Dilemma a Westminster

Per la Brexit nessun accordo o rinvio

di Fausta Speranza

LONDRA, 13. La camera dei comuni ha respinto per la seconda volta il piano sulla Brexit del premier Theresa May, con 391 voti contrari e 242 a favore. Oggi, dunque, si tornerà a votare per decidere se procedere con l’uscita dalla Ue anche senza l’a c c o rd o . May aveva difeso il testo concordato con Bruxelles a novembre scorso e respinto a gennaio, apportando solo alcune modifiche. E lo aveva rinegoziato fino all’ultimo, incontrando lunedì sera a Strasburgo il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. Le piccole modifiche in tema di backstop non sono state tuttavia sufficienti a convincere i più critici, che da subito si sono manifestati in gran numero all’interno della maggioranza. Le modifiche concordate riguardavano in particolare la clausola di garanzia relativa al mantenimento della libertà di transito e doganale tra Irlanda e Irlanda del Nord. Secondo May, le aggiunte rendevano di fatto improbabile l’applicazione della clausola e comunque la rendevano realmente temporanea e circoscritta. Ma gli aggiustamenti non hanno convinto affatto molti deputati tra i conservatori e tra gli unionisti nordirlandesi del Dup. Resta sul tavolo anche un’altra ipotesi: un voto oggi contro il “no deal” porterebbe a una nuova consultazione parlamentare, da tenersi domani, per autorizzare o meno il governo a chiedere all’Ue un lieve rinvio della Brexit.

Nessun accordo: non è solo la traduzione dell’espressione inglese “no deal” — ipotesi sulla quale il parlamento britannico è chiamato a pronunciarsi oggi — ma è anche la fotografia di quanto sta accadendo nel Regno Unito. Si tratta della seconda sconfitta per la linea del capo del governo conservatore e sui giornali britannici si leggono parole come «Caos» e «disfatta». «May perde il controllo della Brexit», titola il «Financial Times», secondo il quale l’autorità del premier è ormai «a brandelli». «Un’altra sonora sconfitta per la May e mancano solo 16 giorni alla Brexit», si legge sulla prima pagina del progressista «The Guardian». Secondo quanto scrive «The Times», una delegazione di autorevoli Tory potrebbe chiedere a May di dimettersi, aprendo alla possibilità di elezioni anticipate. Il portavoce del presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha commentato il voto: «Ci dispiace, ma da parte europea abbiamo fatto tutto il possibile per raggiungere un accordo. Visto le assicurazioni aggiuntive fornite a dicembre, gennaio e anche lunedì sera, è difficile vedere cosa altro possiamo fare: se c’è una soluzione all’attuale impasse, può essere trovata solo a Londra». E Bruxelles chiarisce: «Se ci sarà una richiesta ragionata da parte del Regno Unito per un’uscita posticipata, i 27 paesi dell’Ue la valuteranno e decideranno all’unanimità».

A sostenere la linea del rinvio è la Confindustria britannica. Carolyn Fairbairn, direttore generale della Confederation of British Industry, chiede di prorogare l’articolo 50 ma sottolineando che «serve un nuovo approccio: i Conservatori devono rinunciare ai loro paletti, il Labour deve sedersi al tavolo con un autentico impegno per trovare soluzioni». Fairbairn chiosa: «È ora di fermare questo circo». A questo punto, May deve rispettare la promessa di mettere ai voti oggi la successiva mozione per esprimere un sì o un no a proposito della possibilità del “no deal”, cioè la Brexit senza accordo. A seconda di quanto emergerà, domani il premier potrebbe presentare alla camera il testo con la richiesta all’Ue di un «breve» slittamento della Brexit.

Dopo mesi in cui la possibilità del “no deal” è stata evocata come lo scenario nefasto da evitare, a questo punto la camera dei comuni potreb be votare a favore dell’ipotesi che il Regno Unito lasci immediatamente l’Ue il 29  marzo  senza negoziati né rassicurazioni in merito ai rapporti futuri tra le parti. Il “no deal” costringerebbe le  imprese  a dover fronteggiare  costi maggiori e nuovi vincoli doganali e  le priverebbe dei cosiddetti  passporting rights, ossia i diritti di scambiare beni e servizi con l’Ue senza necessità di licenze e permessi. Potrebbe mettere in discussione trasporti e operazioni commerciali: il Regno Unito potrebbe essere trattato come un paese terzo assoggettato alle regole dell’O rganizzazione mondiale del commercio. Oggi il ministro delle politiche commerciali, George Hollingbery, ha cercato di rassicurare spiegando che in caso di “no deal” «saranno impostati a zero la maggior parte dei dazi britannici sulle importazioni». Ma il punto è che Londra non può decidere per l’Ue. Le due parti potrebbero decidere effettivamente di mettere in atto accordi specifici e temporanei su singoli aspetti. Ma è tutto da ver i f i c a re .

