Parlamento Europeo – REUTERS
Basta viaggi della morte, grazie a visti umanitari: è una delle proposte dell’Europarlamento che, con la Risoluzione al voto martedì 12, può segnare un’indicazione in controtendenza rispetto alle recenti chiusure in tema di migrazioni. Gli eurodeputati, che rappresentano i cittadini, presentano un testo che va oltre le indicazioni della Commissione Europea e che chiede chiaramente vie concrete di solidarietà e responsabilità condivisa, in base a principi previsti dai Trattati europei ma inattuati. Delle varie proposte concrete contenute nella Risoluzione,Fausta Speranza ha parlato con l’eurodeputata relatrice Cecile Kyenge, che spiega innanzitutto l’iniziativa del visto umanitario:
R. – Dare la possibilità alle persone di fare la richiesta di asilo direttamente nei Paesi dove si trovano, nelle ambasciate o nei consolati, per poi essere trasferite in un secondo momento nei Paesi di destinazione e arrivo, dove continueranno con tutte le pratiche relative all’asilo. Incominciare, quindi, a fare la richiesta nei Paesi fuori dall’Unione Europea: quelli che noi chiamiamo “corridoi umanitari”, per evitare di farli salire sui barconi della morte.
D. – Canali legali di immigrazione…
R. – Sì, per quanto riguarda l’asilo, per i profughi, questa sarebbe una forma già legale di immigrazione. Però parliamo anche delle vie legali in relazione all’immigrazione economica: ossia di rivedere le politiche di integrazione a livello europeo, che sono molto frammentate, e anche alcune Direttive. Per ora si sta affrontando il tema della “Blue Card” – la “Carta Blu” – la Direttiva europea che regola l’immigrazione altamente qualificata. Allora noi abbiamo chiesto di essere abbastanza ambiziosi e di non limitarci semplicemente ad una piccola categoria, che ha un impatto molto lieve sull’economia e sui lavoratori, e cioè di allargare la prospettiva adattandosi anche ai nuovi bisogni del mercato, e quindi andando oltre l’immigrazione qualificata e guardando anche a altre necessità e altre classi.
D. – In ogni caso, bisogna combattere il traffico indegno degli esseri umani…
R. – Sì, bisogna togliere le persone dalle mani dei trafficanti. Vuol dire guardare a tutte le vulnerabilità, soprattutto quelle relative alle donne, che viaggiano con la famiglia, con i loro bambini, e che sono le più deboli. Molte di loro, poi, durante i percorsi subiscono stupri, vengono violentate. Molte volte arrivano che sono incinta. Ma noi non sempre ci chiediamo il perché siano in quello stato. Loro non riescono a parlare. Invece è compito nostro capire quali sono le cause, e perché sono arrivate in quello stato: anche questo significa lottare contro il traffico di esseri umani.
D. – Nell’emergenza, l’Europa in qualche modo ha aperto le porte, ma poi la percezione è che abbia richiuso le frontiere e abbia affidato alla Turchia, con l’accordo, il compito di fare un po’ il lavoro “sporco”, cioè di gestire i confini: è brutta l’espressione, ma nella percezione c’è chiusura. Questo Rapporto va davvero in controtendenza?
R. – È in controtendenza. Devo dire che la linea del Parlamento europeo è sempre stata quella di dire che la chiusura delle frontiere non è la soluzione. L’accordo con la Turchia è stato criticato, ma proprio per questo si è contribuito a migliorarlo. È chiaro che la Turchia è un partner fondamentale per risolvere questa crisi e questa emergenza che stiamo vivendo attualmente con i profughi, ma non ad ogni costo. E abbiamo chiesto questo: rispettare i diritti della persona; attenersi alla Convenzione internazionale sullo status dei rifugiati. C’è quindi il divieto dei rimpatri di massa, ma bisogna guardare alle situazioni caso per caso, nel rispetto della persona, come richiesto dalla Convenzione di Ginevra.
D. – “Solidarietà”: una parola che nei Trattati europei ha ampio spazio. In questo Rapporto il termine torna spesso…
R. – Sì, è al primo punto: abbiamo iniziato in questa Risoluzione citando la solidarietà e l’equa ripartizione delle responsabilità. Devo dire che tutto è stato messo in moto dal primo viaggio del Papa, a Lampedusa. Non solo l’Italia, ma l’Europa e il mondo intero, avevano perso un po’ di vista la maniera in cui potevano essere elaborate le politiche; Papa Francesco a Lampedusa, con un gesto molto semplice, andò a rendere omaggio ai morti in mare, buttò fiori nel mare. Da lì, è cambiato tutto: abbiamo cominciato a parlare di “persone” e non più di invisibili. Lo scopo era farci capire come si fanno le leggi mettendo dentro quest’ultime anche gli aspetti umanitari e i nostri valori. La parola solidarietà è quella che è alla base poi dello sviluppo, che significherebbe sicurezza per tutti. Il Papa ha iniziato a Lampedusa, e oggi lo ritroviamo a Lesbo. “L’Osservatore Romano” ha chiamato l’isola la “Lampedusa dell’Egeo”: capiamo che è un percorso in cui tornano grandissimi messaggi di umanità. Sull’isola di Lesbo ci sono stata e so benissimo la situazione che si vive lì. Ringrazio il Papa proprio per questo, perché è l’unica persona in questo momento in grado e capace di cambiare le cose.
D. – Un abbraccio umano quello del Papa, che si fa però appello alla politica, soprattutto all’assunzione di responsabilità…
R. – Esattamente, proprio questo. Di carte e convenzioni internazionali ne abbiamo scritte tante, ma l’importante è applicarle. È ciò che ci sta facendo vedere Papa Francesco. Politicamente, come Europa dobbiamo fare di più e questa Risoluzione è un tentativo concreto. Poi, vorrei vedere un’azione molto più forte da parte dell’Onu. E’ essenziale uscire da questa “fabbrica della paura”, accompagnare un cambiamento culturale e allontanare un linguaggio di odio da parte di molti populisti. Sono anni che continuo a denunciare l’importanza del linguaggio, delle parole: dobbiamo andare verso un discorso chiaro, trasparente, e soprattutto rispettoso dell’altro.