L’appello del Papa nella Giornata dei migranti

Nella Giornata mondiale dei diritti dei migranti, l’appello del Papa, in un tweet, per l’accoglienza, la protezione, l’integrazione. Domani giovedì 19 dicembre Francesco incontra i rifugiati arrivati da Lesbo. Se si parla di migranti le situazioni sono tante e diverse. In ogni caso, gli esperti raccomandano uno studio serio e storicizzato del fenomeno. Intervista con la demografa esperta di flussi migratori Laura Terzera

Fausta Speranza – Città del Vaticano

La risposta alla sfida posta dalle migrazioni contemporanee si può riassumere in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Così scrive il Papa nel tweet nella Giornata internazionale per i diritti dei migranti.  Se li mettiamo in pratica – aggiunge il Papa –  contribuiamo a costruire la città di Dio e dell’uomo.

Dal Papa i migranti di Lesbo arrivati in Italia

All’indomani della Giornata, domani, al termine delle udienze della mattina, il Papa Francesco incontrerà i rifugiati arrivati recentemente da Lesbo con i corridoi umanitari e farà posizionare una croce – nell’accesso al Palazzo Apostolico dal Cortile del Belvedere – in ricordo dei migranti e dei rifugiati.

La difesa del diritto di asilo nelle raccomandazioni dell’Onu

Ieri, il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha chiesto di difendere il diritto di asilo che – ha spiegato –   è sotto attacco in un momento in cui tante frontiere e porte vengono chiuse ai rifugiati, perfino bambini. Secondo l’agenzia dell’Onu per i rifugiati, sono oltre 70 milioni le persone al mondo costrette a fuggire dal proprio Paese. Un numero senza precedenti. Tra le vere emergenze, c’è la tragedia delle detenzioni in campi come quelli in Libia, dove quest’anno sono state riportate circa 9000 persone che avevano tentato la traversata verso l’Europa e dove l’Onu denuncia “condizioni indicibili”. In generale la tendenza non è quella dell’accoglienza. La studiosa Laura Terzera, docente dell’Università Bicocca di Milano:

Ascolta l’intervista con Laura Terzera
R. – È un fenomeno di cui non si può fare una fotografia, ma di cui bisogna conoscere un po’ la storia a seconda del Paese in cui ci si trova. La mobilità può essere studiata molto meglio attualmente attraverso il passato perché, pur avendo una carenza di dati, ne abbiamo di più rispetto al passato.

Sembra anche che il fattore mediatico amplifichi molto questa realtà …

R. – Semplicemente perché oggi sappiamo le cose. Abbiamo una forma di comunicazione che è immediata e che è più accessibile a tutti. Pensiamo semplicemente alla grande migrazione che c’è sta tra l’Ottocento e il Novecento fino alla Prima Guerra Mondiale; se ne veniva a conoscenza soltanto per passaparola. Si alzano molti più muri rispetto a quanti ce ne erano nel passato. Ci sono alcuni dati interessanti che mostrano proprio come l’aumento di frontiere sia dovuto in qualche modo al fatto che ogni territorio sembra avere una bandierina. È più difficile muoversi rispetto al passato.

In parallelo con il fenomeno delle migrazioni, c’è il fenomeno di una conflittualità che – sono dati Onu – cresce in tutto il mondo …

R. – Le conflittualità portano ad una certa tipologia di movimento che è quella forzata, cioè persone che non avrebbero scelto di migrare, ma che lo hanno fatto perché costrette, forzate per la sopravvivenza. Quindi si devono muovere perché c’è una carestia, una catastrofe naturale, una guerra, dei conflitti. E’ ovvio che quelle in qualche modo sono delle emergenze, quindi l’aspetto della mobilità di tipo economico, di tipo famigliare è più gestibile, perché più programmabile. Questa, è ovvio, per sua definizione è improvvisa, è un’emergenza.

Si parla tanto di politiche per alzare muri per chiudere le frontiere. Ma di politiche invece per contrastare quei fenomeno come guerre, carestie che provocano tanta mobilità forzata se ne parla meno. Le pare?

R. – È più facile costruire un muro che non mettersi intorno ad un tavolo con teste diverse, con obiettivi diversi. Interessante per esempio è anche l’opinione pubblica che si crea nei diversi Appesi. Per esempio, l’euro-barometro Eurostat che misura i dati europei, mette a confronto quella che è la percezione della popolazione sulla dimensione della migrazione, quindi della popolazione straniera, con il dato reale. L’Italia è il Paese in cui lo scarto è maggiore, quasi un venti percento in più, cioè si ha la sensazione che ci sia molta più presenza. Ci sono Paesi come la Germania in cui invece la presenza è sicuramente consistente – se non uguale, maggiore dell’Italia – la precisone è molto più ridotta. Quindi sicuramene come viene presentato il fenomeno nel Paese può portare anche a politiche che siano più coerenti con quella che è la realtà, cioè capire esattamente qual ‘è la realtà, secondo me, è il primo passo, non ignorare qual è veramente la realtà. In qualche modo ci si concerta in quello che in quel momento mediaticamente attira insomma.

Da ricordare che in un mondo in cui ogni due secondi una persona è costretta ad abbandonare la propria casa a causa di conflitti o persecuzioni, milioni di persone restano apolidi: viene negata la nazionalità oltre all’accesso a diritti fondamentali quali istruzione, salute, lavoro e libertà di movimento.

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