Giornata mondiale contro la violenza sulle donne

di Fausta Speranza

         Dal 25 novembre al 10 dicembre corre un filo ideale: la giornata mondiale per l’eliminazione della violenza sulle donne, che si celebra oggi, si collega alla giornata voluta, dal 1948, per il riconoscimento dei diritti umani.

         Pur trattandosi sempre di violazioni dell’integrità e del valore della persona, nel 1999 l’Assemblea generale dell’Onu ha voluto una giornata a parte per ricordare che il settanta per cento delle donne nel mondo sono vittime di violenza fisica o sessuale da parte di uomini. Ma non va dimenticato il legame che deve portare prima o poi a ricongiungere le due giornate. Di dignità di ogni essere umano come tale, in ogni caso, si tratta.

         Oggi più di cento paesi sono ancora privi di una legislazione specifica contro la violenza domestica. Casi aberranti, come l’acido gettato su volti femminili, continuano a registrarsi soprattutto in Asia meridionale, perfino in Europa. Gli stupri non diminuiscono. Tralasciando i casi di sevizie sessuali come arma di guerra nei conflitti, si stima che ogni 22 minuti uno stupro avvenga in India, seconda nazione più popolosa del mondo. Anche in paesi abitualmente considerati all’avanguardia su questi temi, le cifre sorprendono: in Canada una donna su diciassette è stata vittima di violenza sessuale e la Svezia detiene il triste primato di stupri tra i paesi europei.

A questo si aggiungono tutte le difficoltà nel denunciare questi fatti terribili. Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Onu, solo una donna su cento se la sente di uscire allo scoperto e parlare. Ovunque non diminuiscono molestie e violenze sessuali, anche di gruppo. Diminuisce solo l’età di vittime e aguzzini e aumenta il numero di quanti vengono ripresi con il telefonino e finiscono su internet, amplificati nella loro ferocia. L’indigenza e le mancate opportunità di studio riguardano un numero di ragazzine doppio rispetto ai coetanei maschi.

         In un simile scenario, che cosa fare? Nel rapporto dell’Onu per il 25 novembre 2016, si legge che «deve diffondersi sempre di più la consapevolezza che la violenza contro donne e giovanissime è non solo una violazione dei diritti umani, ma è anche una emergenza sanitaria e un serio ostacolo allo sviluppo sostenibile». Il messaggio è chiaro e urgente: «C’è ancora molto che si può e si deve fare in termini di risposte e di prevenzione», anche nei casi di violenza psicologica oltre che fisica.  Si parla di «azioni concrete nel sociale e di sensibilizzazione profonda per cambiare il piano della mentalità diffusa», che è «ancora ovunque troppo incline all’accettazione».

         La responsabilità è di tutti, come ha sottolineato anche il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, affermando che «la violenza, l’abuso, usati come strumento di imposizione, sopraffazione, sono il volto di una visione primordiale dei rapporti tra le persone che va contrastata anzitutto da parte della comunità». Ricordando che «a sommarsi sono violenze collettive e individuali, generate da guerre e conflitti, dal prevalere di stereotipi aggressivi, maturate tra le mura domestiche, nell’ambito di relazioni sentimentali», Mattarella ha rinnovato un appello chiarissimo: «A questi abusi non possiamo rassegnarci, perché ne va della dignità umana».

         L’Onu propone quest’anno mobilitazioni in tutto il mondo colorate di arancione, tinta scelta per simbolizzare un futuro luminoso senza violenza. E l’invito è a mantenere vive le iniziative almeno fino al 10 dicembre, perché il filo corra più stretto tra le due giornate e la trama dell’impegno si rafforzi ovunque. Ne va del valore universale della persona.

Osservatore Romano, 25 Novembre 2016

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