Il team di NewsGuard segnala siti attendibili e non
di FAUSTA SPERANZA
Si chiama NewsGuard e combatte le fake news: parliamo dell’organizzazione nata negli Stati Uniti nel 2018 e sbarcata nei mesi scorsi in Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia: una task force di professionisti della comunicazione che fiuta e denuncia fonti on line non attendibili. Ieri, alla sede della Stampa estera a Roma, è stato presentato il frutto dell’impegno di monitoraggio su siti in italiano, in una conferenza stampa che è diventata occasione di confronto tra giornalisti e studiosi del settore. A spiegare lo spirito dell’iniziativa e il funzionamento in concreto sono stati lo stesso fondatore e co-Coe di NewsGuard, Gordon Crovitz, e Giampiero Gramaglia, già direttore dell’Ansa e Senior Advisor di NewsGuard in Italia. Non è una pagella e non prevede oscuramenti o tantomeno qualunque cosa che assomigli a una censura. Si tratta piuttosto di una sorta di bollino di garanzia rilasciato a siti di informazione che, in base a una attenta analisi, risultino rispondere a nove criteri universalmente riconosciuti come essenziali per una buona informazione: dalla veridicità e correttezza all’imp egno del cosiddetto factchecking, cioè la verifica delle notizie; dalla rettifica di eventuali errori alla trasparenza sulle fonti di statistiche, rapporti etc. Nessuna correlazione con posizioni ideologiche: l’elemento discriminante è l’attendibilità, dato essenziale per qualunque elaborazione di giudizio da parte del cittadino utente dell’informazione. Distinguere, nel mare magnum dell’info on line, le cosiddette fake news dalle informazioni corrette è la sfida epocale di un mondo che appare più globale e connesso, ma anche più indistinto e frammentato. L’impresa è ardua. Se il primo passo indubbiamente non può che essere la consapevolezza, la prospettiva in Italia sembrerebbe incoraggiante visto che, secondo il sondaggio, segnalato ieri, condotto da YouGov — società internazionale di ricerche di mercato e analisi dei dati basata su Internet — il 92 per cento dei cittadini della penisola sostiene di ben riconoscere la problematica. Ma Crovitz ha spiegato che può non bastare, facendo l’esempio di un sito pieno di notizie false il cui nome, precisamente l’U rl (la sequenza di caratteri che identifica univocamente l’indirizzo di una risorsa in Internet) si richiamava sfacciatamente a una nota emittente televisiva differenziandosi praticamente di un nonnulla ma riuscendo a depistare l’utente su una piattaforma gestita da persone in Australia e infarcita proprio di fake news. Non solo. A fronte della presunta consapevolezza di “navigare” tra false notizie, c’è un altro dato che deve far riflettere. Lo ha ricordato Marco Dalmastro di Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni: l’Italia è tra i primi paesi europei per “dispercezione”, ossia lo scollamento tra la verità dei fatti e la percezione nell’opinione pubblica. Due esempi: diminuiscono i reati sul territorio nei dati oggettivi, ma le persone parlano di aumento delle violenze; l’Italia ha molti meno immigrati rispetto ai paesi del Nord Europa, ma campeggia la convinzione che la penisola ne conti un numero record. In tema di falsità, inquieta particolarmente quello che è stato definito pochi giorni fa dal capo dello stato italiano Sergio Mattarella il «negazionismo scientifico», cioè le presunte smentite di convinzioni mediche con le quali si mina la credibilità degli studi scientifici. Silvia Bencivelli, altro Senior Advisor di NewsGuard per l’Italia, che è medico prima che giornalista scientifica, ne ha citate diverse, tra cui quella per cui sindromi riconducibili all’alterazione del Dna vengono citate tra le conseguenze possibili dei vaccini. Un’assurdità prima di tutto temporale, visto che il Dna si compone al formarsi del feto. Si capisce l’importanza che può avere una spunta verde accanto all’Url di un sito rilasciata come garanzia di autorevolezza, in alternativa a un segnale rosso che indica di trovarsi di fronte a un sito che non risponde ai suddetti criteri di veridicità. È proprio questo l’impegno di NewsGuard, che, prima di assegnare il suo “semaforo” di qualità, contatta l’eventuale sito scorretto o invita a far meglio chi risponde solo ad alcuni dei criteri. Il frutto dell’impegno di pochi mesi si rivela sorprendentemente concreto: ben 500 siti sono corsi ai ripari dopo le segnalazioni. Per gli impenitenti, resta il bollino rosso. Per gli utenti uno strumento che, se non può essere certo risolutivo di tutta la problematica, può essere molto utile come bussola di navigazione. Ma l’importanza dell’incontro – dibattito di ieri non è ben messa in luce se non si dà atto di una ammissione importantissima finalmente ascoltata da parte di autorevoli giornalisti: le fake news non sono nate con Internet, che rappresenta solo una cassa di risonanza più permeante e impositiva di altre, ma non ha inventato la distorsione dell’informazione, la strumentalizzazione politica, il «brutto giornalismo». Nasce da lontano la disaffezione per il giornalismo tradizionale, poi alimentata ad arte dal complottismo e dalle bufale in rete, che ha spinto tanti a valutare post veloci e superficiali sui social media alla stessa stregua di articoli documentati, dimenticando che serve trasparenza sulle fonti, possibilità di verifiche e riscontri per fare una notizia.