Fausta Speranza – Città del Vaticano
Il disastro avvenuto il 4 agosto a Beirut “è il risultato di una corruzione cronica” in Libano, che ha impedito una gestione efficace del Paese. E’ quanto ha affermato il primo ministro Hassan Diab annunciando lunedì le dimissioni in un discorso televisivo. “La rete della corruttela è più grande di quella dello Stato”, ha aggiunto Diab, facendo così eco alla voce della piazza che da mesi e con ancora maggior forza dopo le esplosioni al porto – costate la vita a 220 persone e il ferimento di 7000 – chiede un cambio ai vertici delle istituzioni. Delle prospettive che si aprono abbiamo parlato con l’editorialista di Avvenire Camille Eid di origine libanese:
La popolazione esasperata
Camille Eid ipotizza che ci siano tentativi di formare un governo tecnico o un esecutivo di unità nazionale, ribadendo che però quello che chiede la popolazione è un rinnovo anche del parlamento. Eid sottolinea inoltre l’esasperazione popolare ricordando vari scandali che hanno preceduto la tragedia del 4 agosto al porto, con la prima e la seconda esplosione di un carico di nitrato di ammonio che doveva essere considerato altamente a rischio. Domenica scorsa all’Angelus, il Papa ha lanciato il suo appello perchè nel Paese possa rinascere una convivenza “forte e libera” e il giorno stesso, sul fronte internazionale, la Conferenza dei donatori ha deciso lo stanziamento di 250 milioni di euro, che però si è voluto affidare alla gestione di associazioni o ong che fanno capo all’Onu perché arrivino direttamente alla popolazione, che ha perso da tempo ogni fiducia nella classe politica. Il giornalista spiega alcuni episodi chiave che tornano nelle denunce della popolazione. Quasi un anno fa ci sono stati alcuni incendi e si è scoperto che gli elicotteri che si diceva fossero stati acquistati per le emergenze, non erano in realtà funzionanti. E’ solo un esempio, afferma, di vari scandali denunciati a gran voce dalla popolazione durate le proteste antigovernative che da mesi vanno avanti nel Paese. C’è anche l’indignazione espressa per 40 miliardi che sono stati messi in conto per le spese delle infrastrutture, mentre i cittadini continuano a soffrire continui black out per mancanza di elettricità.
La crisi economica
L’editorialista inoltre si sofferma su alcuni particolari della crisi economica che ha portato il Paese a dichiarare a marzo scorso il default finanziario non potendo pagare il debito di 100 miliardi di dollari, che è davvero ingente per un piccolo territorio con 4 milioni di abitanti. Ricorda come tutti i correntisti abbiano perso i risparmi di una vita per la perdita dell’80 per cento di valore della moneta locale e precisa che al momento neanche i libanesi all’estero possono mandare soldi ai familiari e alle persone care perché è bloccato per tutti l’accesso ai conti. Consegnarli di persona recandosi in Libano è molto complicato per via della pandemia. Resta alta dunque la preoccupazione per una fase che si prospetta non scontata e non facile.