A Beirut fumata nera sul governo

di Fausta Speranza

Non si vede l’orizzonte in Libano. La matassa politica è troppo aggrovigliata e il primo ministro designato, Mustapha Adib, rinuncia a formare il tanto atteso nuovo esecutivo che doveva traghettare il Paese fuori dall’emergenza dopo le esplosioni al porto di Beirut  e fuori dalla soffocante crisi economica e finanziaria. Adib, un diplomatico poco conosciuto in patria fino al mandato conferitogli il 31 agosto, ammette la sconfitta chiedendo “scusa al popolo libanese”. Il punto è che, mentre la popolazione è allo stremo, la classe politica rischia di navigare a vista ancora per mesi prima che si sblocchi l’impasse che tiene in ostaggio il più piccolo Paese dell’Asia nella più strategica posizione del Vicino Oriente.

E’ evidente come stia vacillando l’accordo di condivisione del potere che finora, con il termine “confessionalismo”, ha assicurato  un fragile equilibrio tra tutte le parti che fanno capo alle tre principali confessioni religiose, delle 18 riconosciute dalla Costituzione. E’ altrettanto evidente la difficoltà della sfida: tutti i principali partiti politici, legati alle comunità cristiana, sunnita e sciita,  devono concordare decisioni importanti, compresa la composizione di qualsiasi futuro gabinetto anche prima che sia sottoposto all’approvazione parlamentare. Ma in questo momento sono fuori di dubbio anche la fragilità dell’equilibrio e soprattutto l’esasperazione della popolazione.

Gli sforzi di Adib per elaborare una nuova proposta sembra siano stati bloccati nei fatti dai due principali partiti che rappresentano la grande comunita’ sciita del Paese: Amal e Hezbollah. Le due formazioni non hanno voluto rinunciare, come richiesto da Adib, al controllo del ministero delle Finanze.
Non sono bastate le pressioni internazionali – a partire dal presidente francese Macron e dal presidente del Consiglio dei ministri italiano Conte – perché si formasse un nuovo esecutivo il prima possibile, con l’obiettivo di attuare le urgenti riforme. Il fine non è da poco: sbloccare miliardi di dollari in aiuti esteri. In un discorso televisivo, Adib ha espresso il suo rammarico parlando della sua “incapacita’ di realizzare le sue aspirazioni per una squadra riformista”. La questione rischia di porsi al di là delle capacità o incapacità. Se tutte le parti concordano sulla necessità di riformare, non c’è più accordo quando si discute anche solo degli equilibri della squadra “riformatrice”.

Le scuse possono far onore ad Adib, ma tutte le parole perdono di senso a sette settimane  dalla drammatica esplosione al porto, che ha causato 200 morti e 6000 feriti, e a sette mesi  dalla dichiarazione di default da parte del governo, costata alla popolazione il blocco dei conti bancari, la svalutazione dell’85 per cento della moneta, l’inflazione giunta ormai al 700 per cento. Il rappresentante dell’Ordine di Malta nel Paese dei cedri, Marwan Senhaoui, è chiaro: manca tutto – ci ha detto in un incontro nei giorni scorsi – dal cibo alle medicine, dall’elettricità alla benzina: “Metà della popolazione è ormai al di sotto della soglia di povertà o appena al limite”.  Nel frattempo, ufficialmente nell’area del porto l’esercito ha rinvenuto oltre una tonnellata di articoli pirotecnici. I media parlano di diversi depositi di armi.

Il tempo che passa stride con l’urgenza  e stride con gli appelli  decisi e accorati del Patriarca di Antiochia dei Maroniti, cardinale Béchara Boutros Raï: “Salvare la città di Beirut al di là della politica e dei conflitti”; “il Libano non è in grado di far fronte a questa catastrofe umana”. E stride con l’eco dell’iniziativa di Papa Francesco: la giornata di preghiera e di digiuno con la visita del segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, venerdì 4 settembre, a un mese esatto dalla deflagrazione che ha ricordato al mondo quale polveriera rappresenti il Libano. Anche se non è solo questo: Francesco ha ricordato che, come diceva Giovanni Paolo II, il Libano sa essere “più di un Paese,  un messaggio di dialogo e di fraternità”.

