Se politica e economia accolgono l’appello del Papa

La “strada giusta” è quella “a favore della gente”. Con queste parole Papa Francesco richiama il mondo alle priorità nell’attuale gestione della crisi da pandemia e indica la via del futuro, per quando il contagio sarà passato ma resterà la crisi economica. Nel Lunedì dell’Angelo, Francesco ha anche rivolto un pensiero forte alle donne ricordando “quanto fanno in questo tempo di emergenza”. Con noi l’economista Luigino Bruni

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Papa Francesco, all’omelia della Messa mattutina del Lunedì dell’Angelo, ha lanciato un forte appello a “governanti, scienziati, politici” ricordando il dramma della corruzione.

Al momento della recita del Regina Coeli, Papa Francesco ha ricordato il ruolo delle donne in prima fila nella cura – a diverso titolo – che l’emergenza Covid 19 ha richiesto: dalle donne del settore medico-sanitario o delle forze dell’ordine alle impiegate in negozi di beni primari, o a quante gestiscono le situazioni nell’isolamento delle case dove troppe volte subiscono violenze.

Approfondendo i tanti spunti offerti dal Papa, si deve parlare delle possibili strategie di gestione della crisi, dei mali profondi delle diseguaglianze e della corruzione, ma anche del ruolo che potrebbero avere donne che portassero una logica diversa da quella del potere del più forte in politica.

Bruni: servono alternative alle logiche del potere economico

Bisogna guardare ai problemi che dilagano con maggiore gravità nei Paesi dove non c’è sinergia tra politica e scienza e dove non si ascoltano i bisogni della gente comune, sostiene ai nostri microfoni Luigino Bruni, docente di Economia politica all’Università Lumsa. Non si può dimenticare che qualunque priorità dell’economia o del capitale non può mai valere tanto quanto la vita di una persona. Inoltre, è doveroso mettere in luce alcune responsabilità che aggravano le conseguenze e le sofferenze legate alla pandemia: le profonde diseguaglianze sociali, la corruzione e l’evasione fiscale. Senza questi mali, ad esempio, un Paese come l’Italia potrebbe essere più attrezzato nel fronteggiare l’emergenza e soprattutto più forte nel relazionarsi con gli altri Paesi dell’Ue. E poi, afferma ancora Bruni, c’è il richiamo al bisogno assoluto di un’alternativa a logiche aride di potere che, in un mondo finora guidato da uomini, sono in qualche modo logiche maschili: in questo senso, c’è bisogno di logiche alternative, logiche femminili di dialogo, di mediazione, di ricerca del bene comune:

da Vatican NEWS del 13 aprile 2020

In Bosnia la centrale elettrica preoccupa quanto il Covid 19

Crescono i contagi da coronavirus in Bosnia e le strutture sanitarie sono già in gravi difficoltà. A preoccupare, in particolare, è la situazione della zona di Tuzla, dove la gente, nonostante la pandemia, scende in piazza contro la discussa centrale a carbone che nel silenzio generale incrementa l’attività e il livello delle pericolose scorie prodotte. Con noi lo scrittore esperto dell’area dei Balcani Luca Leone

Fausta Speranza – Città del Vaticano

La Bosnia Erzegovina ha decretato lo stato di emergenza, ha chiuso i propri confini e ha iniziato ad applicare misure restrittive per fare fronte alla diffusione del Covid 19 già da una settimana. Ufficialmente i contagi da Coronavirus ad oggi sono circa un migliaio con una quarantina di decessi, ma le cifre sono destinate ad aumentare.

La guerra e i suoi strascichi

Il conflitto in Bosnia ed Erzegovina è scoppiato nell’ambito delle cosiddette guerre jugoslave, tra il 1º marzo 1992 e il 14 dicembre 1995, quando la stipula dell’accordo di Dayton ha posto ufficialmente fine alle ostilità tra serbi, croati, bosgnacchi, cioè bosniaci musulmani. Da allora è storia di difficile ricostruzione mentre centinaia e centinaia di giovani lasciano ogni anno il Paese per mancanza di prospettive. Lamentano un alto tasso di disoccupazione e di corruzione nel Paese che conta circa 3 milioni di abitanti.

Al momento della guerra, l’allora segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ha parlato di “una guerra mondiale nascosta”, spiegando che tutte le forze mondiali erano “implicate direttamente o indirettamente” e aggiungendo: “sulla Bosnia ed Erzegovina si sono spezzate tutte le essenziali contraddizioni di questo e del terzo millennio”.

Di quel conflitto la Bosnia ancora sta pagando care le conseguenze, a partire da strutture sanitarie che già normalmente sono insufficienti rispetto ai bisogni della popolazione e che di fronte alla pandemia stanno palesando tutte le carenze. E ancora sembra avvertire il coinvolgimento di tante realtà internazionali, visti gli interessi sul territorio da parte di tanti Paesi. Dell’emergenza coronavirus, delle più importanti questioni sociali aperte, degli investimenti in corso, abbiamo parlato con Luca Leone, giornalista che da anni racconta le vicende dei Balcani nei suoi reportage e che di recente ha pubblicato per Infinito Edizioni il volume “La pace fredda”, dedicato alla Bosnia ed Erzegovina:

La vicenda della centrale

Nonostante l’emergenza coronavirus, nei pressi di Tuzla, terza cittadina del Paese, decine e decine di persone sono scese in piazza per bloccare i lavori di costruzione della nuova discarica per le polveri di carbone della centrale termoelettrica programmata nella frazione di Bukinje. La zona di Tuzla ha un passato industriale e un presente di forte inquinamento e disoccupazione. La minaccia per la salute pubblica proviene dall’imponente centrale a carbone da 715 megawatt, con sei unità costruite tra gli anni Sessanta e Settanta, una miniera di carbone a cielo aperto e una discarica delle polveri e di altri residui della centrale, situata appena fuori dalla città.

“Nessuno ha informato gli abitanti di Bukinje che le scorie solide e le polveri di produzione della centrale di Tuzla sarebbero state depositate qui, dove già viviamo nella polvere e nel fango” ha denunciato Goran Stojak, presidente della circoscrizione di Bukinje. Da anni gli abitanti protestano contro l’inquinamento generato dall’impianto, che, secondo uno studio indipendente realizzato dalla coalizione Europe Beyond Coal, sarebbe stato causa di almeno 274 morti premature.

da Vatican NEWS del 14 aprile 2020