Obama al vertice antiterrorismo
A Washington, il vertice internazionale contro il terrorismo. Partecipano almeno 15 governi tra cui la Giordania. Ieri, nella giornata ministeriale preparatoria, Obama ha chiesto di “amplificare le voci di pace, tolleranza e inclusione, soprattutto online”. E ha sottolineato: “Non siamo in guerra con l’Islam, ma contro gente che ha tradito l’Islam”. Ma per saperne di più, Fausta Speranza ha raggiunto telefonicamente a Washington, Khalid Chaouki, parlamentare italiano e musulmano che partecipa ai lavori:
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R. – Al vertice vivo un po’ direttamente quelle che sono le ansie non solo dell’amministrazione americana e del presidente Barak Obama ma di tantissimi Paesi che al di là della collocazione geografica vivono questo momento con grande paura, ma soprattutto con la voglia di trovare insieme delle parole chiave diverse: il terrorismo e l’estremismo non possono mettere in ostaggio la nostra civiltà. E lo spirito qui a Washington è proprio quello di riuscire a superare questa fase rilanciando un futuro di speranza con parole chiave positive e soprattutto verso i giovani, in modo di non lasciarli ostaggi di questa propaganda molto pericolosa. Oggi abbiamo bisogno di mostrare ottimi esempi di convivenza. Per farlo occorre rendere molto visibile la testimonianza dei leader musulmani, delle storie di coraggio che isolano ed hanno isolato l’estremismo. Quindi, serve davvero un’alleanza tra i popoli tra le comunità: in questo, il ruolo dei musulmani è sicuramente fondamentale.
D. – Si è parlato anche di contropropaganda alla propaganda del terrorismo soprattutto online …
R. – Sì, c’è stata una sessione molto interessante di confronto con i massimi soggetti che oggi gestiscono la comunicazione online, le grandi società ma anche esperti mondiali. Oggi l’idea è quella di incentivare una risposta molto più accattivante, molto forte e molto innovativa, studiare anche una rete di giovani soprattutto, che già oggi possa reagire, rispondere in modo ancora più efficace a questa propaganda che, – appunto volutamente – usa le nuove tecnologie perché il suo target è composto da giovanissimi non solo nel mondo arabo musulmano, ma purtroppo anche tra i figli delle comunità islamiche in Occidente.
D. – Il concetto che non siamo in guerra con l’islam è stato sottolineato, però dobbiamo mobilitare tutti contro il terrorismo. Come farlo? E con quale sensibilità, visto che lei è musulmano …
R. – La dichiarazione di Barak Obama non era scontata ed è importante. Non possiamo regalare ai terroristi l’etichetta di “musulmani”. Purtroppo, c’è questo gruppo terroristico che si rifà all’islam ma abbiamo bisogno di distinguerli e di dare fiducia i milioni di musulmani diversi dall’Is che vivono oggi in questo mondo nella regione mediorientale. È molto importante offrire occasioni di cooperazione e far capire ai giovani che può esserci un futuro diverso dalla scelta di rifugiarsi nell’estremismo. E’ importante far capire ai giovani che ci sono oggi occasioni per i giovani musulmani di costruire insieme all’Occidente un futuro di cooperazione e di sviluppo positivo, di individuare i valori comuni che ci sono e che vanno resi ancora più forti. In questo senso non bastano le parole come in passato. Il messaggio qui da Washington è quello di cercare di individuare i momenti concreti di cooperazione soprattutto tra i giovani coinvolgendo le università, le associazioni, le società civili. E si vuole ribadire che l’estremismo non può essere combattuto solo con le guerre: non sono sufficienti e non potranno bastare. Dobbiamo semmai eliminare qualsiasi alibi dall’interno della propaganda e soprattutto lavorare in positivo perché altrimenti faremo gli errori del passato.
D. – È forte l’orrore che vediamo. È forte anche la risposta?
R. – Deve essere forte. La verità è che siamo ancora in una fase di shock. La risposta deve essere intelligente, non solo emotiva. Quindi l’obbiettivo di questo summit è quello di capire come, insieme ai governi, elaborare una strategia a medio e lungo termine. Altrimenti il rischio è quello di alimentare quelle risposte emotive e creare nuovi terreni di radicalizzazione. E soprattutto si rischia di costruire delle fratture con le società musulmane che oggi, invece, devono essere il nostro massimo alleato in questa battaglia.
dal radiogiornale di Radio Vaticana del 19 febbraio 2015