Il momento è delicatissimo e la gravità  emerge nel commento dell’inviato delle Nazioni Unite, Jan Kubis, che, all’annuncio del passo indietro di Adib, ha esclamato:  “Un tale grado di irresponsabilita’, quando e’ in gioco il destino del Libano e del suo popolo!”. In realtà in ballo c’è un territorio chiave, punto nevralgico di un contesto mediorientale che non si è mai presentato così militarizzato dagli anni dei conflitti mondiali, teatro di confronti per corrispondenza di altre potenze regionali e di contrasti dall’onda lunga tra Oriente e Occidente.

26-09-2020
Autore: Fausta Speranza
Giornalista e Scrittrice

https://www.meridianoitalia.tv/index.php/italia-e-il-mondo/geopolitica/238-a-beirut-fumata-nera-sul-governo

Lavoro e salario minimo: un’altra sfida europea

“Per troppe persone il lavoro non paga”: a riconoscerlo è stata la presidente della Commissione europea nel suo discorso sullo stato dell’Unione, a metà settembre. Ursula von der Leyen ha lanciato la sfida di uno standard comune per i salari minimi. Con noi l’economista Carlo Altomonte

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il salario minimo, nel diritto del lavoro, è la più bassa remunerazione o paga oraria, giornaliera o mensile che in taluni stati i datori di lavoro devono per legge corrispondere ai propri lavoratori dipendenti ovvero impiegati e operai. Non esiste una legislazione uniforme in materia di salario minimo all’interno dell’Ue. In varie costituzioni, fra le quali in quella italiana, è sancito il diritto ad un’equa retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto. La maggior parte degli Stati adotta un salario minimo, mentre gli altri non hanno un salario minimo imposto per legge, ma delegano alla contrattazione fra le parti sociali tale decisione.

Le parole di Ursula von der Leyen

“Tutti nell’Unione devono avere i salari minimi. Funzionano ed è giunto il momento che il lavoro ripaghi”. E’ quanto ha detto la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel suo primo discorso sullo stato dell’Unione, al Parlamento europeo riunito a Bruxelles il 16 settembre scorso. Un concetto ribadito con forza: “La verità è che per troppe persone il lavoro non paga, il dumping salariale distrugge la dignità del lavoro e penalizza gli imprenditori, distorce la concorrenza del mercato interno, e bisogna porre fine a questa situazione”. La Commissione avanzerà una proposta su una normativa per sostenere gli Stati membri e istituire un quadro sui salari minimi. Tutti devono avere accesso ai salari minimi o attraverso contrattazioni collettive e con salari mini statutari”. Per capire i significati, le difficoltà e le potenzialità di questa sfida, abbiamo intervistato Carlo Altomonte, docente di politiche economiche all’Università Bocconi:

Il professor Altomonte spiega che la sfida lanciata dalla presidente della Commissione europea in tema di salario minimo è in sostanza figlia dei tempi duri della crisi sanitaria e economica e soprattutto di una nuova mentalità della Commissione stessa, che si è presentata da subito come fortemente operativa. Si inserisce in una serie di misure che l’economista ricorda a partire dal provvedimento Sure legato al Recovery Fund con la quale la  Commissione si è fatta carico di disoccupati e persone colpite dalla cassa integrazione nei singoli Paesi europei, a partire dall’Italia. E mette in relazione il discorso sul salario minimo ricordando che la perdita di posti di lavoro diventa un motivo di minor preoccupazione per il singolo lavoratore, quando insieme al salario minimo si istituisce un sussidio di disoccupazione che funziona come ammortizzatore sociale. Altomonte si sofferma anche sulle difficoltà concrete di attuare un vero e proprio salario minimo europeo. Ricorda che alcuni Paesi hanno il loro standard legato a varie politiche che andrebbero dunque ammortizzate e  cita poi anche la questione del costo della vita, diverso da Paese a Paese. Ma Altomonte parla di una sfida significativa che va nella direzione di una Commissione europea che vuole difendere gli stadanrd di wellfare  dell’Unione europea in un mondo di globalizzazione dove si vanno affermando altri standard ben diversi, come quello cinese ma anche lo stesso statunitense che non assicura le stesse tutele.

