Sessant’anni fa, “l’anno dell’Africa”

Nel 1960 ben 17 Paesi, per lo più colonie francesi, ottenevano l’indipendenza. Si apriva un decennio di grande entusiasmo politico, di risultati positivi in termini di crescita, seguito però da anni di braccio di ferro nel contesto della guerra fredda e dall’esplosione di conflitti e di nuove povertà. Con noi lo storico Eugenio Capozzi

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Nel 1957 il Ghana è il primo Stato dell’Africa non mediterranea ad acquistare l’indipendenza, segue la Guinea nel 1958, ma è il 1960 l’anno dell’Africa: Camerun, Congo ex francese, Gabon, Ciad, Repubblica Centroafricana, Togo, Costa d’Avorio, Alto Volta, Niger, Nigeria, Senegal, Mali, Madagascar, Somalia, Mauritania e Congo ex belga ottengono l’indipendenza.

Le premesse

Dopo decenni passati sotto il controllo dei più potenti Paesi europei, la cui attività di colonizzazione era iniziata tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale, e a dieci anni dall’inizio della decolonizzazione in Asia, è il secondo conflitto mondiale ad accelerare il processo di risveglio dei popoli africani. Le promesse di rinnovamento politico vengono mantenute solo in parte dalle potenze coloniali. Francia e Gran Bretagna introducono riforme amministrative che non riescono però a fermare il sorgere di movimenti nazionalisti. Il processo di indipendenza si svolge abbastanza rapidamente tra il 1956 e il 1962. Nel 1951 in Libia viene restaurata la monarchia, nel 1956 Marocco e Tunisia sono indipendenti. Falliscono i tentativi di Parigi di creare una Comunità Francese in Africa e i tentativi inglesi di dare vita a Federazioni nell’Africa Occidentale e nell’Africa Centrale. In Europa nella seconda metà degli anni Cinquanta matura la convinzione che non fosse utile né possibile mantenere gli imperi così com’erano. In un primo momento, infatti, durante i primi anni dopo la seconda guerra mondiale, le potenze coloniali europee avevano fatto il massimo sforzo per conservare i loro imperi. All’inizio della cosiddetta guerra fredda e poi negli anni più significativi del braccio di ferro tra i due grandi antagonisti, Stati Uniti e Unione sovietica, il tema del colonialismo viene politicizzato fortemente e l’accelerazione del 1960 è anche una risposta politica del mondo occidentale.

Si forma una leadership preparata

Si cerca per la prima volta il modo di utilizzare le colonie per fare gli interessi economici delle potenze europee e contemporaneamente renderle politicamente accettabili per le popolazioni che le abitavano. Le colonie africane, oltre ad essere mercati garantiti verso cui indirizzare la macchina industriale europea, erano anche grosse fonti di materie prime indispensabili per l’industria e per il commercio. Ma questo processo comporta che, di fatto, a un certo punto, per la prima volta soprattutto la Francia e il Regno Unito investono nelle colonie. Si lavora per la creazione di istituzioni politiche che potessero avere come orizzonte teorico l’autogoverno, proprio per mantenere il legame.

Dieci anni prima la decolonizzazione in Asia

L’India diventa indipendente nel 1947 e negli anni successivi lo stesso avviene per la gran parte delle colonie dell’Asia meridionale e del sud-est asiatico. I movimenti indipendentisti in Africa, invece, comparvero tardi. Fu solo dopo la seconda guerra mondiale che si costituirono delle forme di organizzazione propriamente politiche legate all’osservazione e alla condivisione di ciò che era successo in Asia. Prima di allora, nessuno immaginava che gli Stati africani potessero essere indipendenti, ma che al massimo potessero sviluppare forme di rappresentatività della popolazione, di autogoverno e di autonomia, dentro dei confini molto circoscritti. Alla decolonizzazione asiatica si lega la conferenza di Bandung del 1955, che ha avuto un ruolo importante nella formazione di una coscienza comune di quello che iniziava a chiamarsi il Terzo mondo e che ha funzionato da detonatore anche per una certa classe politica africana.

L’importanza di alcune personalità

I risultati non sono gli stessi in tutti i Paesi perché le premesse non sono le stesse. Ad esempio, nell’anglofono Ghana, grande produttore di cacao e caffè, l’attività politica e la proprietà della terra erano già nelle mani degli abitanti, mentre i britannici si occupavano della commercializzazione del prodotto. Inoltre, se è il primo Paese dell’Africa subsahariana a ottenere l’indipendenza è anche grazie alla figura di Kwame Nkrumah, che, ispirandosi a Gandhi, fa della resistenza passiva uno strumento politico. Tra altre personalità africane che in quegli anni si distinguono per spessore culturale e per lo  slancio programmatico, va citato innnazitutto il politico e poeta senegalese Lèopold Sédar Senghor,  primo presidente del Senegal, in carica dal 1960 al 1980.   

Le aspettative deluse

Molti Paesi si ritrovarono indebitati, con un’industrializzazione che non era ancora decollata, e in situazioni in cui gli investimenti avevano assorbito moltissime risorse, a scapito della produzione agricola. Tutto ciò causa una crisi finanziaria complessiva a danno degli investimenti che sarebbero stati più necessari: nell’educazione, nell’alfabetizzazione, nel sistema sanitario e nell’assistenza sociale. Con l’entrata in crisi dei bilanci pubblici, si trovano in estrema difficoltà. Dal 1973, quando l’economia mondiale rallenta ed entra in crisi, tutte le fragilità emergono.

Delle energie migliori che hanno messo in moto il processo di decolonizzazione dell’Africa, delle personalità africane che si sono distinte in quel periodo, dell’accezione positiva dell’espressione Terzo mondo e delle dinamiche oppressive della guerra fredda, della parabola che dagli Anni Ottanta arriva ai giorni d’oggi tra nuove povertà e moltiplicazione dei conflitti, abbiamo parlato con Eugenio Capozzi, docente di Storia contemporanea all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli:

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