Le possibili conseguenze

Crollo della sterlina, impennate dei prezzi, esodo di grandi gruppi internazionali: la Brexit senza accordo potrebbe essere lo scenario peggiore per l’economia del Regno Unito con serie ripercussioni per le imprese e i consumatori. Secondo  lo studio commissionato dal governo britannico, il “no deal” p otrebb e costare al paese più del 10 per cento del suo pil in 15 anni. Il governatore della Bank of England (BoE), Mark Carney, nello scenario più oscuro prevede: perdita di valore per la sterlina del 25 per cento e crollo nei prezzi degli immobili residenziali del 30 per cento; inflazione al 6,5 per cento; disoccupazione al 7,5 per cento. Nell’ipotesi, Carney ha già chiesto alle banche di aumentare i fondi facilmente mobilitati, che ora superano i 1.000 miliardi di sterline in totale. La reintroduzione di dazi doganali e passaggi burocratici lascia immaginare enormi ingorghi di autoveicoli sui due lati del Canale della Manica, dove sono situati i principali porti tramite i quali si svolgono gli scambi di merci tra paesi Ue e Regno Unito, in particolare, nel sud dell’Inghilterra. Il consiglio della Contea di Kent prevede intorno al porto di Dover fino a 10.000 autotrasporti in attesa, il che significherebbe una coda di oltre 25 chilometri.

L’Osservatore Romano, 14 Marzo 2019

Strasburgo dà una mano a May

 

Accordo sul backstop in vista del voto a Westminster

dal nostro inviato a Strasburgo Fausta Speranza

LONDRA, 12. Il Parlamento inglese si accinge a votare questo pomeriggio l’accordo che regola la Brexit. Il premier Theresa May ieri sera si è recata a Strasburgo per un incontro con il presidente della Commissione europea Jean-Claude Junckere e  il capo negoziatore Michel Barnier, durante il quale i rappresentanti delle istituzioni europee hanno fatto qualche concessione alle richieste britanniche in merito al cosiddetto “backstop”, la soluzione per regolare temporaneamente la questione del confine tra Irlanda e Irlanda del Nord.

Le concessioni riguardano proprio la temporaneità della soluzione, garantita da clausole legali. Un risultato che consente a Theresa May di presentarsi al voto di oggi con qualche chance in più di vedere approvato l’accordo. «A volte arriva anche una seconda possibilità — ha detto ieri Juncker commentando l’incontro di Strasburgo — tuttavia non ce ne sarà una terza».Il pericolo per Theresa May è che il Parlamento possa bocciare anche questo estremo tentativo di intesa con l’Unione europea  (il leader dell’opposizione, James Corbyn, ha già commentato negativamente l’accordo). Se ciò accadesse, alla luce anche delle ultime parole di Juncker, la strada che si apre è quella che conduce a una uscita senza accordo,sulla quale tuttavia il parlamento potrebbe essere chiamato a decidere già domani, un nuovo referendum o la richiesta di un lieve slittamento dei tempi: la data prevista per l’uscita del Regno Unito dall’Ue è attualmente il prossimo 29 marzo,

L’Unione europea tende la mano al Regno Unito sul backstop, la clausola di garanzia sul confine irlandese. Si tratta di concessioni che potrebbero essere sufficienti a convincere il parlamento inglese ad approvare il piano per la Brexit che il premier Theresa May presenterà questo pomeriggio alla camera dei comuni, dopo la bocciatura del primo testo a gennaio. Ieri sera May è venuta a Strasburgo per avere un colloquio con il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, e il capo negoziatore Ue Michel Barnier. Ha incontrato anche Antonio Tajani, il presidente dell’Europarlamento riunito in questi giorni in plenaria. «A volte arriva una seconda possibilità», ha detto Juncker aggiungendo:«Lo dobbiamo alla storia». Ma ha anche precisato con fermezza che «non ce ne sarà una terza». Il colloquio a Strasburgo è stato deciso e annunciato solo poche ore prima e, secondo il premier britannico, ha «scongiurato il rischio di una perdita di sovranità parziale sull’Irlanda del Nord, parte della Gran Bretagna e quindi non Ue, a vantaggio della tutela dei diritti della Repubblica d’Irlanda, paese membro dell’Unione».

