Svolta Radicale

Sanità, ambiente e immigrazione i punti chiave dell’agenda interna del tycoon

di FAUSTA SPERANZA

Svolta radicale: è questa l’espressione usata più volte da Donald Trump per definire le decisioni che prenderà da presidente degli Stati Uniti in tema di politica interna. Tante le questioni sollevate: dalla riforma sanitaria a quella di Wall Street, dalla politica industriale alle grandi infrastrutture nazionali. Dopo le parole, dal 20 gennaio il nuovo capo della Casa Bianca passerà ai fatti. A differenza di Obama, Trump è un presidente forte della maggioranza del suo partito al Congresso, ma è anche vero che il confronto per le presidenziali ha portato divisioni nel paese non solo tra repubblicani e democratici ma anche all’interno del Grand Old Party. Da abolire perché troppo costosa e, in realtà, fallimentare: la posizione di Trump sulla riforma sanitaria di Obama è chiara, ma resta da definire la strada da percorrere per assicurare un’alternativa in un campo che sta molto a cuore ai cittadini statunitensi. Nei giorni scorsi Trump ha affermato di avere come obiettivo «un’assicurazione sanitaria per tutti», lasciando intendere che chiarirà presto i punti precisi del suo piano. E sempre in campo sanitario ha fatto ancora più scalpore l’annuncio di un nuovo corso nei rapporti con le case farmaceutiche che — ha detto il tycoon in un’intervista al «Washington Post» — «dovranno trattare sui prezzi con il governo per abbassare i costi». La riforma sanitaria viene vista comunque come un singolo aspetto della questione sociale più vasta, segnata da una crisi che risulta superata negli indici economici, ma è ancora viva sulla pelle della gente, soprattutto della classe media. Il tasso di disoccupazione resta del 5 per cento in un paese abituato a livelli vicini allo zero. La promessa di Trump è stata precisa: migliorare la vita di tutti coloro che si sono sentiti danneggiati dalla globalizzazione. Di qui l’intenzione di rivitalizzare l’imprenditorialità nazionale, dando avvio al piano per il rinnovamento delle infrastrutture e chiedendo alle imprese di tornare a produrre negli Stati Uniti. Un altro capitolo importante è l’ambiente. In campagna elettorale Trump si è distinto per il pesante ridimensionamento delle politiche per arginare i cambiamenti climatici e ha fatto alcune proposte concrete in tema di energia: abolire o riformare il Clean Power Plan (la legge del 2015 sulle energie pulite) e soprattutto il Clean power plan for existing power plants (sulla riqualificazione degli impianti), che potrebbe implicare effetti sulle emissioni di anidride carbonica. C’è poi il nodo dell’immigrazione. Molti suoi elettori hanno votato convinti che gli stranieri mettano in pericolo il loro standard di vita e, dunque, si aspettano l’annunciata espulsione di tre milioni di clandestini e la costruzione del muro per bloccare gli ingressi irregolari dal Messico. Ma tutto ciò dovrebbe reggere alla prova dei fatti. I media hanno riferito che un piano per le espulsioni potrebbe costare seicento miliardi di dollari e richiederebbe l’uso di un contingente di novantamila persone come «personale per l’arresto». Sembra molto difficile da attuare anche se, bisogna ricordarlo, l’amministrazione uscente ha rimpatriato milioni di immigrati. Sembra più facile invece ipotizzare che, come promesso, Trump decida di sospendere il programma Deferred action for childhood arrivals promosso da Barack Obama. Il programma permette alle persone senza permesso di soggiorno che sono state portate nel paese da bambini di lavorare legalmente ed essere protetti dall’espulsione. Il nuovo presidente potrebbe poi sospendere con altrettanta facilità anche il programma per l’accoglienza dei rifugiati siriani. Obama ha avviato questi programmi emanando ordini esecutivi, che non sono permanenti come una legge approvata dal Congresso. Trump potrebbe quindi cancellarli già nel primo giorno del suo mandato. Si tratta comunque di tutte mosse annunciate e, al momento, restano pagine di storia statunitense ancora da scrivere.

Osservatore Romano, 19-20 gennaio 2017