europeo per le politiche sociali e occupazionali.

Mentre si parla urgentemente di più unione politica e più unione bancaria per questa Europa che non ha saputo rispondere presto alle necessità dei cittadini in balia della crisi economica mondiale, nasce un pò in sordina la Procura europea, struttura che in sostanza dovrà tappare i buchi neri creati dalle frodi nel bilancio comune. La stima è che siano circa 500 milioni di euro i fondi sottratti a iniziative concrete ma potrebbe essere una stima per difetto. La Procura europea potrebbe rappresentare un salto di qualità rispetto all’Olaf, l’organismo previsto per le indagini amministrative. La Procura, infatti, ad esempio potrà spiccare ordini europei di indagini.

Ma il lavoro  contro corruzione e riciclaggio del denaro sporco, portato avanti dalla lobby italiana, in particolare dall’eurodeputato siciliano Salvatore Jacolino di Forza Italia, va oltre. Tocca temi come l’evasione fiscale. La raccomandazione votata in questa sessione dell’europarlamento, che è la penultima prima delle elezioni che si preannunciano come le elezioni della protesta anti UE, prevede almeno due misure concretissime che ciascun Stato membro dovrà prendere.

Parliamo di due provvedimenti non da poco: si tratta, infatti, dell’abolizione del segreto bancario e del riconoscimento del reato di associazione di stampo mafioso. Dal piano delle frodi comunitarie, fatte in un singolo Paese ai danni delle casse di Bruxelles, si vuole passare al piano dei reati transnazionali. Come dire: l’Italia che non dà certo esempio in tema di frodi fiscali e di criminalità organizzata, pensa in grande in Europa.

A ben guardare, la Procura europea si inserisce in un percorso nato nel 2012 sempre su iniziativa italiana con la cosiddetta Commissione CRIM, la Commissione speciale istituita in seno al Parlamento europeo per capire il peso dei reati di corruzione, riciclaggio, contraffazione in Europa. A ottobre 2013 ne è uscito il rapporto, poi sempre aggiornato, in cui oggi leggiamo dati come quello dei 500 milioni di euro persi ogni anno ma anche percentuali perfino peggiori di quella fotografata dall’Onu a livello mondiale, cioè di un 2,5% del PIL perso in attività illecite e immerso nel giro del lavaggio di denaro sporco. Si tratta di attivitèà sospette che coinvolgono banche, istituzioni finanziarie, consulenti fiscali, notai, commercialisti, gestori patrimoniali, fino ai casino e al settore del gioco d’azzardo.

Ma leggendo tra le righe della Raccomandazione votata, si legge anche che “l’europarlamento afferma che dato che da studi indipendenti è stato dimostrato che il settore del calcio è vulnerabile e allettante per attività criminali e pratiche di riciclaggio di denaro, è necessario assoggettare tale settore alla legislazione in materia di lotta al riciclaggio di capitali”. Si capisce quanto potenzialmente si possa allargare l’orizzonte.

I problemi, e i dati e le evidenze che li identificano, non mancano. Ci si chiede allora come mai sono state forti le resistenze di alcuni Stati membri. Per fare nome e cognome, almeno Olanda, Ungheria, Repubblica ceca e Svezia si sono opposti. Ma c’è da dire che Germania e Francia, pilastri delle decisioni europee, hanno mantenuto a lungo una posizione a dir poco interlocutoria. La resistenza si spiega con l’attitudine ancora viva a fare l’Unione europea lasciando però i punti più scottanti alla sovranità nazionale. Prudenza antica e pericolosa nel momento in cui, se si vuole che i cittadini credano nell’Europa contro i pericolosi nazionalismi esasperati, si deve assicurare loro un’Europa che incide.

In ogni caso, si è arrivati alla Raccomandazione che però non è ancora una Direttiva vincolante. Ma è un testo che rimarrà in eredità al prossimo Parlamento che non potrà ignorarlo.