Si tratta di piccole modifiche ai documenti che accompagnano l’accordo principale. Il punto nodale è sempre il backstop, cioè la soluzione temporanea per mantenere aperto il confine tra Irlanda e Irlanda del Nord, che entrerà in vigore dal 2021 se i  27 paesi membri Ue e Londra non avranno trovato, entro quella data, un accordo definitivo sulle loro relazioni future. In sostanza, quello che l’intesa in extremis di ieri sera dovrebbe fare, nelle intenzioni di May e di Juncker, è fornire chiarimenti e rassicurazioni su come verrà implementato il backstop e sul fatto che rimarrà comunque una soluzione temporanea.

Precisamente, i due hanno spiegato di essersi accordati su una dichiarazione «legalmente vincolante» che dovrebbe impedire il permanere indeterminato di un’unione doganale temporanea, impegnandosi a negoziare per superare questa ipotesi. Se non dovessero farlo — si legge nel documento — l’altra parte potrebbe decidere di abbandonare unilateralmente l’unione doganale prevista. Praticamente l’obiettivo è convincere i parlamentari britannici conservatori che il backstop non diventerà mai permanente. In realtà, si vorrebbe far sì che proprio non si arrivi a dover usare il backstop e per questo è stata fissata una nuova scadenza per i negoziati: entro il dicembre 2020 si dovranno trovare alternative. In questo modo — ha sottolineato May —se anche si arrivasse al 2021 senza accordo, ci sarebbero altri modi per gestire la situazione. E Londra non rimarrebbe mai “intrappolata” nel backstop. C’è anche una postilla che però si presenta come un’interpretazione unilaterale”: il premier britannico ha voluto affermare che sosterrà di avere diritto ad abbandonare il backstop in ogni caso, se si arrivasse a quel punto. Appare come una specifica che May ha deciso di inserire nell’accordo per mostrare la volontà politica del suo governo. Juncker dopo una prima perplessità ha accettato perché legalmente — visti i postulati — non avrà grandi conseguenze.

A questo punto si guarda al voto previsto nel tardo pomeriggio di oggi alla Camera dei comuni. Se l’accordo verrà approvato, inizieranno i lavori per permettere l’uscita del Regno Unito dall’Ue entro la data prevista del 29 marzo. A Londra, l’annuncio è stato dato in una dichiarazione ufficiale ai Comuni, dopo le 22 locali, dal vicepremier David Lidington, secondo il quale l’ultima estenuante maratona negoziale ha portato «cambiamenti legalmente vincolanti che rafforzano e migliorano» l’accordo — raggiunto a novembre tra le parti ma bocciato a Westminster a gennaio — e la dichiarazione politica allegata. Il valore giuridico del supplemento d’intesa deve essere formalizzato oggi dall’Attorney general Geoffrey Cox dinanzi ai deputati prima del voto. Lidington si è detto convinto — rispondendo al laburista Keir Starmer, che sostiene il contrario — che l’aggiunta abbia lo stesso peso, in termini di diritto internazionale, dell’accordo.

Il punto è che l’intesa di ieri, pur non soddisfacendo appieno tutte le richieste dei più oltranzisti della maggioranza formata da conservatorie unionisti nordirlandesi del Dup, potrebbe far rientrare buona parte del dissenso all’interno della coalizione. Le prime reazioni — da quella del Tory brexiteer Ian Duncan Smith a quella del capogruppo del Dup, Nigel Dodds — si sono trincerate dietro la necessità di aver il tempo necessario per «leggere bene le carte», facendo trapelare comunque soddisfazione. Negativa, invece, la prima reazione del leader dell’opposizione Jeremy Corbyn, che ha dichiarato che «i negoziati sono falliti» e che «l’accordo non contiene niente che si avvicini ai cambiamenti promessi». Per questo, secondo il leader del Labour, l’accordo va respinto. Si vedrà cosa deciderà la Camera dei comuni. Dalla Borsa trapela ottimismo: la sterlina in apertura dei mercati ha guadagnato lo 0,4 per cento sul dollaro e lo 0,3 sull’euro .

Da Downing Street assicurano che May, nell’eventualità di una nuova bocciatura oggi, onorerà la promessa fatta di mettere ai voti domani, mercoledì 13, una successiva mozione per esprimere un sì o un no a proposito della possibilità del no deal, cioè la Brexit senza accordo. A seconda del voto, giovedì 14 potrebbe presentare un secondo testo sulla richiesta all’Ue di un “breve” slittamento della Brexit. Tutte soluzioni di riserva che a questo punto potrebbero non servire più.

L’Osservatore Romano, 13 Marzo 2019