Cambia la tipologia dei pellegrini dalla nostra inviata Fausta Speranza Parlano cinese e indonesiano. Sono i nuovi pellegrini che arrivano in Terra santa, in questi tempi generalmente segnati dal calo di visite. È quanto ci racconta il francescano che guida la comunità di Ein Kerem, il villaggio ai piedi di Gerusalemme dove si recò Maria per incontrare Elisabetta, madre di Giovanni Battista. Padre Severino è in questa terra da ventotto anni, ma per venticinque è stato a Betlemme. Arrivato ai tempi della prima Intifada — racconta al nostro giornale — ha poi conosciuto, subito dopo il 1993, la tensione per la delusione degli accordi di Oslo che non portavano risvolti decisivi di vera pace e ha vissuto, nel 2000, lo scoppio della seconda Intifada. Afferma che «oggi in Israele e nei territori palestinesi la situazione è calma, in confronto agli anni passati, ma arrivano sempre meno pellegrini da Europa e America latina». Certamente il vicino conflitto in Siria e tutto il terrore che il sedicente Stato islamico ha portato in Medio oriente non aiutano. Ma padre Severino giustifica il calo con la crisi economica, piuttosto che con il timore di disordini e violenze. Ci spiega anche che, chi arriva, lo fa in gran parte senza ricorrere ad agenzie ma organizzando, con la famiglia o pochi amici, trasferimenti e alloggio. Sottolinea con un sorriso che davvero tanti arrivano negli ultimi tempi da Pechino. Un tempo le case dei francescani per pellegrini, definite Casanova, erano una quindicina. Oggi ce ne sono una a Gerusalemme, una a Betlemme, una a Nazareth. Da poco si è aggiunta proprio quella a Ein Kerem, dove padre Severino, che l’ha fortemente voluta, ci racconta con orgoglio che offre anche un servizio di ristorazione la sera, per la popolazione locale. Il villaggio di En Kerem era popolato da arabi, ma al momento della nascita dello Stato di Israele, nel 1948, se ne sono tutti andati via, a eccezione di una sola famiglia di arabi cristiani. Negli anni si è ripopolato di ebrei. Oggi, la comunità cristiana, che gravita intorno alla basilica di San Giovanni Battista, è formata di solo quattro fedeli, in comunione con i dieci frati che abitano il convento e gestiscono la casa di accoglienza. Padre Severino, che è polacco e al secolo si chiama Leszek Lubecki, ci racconta di curare personalmente la cucina del convento e del servizio di ristorazione e ci confida la soddisfazione di avere molti clienti ebrei che prenotano per la cena. Afferma che «si tratta di un segno dei tempi». Spiega all’Osservatore Romano che «i francescani in Terra santa si sono ritrovati più spesso facilmente a contatto con il mondo arabo, cristiano nella minoranza e musulmano nella maggioranza, ma che è stato bello e importante avviare un rapporto nuovo e più intenso con gli ebrei negli ultimi anni». Ci dice che, in particolare, si deve a padre Pierbattista Pizzaballa, che è stato custode di Terra santa dal 2004 fino all’elezione a maggio scorso di padre Francesco Patton. Padre Pizzaballa «conosceva l’ebraico molto bene e ha favorito e incoraggiato tale scambio». Incontriamo padre Severino in un viaggio che ci porta al cuore del contributo dei francescani in Terra santa, in vista del significativo anniversario che cadrà nel 2017: ottocento anni di presenza a tutela dei luoghi santi, a cura delle pietre che hanno vissuto la storia di Cristo, ma anche delle persone, “pietre vive” della Chiesa. Con lui parliamo di sfide antiche, diverse come le diverse vicissitudini di questa terra nei secoli, e delle sfide attuali per i cristiani di oggi, che tra Israele e Palestina sono 250.000, cioè il 2 per cento della popolazione. Ma la Custodia di Terra santa, la provincia dei francescani che comprende questi territori, si estende fino a Siria, Libano, Cipro, Rodi. E padre Severino, ce lo ricorda subito, invitandoci a guardare alla Siria, Paese martoriato da cinque anni di conflitto, e ricordando i confratelli che «sono rimasti soli in territori da cui sono fuggiti tutti», come la zona che ci cita al confine con la Turchia. Ci dice: «Quei confratelli più di tutti noi, attendono l’incoraggiamento del nuovo custode, padre Patton». Di padre Francesco Patton, tutti ci dicono in questi luoghi che sta già portando la sua personale testimonianza di dialogo, nella migliore tradizione francescana. Ha appena terminato, sabato 18 giugno, il ciclo di celebrazioni liturgiche che accompagnano l’ingresso del nuovo custode nei vari siti. Sabato scorso, è stata la volta della basilica dell’Annunciazione a Nazareth, dove, accolto da molti fedeli e rappresentanti di diverse fedi, ma anche da autorità civili, ha portato la sua benedizione alla grotta di Maria, nel piano inferiore della basilica, e ha poi guidato la consueta fiaccolata, ai primi vespri della domenica, nelle vie limitrofe, con la recita del rosario in varie lingue. Il 6 giugno c’era stato il primo ingresso solenne a Gerusalemme. Nei giorni successivi, sono seguite le celebrazioni al Santo Sepolcro e al Cenacolo, e poi l’arrivo a Betlemme e la prima messa a Giaffa, l’11 giugno, in occasione della festa di Sant’Antonio. Per padre Patton la prossima celebrazione solenne sarà il 24 giugno, proprio nella basilica di San Giovanni Battista a Ein Kerem. Ma sarà a luglio, precisamente dal 3 al 5, che padre Patton presiederà il suo primo capitolo custodiale a Gerusalemme. Finora ai confratelli ha ripetuto di essere arrivato in Terra santa “in punta di piedi”, in ascolto, venendo da esperienze diverse. Il capitolo sarà il momento per assumere la guida della custodia, ottocento anni dopo la nascita delle province dell’ordine francescano e nella memoria della visita di Francesco di Assisi in questi luoghi, negli anni tra il 1218 e il 1220, quando, pellegrino di pace in tempo di guerra, in piena v crociata, incontrava il sultano Malek el-Kamel. Da allora, ribadiscono i frati, il messaggio evangelico di pace è sempre lo stesso. Osservatore Roma, 22 Giugno 2016 |