Fausta Speranza – Città del Vaticano
Giovedì 12 in Algeria si vota per eleggere un nuovo presidente per la prima volta dalle dimissioni di Abdelaziz Bouteflika, costretto di fatto a lasciare il suo incarico all’inizio di aprile scorso per la pressione di milioni di algerini. Ma il movimento di opposizione, che si chiama Hirak, boigotta il voto ritenendo che i candidati non rispondano alla domanda di vero cambiamento. Abbiamo intervistato Luciano Ardesi, esperto di paesi del Maghreb:
R. – Il movimento Hirak, come si chiama in arabo, contesta le elezioni di domani. Vorrebbe che si tenessero elezioni solo e soltanto dopo il ricambio del sistema di potere. Quindi chiede che se ne vadano tutto il governo e tutto il parlamento. Vorrebbe le elezioni dopo un rinnovo delle istituzioni attraverso un percorso di transizione, che però non è ancora molto chiaramente disegnato dai manifestanti.
Tra i candidati ci sono ex politici già con altre cariche significative…
R. – Sì, ci sono cinque concorrenti, due ex ministri, due ex primi ministri e altri tre ministri, ex esponenti di precedenti governi. Quindi questo anche ha lasciato perplesso il movimento di protesta perché di fatto, qualunque sarà il vincitore, non ci sarà un vero e proprio ricambio di personalità politiche.
Intanto in tutto questo il ruolo dell’esercito qual è?
R. – L’esercito più che mai è il perno del sistema di potere in Algeria. L’esercito ha preso in mano la situazione, in modo particolare il capo delle forze armate, il generale Gaid Salah che in un primo momento aveva promosso la candidatura del presidente Bouteflika ad un quinto mandato e che poi sotto la pressione del movimento popolare invece ha costretto alle dimissioni lo stesso Bouteflika e poi ha disegnato il percorso che ha condotto, dopo due rinvii, alle elezioni presidenziali. Quello dell’esercito è praticamente un ruolo che si conferma ininterrottamente, fin dall’indipendenza del Paese. Diciamo che la repressione è aumentata nel corso dei mesi; oggi ci sono circa 150 rappresentanti del movimento di protesta che sono in prigione, detenuti con o senza processo e a parte questo c’è stato un tentativo in qualche modo di ripulire il sistema attraverso denunce di scandali, di corruzione … Proprio in queste ultime ore sono state pronunciate sentenze di condanna nei confronti di due ex primi ministri, di imprenditori privati e di altri ex ministri, nel tentativo di presentare elezioni presidenziali sotto una nuova veste come una possibilità di rinnovamento del Paese. Questi processi sono sembrati a molti organizzati in tempo opportuno proprio per mascherare invece la repressione sotterranea nei confronti del movimento, che l’esercito continua soprattutto in questi ultimi mesi ad attaccare e a presentare come un nemico del popolo.
In tutto questo le manifestazioni si sono distinte assolutamente per l’impronta pacifica …
R. – È una cosa straordinaria, quella del movimento non violento in Algeria, se pensiamo che si tratta di un Paese che si è liberato dal colonialismo attraverso una lunga lotta armata e che ha subito in un decennio di terrorismo diffuso nel Paese. Forse proprio queste esperienze hanno proprio convinto il movimento ad adottare una non violenza assoluta. Certo c’è preoccupazione nel movimento, il timore che delle provocazioni possano deviare il loro impegno verso strade invece violente.