Il passo indietro di Boris Johnson di Fausta Speranza La Brexit non finisce di stupire, oltre che dividere. Lo dimostra il passo indietro compiuto ieri dall’ex sindaco di Londra, Boris Johnson, vincitore dal referendum per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, per il quale sembrava scontata la candidatura alla successione di David Cameron. Al suo posto, per il ruolo di premier si fa ora il nome di una donna, Theresa May, l’attuale ministro dell’Interno che, pur non avendo mai nascosto il proprio euroscetticismo, meno si è esposta sulla Brexit. Boris Johnson, dipinto dai media come solidale amico di Michael Gove, proprio dal Lord Cancelliere e segretario di Stato della Giustizia britannica è stato definito non adatto a candidarsi alla leadership del partito conservatore e dunque al ruolo di premier dopo l’annuncio delle dimissioni di David Cameron. I tempi prevedono prima la votazione all’interno del partito il 2 settembre, e poi l’investitura alla conferenza di autunno, il 2 ottobre. Per il ruolo di capo del Governo, oltre alla figura di Gove, guadagna posizioni Theresa May, che i media già definiscono la nuova Margaret Thatcher. May, che nel 2012 è diventata la seconda presidente donna dei conservatori, respinge i paragoni con la “lady di ferro” e quelli con Angela Merkel, ma ricorda che ha un nonno sergente maggiore dell’esercito, per sottolineare di avere i requisiti adatti a governare i sudditi britannici. Il referendum ha spaccato il Regno Unito, ha contrapposto la vecchia e la nuova generazione, ha creato divisioni interne a conservatori e laburisti. Questi risvolti potevano anche essere messi in conto. Più difficile, invece, era prevedere che proprio la guida del fronte vittorioso, dopo un brevissimo festeggiamento, si ritirasse quasi sottotono. Era davvero arduo infatti immaginare che, invece di rivendicare la vittoria, fossero in tanti a prenderne le distanze. Ma questo succede, se Johnson è costretto a ritirarsi, dopo essere stato acclamato vincitore e probabile futuro premier. A questo punto bisogna capire se il sì alla Brexit venga davvero percepito come una vittoria. È fuori discussione che l’espressione della volontà del popolo sovrano sia comunque un’affermazione della logica democratica. Ma dalle vicende di queste ultime ore appare meno scontato che l’uscita dall’Unione europea sia considerata una conquista da tutti coloro che l’hanno voluta, il 51,8 per cento dei votanti. E i sondaggisti sembrano confermare: in tanti non rivoterebbero il fronte Leave. Chi si accinge a guidare il Governo britannico deve tener conto di tutto questo. C’è chi addirittura ritiene che si debba considerare l’ipotesi, davvero poco probabile, di un nuovo referendum. Più sicuro è il fatto che il nuovo premier dovrà fare i conti con la Scozia, decisa a rimanere nell’Unione europea. Resta da considerare il valore di un voto popolare che va innanzitutto rispettato e che, se smuove pedine inattese, rimanda alle parole attribuite a Winston Churchill. Non si sa se le abbia davvero pronunciate ma tradizione vuole che, all’annuncio della sua sconfitta alle elezioni del 1945, lo statista, che aveva guidato la Gran Bretagna durante tutto il drammatico sviluppo del conflitto mondiale, abbia commentato: abbiamo combattuto contro il nazismo perché episodi come questi potessero verificarsi. Osservatore romano 2 Luglio 2016 |