I morti e la devastazione causati dalla recente esplosione al porto di Beirut, le proteste di piazza, l’instabilità politica e l’enorme debito pubblico attanagliano il Paese dei Cedri. In questa situazione però c’è chi lavora senza sosta per la popolazione, come ad esempio la Fondazione Giovanni Paolo II
11/08/2020
di Fausta Speranza
Si festeggia a Beirut e a Tripoli per la caduta del governo di Hassan Diab, ma si tratta della soddisfazione di una popolazione stremata e preoccupata. Fuochi di artificio e spari in aria hanno salutato lunedì sera l’annuncio del passo indietro che il primo ministro ha fatto in Tv dopo le dimissioni di tre ministri nel fine settimana, in seguito alla tragedia del 4 agosto. E’ il secondo esecutivo a cadere in dieci mesi sotto i colpi delle proteste: a ottobre scorso, dopo settimane di massicce manifestazioni, lasciato Saad Hariri. Da allora le sedi istituzionali, in particolare nell’area di Piazza dei Martiri e delle vie super-protette del Parlamento, sono rimaste puntellate da eccezionali transenne, che in tutti questi mesi hanno ben rappresentato la distanza della popolazione dalle autorità. Si potrebbe tentare un altro governo tecnico o di unità nazionale, ma non è quello che chiede la piazza, che vorrebbe anche il rinnovo del Parlamento. Restano i dubbi su quando si potrà sapere qualcosa delle esplosioni al porto. Il numero delle vittime è salito a oltre 220, quello dei feriti a 7000. Ora l’ inchiesta passa dal tavolo del primo ministro all’Alta corte di giustizia. E resta l’incognita di come questa fase di transizione in Libano verrà considerata nel panorama regionale.
Nella prospettiva di elezioni, formalmente è il presidente Michel Aoun che dovrebbe avviare le consultazioni, ma su questo la costituzione non impone al capo dello Stato di avere fretta. Il Libano nel recente passato è rimasto mesi senza un governo. Diab, considerato un tecnico vicino al presidente Michel Aoun e sostenuto da Hezbollah, ha lasciato dopo giorni di disordini antigovernativi e all’ indomani dell’appello della comunità internazionale, che ha condizionato a serie riforme l’arrivo dei 250 milioni di euro stanziati per la ricostruzione e promessi però direttamente alla popolazione attraverso l’ Onu. Il Paese sta facendo i conti con la rabbia popolare per la tragedia nella capitale, ma fa anche i conti con l’angoscia per il default finanziario che ha tagliato dell’85 per cento il valore d’acquisto e ha bloccato qualunque conto in banca, e con la sfiducia palesata da mesi per una classe politica percepita come corrotta e inetta. Un solo esempio dei motivi di indignazione: del debito pubblico, che ammonta a 100 miliardi – cifra enorme per 4 milioni di abitanti – 40 miliardi dovevano essere destinati alle infrastrutture, ma l’ elettricità non è affatto assicurata e si passa da un black out ad un altro.
In prima linea da anni in Libano la Fondazione Giovanni Paolo II
C’è chi senza sosta da tempo lavora a favore della popolazione, senza nessuna discriminazione per credo religioso o politico. Tra le tante associazioni e realtà legate alle 1126 parrocchie del Libano, c’è quella della Fondazione Giovanni Paolo II che opera da 13 anni nel Levante. Dal 2017, ha un ufficio presso il Convento dei frati francescani della Custodia di Terra Santa a Beirut, che si trova ad un chilometro dal luogo delle esplosioni ed è stato, infatti, danneggiato. Il cooperante Stefano Baldini che si trovava all’ interno è rimasto ferito da schegge di vetro.
La Fondazione fa da ponte tra Siria e Libano: fa riferimento al Vicario apostolico dei latini di Aleppo, monsignor George Abou Khazen, e all’ altro francescano Vicario apostolico latino del Libano, Cesar Essayan. Negli anni passati l’ impegno è stato forte in Siria, in preda alla guerra civile, poi il collegamento è stato prezioso per seguire alcuni profughi fuggiti.
Nel paese dei cedri, gli operatori della Giovanni Paolo II hanno offerto aiuto alle scuole cattoliche nell’ accoglienza di minori siriani non in grado di seguire i corsi in francese nelle scuole libanesi e hanno seguito 700 bambini nei campi profughi nel nord est del Paese. Hanno distribuito 2000 kit scolastici. C’ è poi un altro impegno concreto: la Fondazione, in collaborazione con l’ Aics, l’ agenzia del Ministero degli Esteri italiano, cura da vicino i progetti a favore di 700 produttori agricoli e personale impiegato nelle filiere agricole della ciliegia e dell’ albicocca nella Valle della Bekaa. Anche il lavoro della Fondazione risente dello scossone della tragedia e risentirà delle ripercussioni della difficile fase politica che si apre in piena crisi economica, ma è già partito il coordinamento per far sì che l’ impegno resti come punto fermo.