Fausta Speranza – Città del Vaticano
Si moltiplicano i bisogni in termini di salute mentale tra gli sfollati interni di Mosul, Sinjar e Dohuk (Zakho). Dopo la drammatica parentesi del sedicente Stato islamico, che si è ufficialmente conclusa a fine 2018, l’Iraq tenta di riprendere il completo controllo del territorio mentre resta una sorta di guerriglia da parte di alcuni gruppi sparsi di miliziani. Il governo centrale e i vari governatorati sono alle prese con una grave crisi economica dovuta a decenni di conflitti ma anche ai prezzi bassi del petrolio, risorsa principale del Paese. In questo contesto sono arrivati i contagi da coronavirus che hanno dilagato nel vicino Iran, così come in Pakistan aumentando i bisogni della gente e ostacolando l’arrivo di aiuti internazionali, come conferma Alessandra Sacchetti, coordinatrice dei programmi di salute mentale di Azione contro la fame in Iraq:
Sacchetti racconta dell’impegno della sua organizzazione umanitaria per contrastare alcuni fenomeni registrati da anni ma che si stanno accentuando in questa fase, come i casi di depressione per i traumi subiti e per le difficoltà di vita, le vere e proprie crisi di identità nell’impossibilità di rientrare nei luoghi di origine. A questo proposito, il pensiero va in particolare ai profughi fuggiti dai territori maggiormente colpiti dai combattimenti e dall’Is. Alcuni di loro non troverebbero case agibili, mentre altri sarebbero ormai condannati dalla gente del posto per legami veri o presunti di un componente della propria famiglia con alcuni miliziani. In alcuni casi, basta lo stupro subito da una donna a condizionare la vita di questa donna, vittima due volte, e di tutta la famiglia. Inoltre, le misure restrittive per via del Covid-19 ostacolano anche l’aiuto a bambini rimasti soli o a donne in gravidanza o che allattano, perché sono i primi ad avere terrore di essere raggiunti e contagiati. Azione contro la Fame – racconta Alessandra – svolge attività promosse specialmente a Sinjar aiutando, ad esempio, gli Yazidi a tornare a provvedere ai propri mezzi di sussistenza e a sostenere le proprie famiglie.
Ultime tappe di una difficile normalizzazione politica
Sabato 6 giugno il Parlamento iracheno ha approvato le nomine di sette dei 22 ministeri del governo guidato dal primo ministro Mustafa al-Kadhimi – e in carica dal 7 maggio – ancora privi di un titolare. Alla cristiana caldea Evan Faeq Yakoub Jabro, insegnante di biologia, già distintasi in passato per l’attenzione alle emergenze sociali riguardanti i giovani, è andato il ministero per rifugiati e migranti. Sarà lei quindi a gestire le politiche del governo per l’emergenza migratoria ma anche per il ricollocamento degli sfollati interni. Tra le competenze del nuovo ministro c’è anche il dossier riguardante le decine di migliaia di cristiani fuggiti nel 2014 da Mosul e dalla provincia di Ninive davanti all’avanzare dei jihadisti del sedicente Stato Islamico. Gran parte di loro trovarono rifugio a Erbil e nel Kurdistan iracheno e non hanno fatto più ritorno alle proprie case e ai propri villaggi.
Resta l’emergenza terrorismo
Le autorità locali hanno confermato, in questi giorni, che è in corso una campagna militare anti-Is condotta dalle forze irachene e dalle forze filo-iraniane irachene nelle limitrofe regioni dell’Iraq occidentale, mentre la Coalizione internazionale anti-Is e le forze curdo-siriane hanno lanciato, nelle ultime ore, una vasta operazione anti-terrorismo in diverse località della Siria nord-orientale e orientale. Media siriani e iracheni, citando fonti della Coalizione e dei vertici militari curdo-siriani e iracheni, riferiscono delle due operazioni in corso, coordinate dalla Coalizione internazionale creata nel 2014 e da allora guidata dagli Stati Uniti nelle regioni siriane di Hasake e Dayr az Zor e in quelle irachene di Anbar, Ninive, Kirkuk. Circa 20.000 unità partecipano tra la Siria e l’Iraq alle operazioni anti-Is.