Fausta Speranza – Città del Vaticano
A causa della pandemia, non c’è stato alcun incontro fisico in uno dei luoghi tra Israele e Territori palestinesi che da 15 anni ospitano la Memorial Ceremony in ricordo di tutte le vittime del conflitto israelo-palestinese. A livello virtuale, grazie ai social media, l’abbraccio tra israeliani e palestinesi c’è stato e, anzi, quest’anno è stato davvero virale: alla piattaforma hanno aderito migliaia e migliaia di persone non solo dalle zone interessate ma da tutto il mondo.
Si tratta di una cerimonia voluta dall’associazione Combattenti per la pace nello stesso giorno – il quarto del mese di lyar, cioè l’ottavo del mese ebraico – in cui da decenni Israele celebra lo Yom HaZikaron, una giornata per le vittime di violenza.
La sfida della pace e l’esperienza dell’isolamento
L’obiettivo dell’associazione Combatants for peace non è di elaborare o sostenere strategie politiche, ma di offrire un’alternativa all’odio che può scaturire dal dolore e far levare la voce di quanti, da una parte e dall’altra, rifiutano armi e violenza. In tanti raccontano la stessa sensazione di fronte all’uccisione di persone care: di essere a un bivio, di dover scegliere se lasciare che lo strazio diventi rancore, oppure farne uno strumento di lotta contro ogni logica di conflitto.
La particolare situazione dovuta ai rischi del Covid-19 è stata un’occasione in più: ne è convinta Maya Katz, che nove anni fa ha aderito a Combatants for peace dopo aver perso in un attentato amici fraterni. L’abbiamo raggiunta telefonicamente a Tel Aviv:
R. – Ho deciso di essere parte di questo gruppo perché saremmo stati insieme, israeliani e palestinesi – e all’improvviso ho riconosciuto il collegamento speciale, la responsabilità speciale che in questo gruppo ognuno ha nei riguardi dell’altro. Ed è stata una sensazione veramente forte, potente …
Secondo te, qual è il cammino verso la pace?
R. – Non so come rispondere a questa domanda. Credo che non lo sappia nessuno … Io però so che qualcosa potrà cambiare solamente con il cambiamento nelle persone, nei rapporti tra le persone sul terreno; so che potremo risolvere questo problema soltanto se uniremo le forze e se cammineremo insieme, israeliani e palestinesi.
Che significato ha avuto la cerimonia quest’anno in piena pandemia?
R. Questa è la sola via per rompere questo cerchio di violenze. In realtà ci troviamo in una situazione unica, particolare, perché ambedue le parti si trovano di fronte alla stessa minaccia, alla stessa violenza e penso che il Covid-19 ci ha fornito un’ulteriore ragione per la quale dovremmo impegnarci al massimo per comunicare e per agire insieme, perché ora c’è in gioco qualcosa di più grande di noi.
Come Maya, anche Osama Elawat sottolinea l’urgenza di spezzare la spirale di violenza che si innesta con le guerre. Anche Osama piange suoi familiari e suoi amici vittime delle armi, mentre il processo di pace israelo-palestinese è da anni in stallo, e spiega così il senso della sua adesione a Combatants for peace:
R. – Il significato è quello di far sì che stiamo insieme e ricordiamo le nostre vittime, le persone care che hanno perso la vita in questo conflitto. E’ un messaggio alla gente, ai combattenti, a tutti i governi: noi non vogliamo perdere altre vite. Non importa chi ha ragione e chi ha torto. Capisco tutto, ma cerchiamo di difendere la nostra umanità e smettiamo di ucciderci gli uni con gli altri, per qualsiasi ragione sia. Difendiamo le famiglie, le madri, i padri, le sorelle che hanno perso persone che amavano in questo conflitto e uniamoci per sostenerci a vicenda, perché siamo esseri umani. Io ho perso tantissimi cari: ho perso i vicini, ho perso gli amici, ho perso persone che erano molto care al mio cuore, non voglio perderne altre. E le persone che fanno questi discorsi come me sono famiglie che hanno perso i figli, le figlie, i padri, i fratelli, le persone amate. In realtà, anche gli altri come me parlano per esperienza e loro stanno scegliendo un’altra via. Loro sanno che questo circolo di violenza non ci porterà a niente. Ci sono persone di questa terra, che vivono qui e che credono nella pace e che vogliono vivere in pace. Noi non vogliamo armi e non vogliamo denaro: vogliamo che si prendano decisioni che portino cambiamenti, che ci si assumano responsabilità e che si assicuri la possibilità, in tutti e due i Paesi, in Israele e in Palestina, di vivere in pace. Vi prego, impegnatevi per noi, sosteneteci e ascoltate la nostra voce.