Pro e contro secondo le ipotesi accademiche

Anche se le leggi sul salario minimo sono in vigore in molte nazioni, esistono differenti opinioni su vantaggi e svantaggi sulla sua eventuale introduzione. I sostenitori affermano che esso aumenta il tenore di vita dei lavoratori, riduce la povertà, ridurrebbe le disuguaglianze sociali, aumenterebbe il benessere lavorativo e costringerebbe le aziende ad essere più efficienti. Viceversa, gli oppositori lamentano il fatto che esso aumenti la povertà e la disoccupazione (in particolare tra i lavoratori non qualificati o senza esperienza) e che sia dannoso per le imprese. Un primo argomento sostiene che in un libero mercato qualsiasi limitazione introdotta da soggetti esterni (una legge dello Stato) da lato della domanda e/o dell’offerta sia ai prezzi che alle quantità (quote) di vendita e produzione, porta a un’area di mancato incontro tra domanda e offerta, quindi un equilibrio peggiore del mercato libero. L’introduzione di un salario minimo limita il funzionamento del mercato del lavoro, creando un divario tra lavoratori disponibili e richiesti, vale a dire disoccupazione. Argomento in senso opposto è la constatazione pratica che nessun mercato del lavoro libero e totalmente deregolamentato ha mai raggiunto l’obiettivo teorico della piena occupazione.

 Le situazioni nazionali attuali

Sono 23 su 27 i Paesi dell’Unione Europea che lo hanno adottato, di importo molto variabile anche in relazione al costo della vita locale. Il Belgio si differenzia dagli altri per il suo sistema “sistema duale”, in cui la contrattazione di settore si aggiunge alla determinazione statale del salario minimo. L’ultimo Paese europeo ad aver introdotto il salario minimo è stata la Germania (dal 1º gennaio 2015). In Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Italia e Svezia non esiste, invece, previsione legislativa per un salario minimo: la determinazione dei minimi retributivi viene affidata alla competenza negoziale di settore.

La Direttiva Bolkestein

La Direttiva 96/71/CE sulla liberalizzazione dei mercati europei è stata emendata nel 2006, sottraendo al principio dell’Home Country Control diversi aspetti, fra i quali il salario minimo. Il lavoratore straniero ha diritto al salario minimo previsto dalle leggi del Paese nel quale lavora, in modo indipendente dal proprio Paese di origine e da quello dove ha sede legale il datore di lavoro. La Direttiva, nota con il nome del relatore Bolkestein, regolamenta le tutele dei lavoratori distaccati per una prestazione di servizi transnazionali. A questi si applica il trattamento retributivo, ricavabile da leggi e contratti collettivi di lavoro, più favorevole (art. 3.7) fra quello dello Stato di origine, dove ha sede legale il datore di lavoro, e lo Stato membro in cui ha luogo la prestazione lavorativa. Dello Stato in cui ha luogo la prestazione, tuttavia, si possono applicare solamente i contratti collettivi aventi efficacia erga omnes, sia nell’intero territorio nazionale dello Stato membro ospitante che all’intero settore cui la prestazione è riferibile (in particolare sia pubblico che privato). La contrattazione decentrata territoriale o aziendale viene esclusa perché per un prestatore di servizi transnazionale avrebbe reso troppo onerosa e complessa la determinazione del salario minimo dei lavoratori, ovvero reso legittime clausole sociali locali e anticoncorrenziali che, per operare nel territorio, avrebbero obbligato i soggetti stranieri a concedere condizioni di lavoro più favorevoli di quelle cui sono tenute le imprese nazionali.

Le prime esperienze a inizio secolo scorso

Introdotte per la prima volta in Nuova Zelanda (1894), Australia (1896) e Regno Unito (1909), le leggi sul salario minimo sono state poi introdotte, in molti altri Paesi del mondo, oltre che d’Europa, tra cui negli Stati Uniti nel 1938.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2020-09/unione-europea-lavoro-salario-minimo-commissione.html