Resta da dire che se l’Italia, con la sua storia, è l’unico Paese europeo che prevede già nella sua normativa il reato di associazione di stampo mafioso, il Lussemburgo, con la sua storia,  potrebbe essere il primo Paese ad abolire davvero il segreto bancario. I cittadini, che soffrono ancora i disastri sociali della crisi finanziaria prima che economica, vedrebbero misure concrete contro chi a fine mese arriva più che bene qualunque cosa succeda, grazie ai paradisi fiscali attraverso i quali froda i contribuenti onesti. E non importa di quale nazionalità.

testo proveniente da Famiglia Cristiana del 13 marzo 2014

Europarlamento: in forse accordo commerciale Ue-Usa

Europarlamento: in forse accordo commerciale Ue-Usa se prosegue spionaggio Nsa. di Fausta

parlamento2014

L’approvazione del Parlamento europeo dell’accordo commerciale tra Ue e Usa sarà in dubbio se i programmi di sorveglianza di massa non saranno fermati: è quanto emerge dalla risoluzione, votata a Strasburgo, che chiude sei mesi d’indagini sulle attività di spionaggio dell’NSA, la National Security Agency statunitense, dopo le rilevazioni di Snowden. L’Europarlamento ribadisce che “la lotta al terrorismo non può giustificare una sorveglianza di massa segreta e illegale”. Fausta Speranza ne ha parlato con l’europarlamentare del Partito Popolare Europeo Marco Scurria:

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R. – Salvaguardare è uno dei diritti fondamentali della persona, quindi la sua sicurezza, la sua privacy, la sua capacità di non far interferire nella propria vita altre persone e altri elementi. C’è anche un fatto commerciale in tutto questo, perché ovviamente c’è anche la sicurezza delle imprese – nei loro studi, nelle loro capacità di innovare – che non devono essere spiate da altri concorrenti commerciali. Quindi si mette insieme sia l’aspetto individuale che quello delle imprese e si va verso una direzione positiva – secondo noi – perché ci sono delle misure molte chiare sulla tutela o meglio sui limiti della sorveglianza sia tecnologica che di massa, che evidentemente prima non c’erano e che quindi da domani apriranno una strada nuova.

D. – Diciamo che su questa questione della protezione dei dati personali è braccio di ferro tra Unione Europea e Stati Uniti…

R. – Sì! E’ inutile nasconderlo! Però, forse, si sapeva anche di un certo scontro all’interno degli Stati Uniti tra Senato americano e Cia, perché molti senatori americani si sono scoperti spiati dai servizi americani. Quindi forse più che un braccio di ferro tra Stati Uniti ed Unione Europea, c’è un braccio di ferro tra servizi di sicurezza americani – che però fanno anche l’altro, cioè spiano – e i governi e le popolazioni europee.

D. – In ogni caso sembra esserci in ballo l’accordo commerciale tra Unione Europea e Stati Uniti…

R. – Diciamo che questo è stato ovviamente rallentato, perché è chiaro che a fronte di uno Stato importante, come gli Stati Uniti, che invade – a tutti gli effetti – la sfera privata delle persone, delle aziende e anche di personaggi ovviamente rilevanti dei governi europei, far finta di niente e di immaginare che poi il giorno dopo ci si possa sedere tutti intorno a un tavolo e sottoscrivere accordi per migliorare le relazioni, non è immediato. Diciamo che tra amici ci si deve fidare e si è amici se si ha sicurezza negli altri, se invece ci si spia sembra quasi tornare ad una cortina di ferro, in questo caso in maniera nuova tra Stati Uniti ed Europa. Però qualche approfondimento, prima di chiudere l’accordo commerciale, occorre farlo per forza.

D. – Chiariamo che non è che non ci siano scambi commerciali – ci mancherebbe altro! – tra Unione Europea e Stati Uniti, ma questo accordo sarebbe un salto di qualità. In quale direzione?

R. – Questo diciamo che è un accordo che prevedere l’abbattimento di tutta una serie di dazi, tasse e quindi anche spese che le singole imprese hanno nell’esportare i loro prodotti in questo caso per quello che riguarda i prodotti europei negli Stati Uniti, in tutti i campi, cominciando anche da quello agricolo dove l’Europa, e in particolare l’Italia, ha molta forza nella sua capacità di esportazione. Noi abbiamo chiesto che da questo accordo fosse tolto o fosse comunque rivisto in maniera diversa tutto l’aspetto culturale, perché – per esempio – abbiamo le aziende di tutto il mondo del cinema e della cultura in genere che chiaramente da un punto di vista europeo potrebbe rischiare di essere invaso – tra virgolette – dal cinema americano, che sappiamo essere dotato di molti più mezzi, di molti più investimenti rispetto a quello europeo. In tutto il resto si tratta di agevolare uno scambio commerciale e quindi anche limitando la tassazione e i dazi che fino ad oggi rendevano più ostico esportare elementi europei negli Stati Uniti e viceversa.

Testo proveniente da una pagina del sito Radio Vaticana del 13 marzo 2014