Fausta Speranza – Città del Vaticano
“Da un regime repressivo a un regime depressivo: è il passaggio che rischiano di vivere i Paesi dei Balcani nella percezione della popolazione. Lo spiega Remzo Lani, Direttore esecutivo dell’Istituto per i Media di Tirana. Ricorda che negli ultimi anni l’opinione pubblica in Albania e in altri Paesi limitrofi non ha avuto dubbi nell’identificare il passato e il futuro:
Alle spalle il comunismo da superare, all’orizzonte l’integrazione nell’Ue. Ma il processo – che Lani riconosce non poteva che essere lungo – rischia di essere una lenta fase in cui “le trasformazioni sono tantissime per la generazione adulta, ma non abbastanza per i giovani”, che infatti continuano a emigrare in modo massiccio.
Il processo di allargamento è sottoposto a “stop and go” ciclici. La crisi economica del 2008 e poi quella del 2012 non hanno certamente aiutato e ora la pandemia complica ulteriormente le cose, come sottolinea Maciej Popowski, della Direzione per l’allargamento della Commissione europea:
Il rischio – denuncia Lani – è quello che prevalga la sfiducia in quella che i media definiscono “la transitocrazia”:
Andrea Orizio, capo missione dell’Osce in Serbia, sottolinea l’importanza di un impegno concreto di assistenza:
L’avvicinamento all’Europa
Montenegro, Serbia, Macedonia del Nord, Albania sono impegnati nei negoziati per l’adesione al’Ue. La Bosnia ed Erzegovina ha presentato la sua richiesta di adesione all’Unione Europea il 15 febbraio 2016, dopo essere stata ufficialmente riconosciuta dalla Commissione europea come stato “potenzialmente candidato”. Il Kosovo è riconosciuto solo da 22 dei 27 membri dell’Unione come stato indipendente, tuttavia, è ufficialmente considerato un “potenziale candidato” all’adesione. Intanto, negli ultimi anni il 70 per cento del volume commerciale dei Paesi balcanici si è svolto con l’Ue, che ha investito nella regione oltre 10 miliardi di euro e ha agito come principale partner e garante esterno di sviluppo.
Gli standard da ottemperare in tema di diritti
Da costruire, per la piena appartenenza dei Balcani Occidentali all’universo Ue, è l’adesione ai valori comuni liberaldemocratici enumerati nell’articolo 2 del Trattato dell’Unione Europea (rispetto per la dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, rispetto della legge e per i diritti umani). I valori comuni rappresentano un “core business” dell’allargamento e la loro assimilazione, così come quella dei cosiddetti criteri di Copenaghen, è necessaria ai Balcani per uscire dal limbo storico-politico. Lo ricorda Orizio, sottolineando l’importanza di cooperare su tutti questi piani e in particolare su quello della lotta ai trafficanti di esseri umani:
Nell’area l’adesione a questi valori è recente: ha iniziato a svilupparsi negli ultimi 30 anni, dopo la fine del comunismo.
Alta attenzione durante le crisi
Storicamente l’attenzione dell’Europa e dell’Alleanza atlantica verso i Balcani è stata alta soprattutto durante le ricorrenti crisi nell’area. I conflitti o l’emergenza della cosiddetta rotta balcanica nel 2015, quando i Paesi dell’area erano diventati corridoio di passaggio dei rifugiati dall’Asia. Senza uno sbocco esterno questi Paesi non possono affrontare tali fenomeni senza rischiare la loro tenuta sociale. Ogni crisi migratoria rafforza nell’area il razzismo e le forze estreme, che covano sotto la cenere. E a risvegliarle purtroppo – assicura Lani – ci pensa l’inquietante macchina di produzione di fake news molto attiva nell’area: da fuori dell’Europa arriva un certo tipo di disinformazione, che fomenta l’odio nei confronti di modelli democratici dipinti come fallimentari e colonialisti e – sottolinea Lani – arriva spazzatura informativa anche da quelli che definisce “gruppi radicali in Occidente”, che rifiutano qualunque dialogo con altre facce del mondo. Si tratta di un’area che l’Occidente definisce euroatlantica e che viene “rivendicata” come affine per motivi storici dalla Russia e per motivi culturali e religiosi dalla Turchia, come Ahmet Evin, preside fondatore della facoltà di Arte e Scienze sociali all’Università Sabanci di Instanbul:
Inoltre, l’area dei Balcani rappresenta una linea di passaggio ideale della cosiddetta nuova via della seta cinese.
Commerci e investimenti
Valbona Zeneli, del George C. Marshall European Center for Security Studies, sottolinea come la pandemia da coronavirus sia stata una sorta di “autostrada” per arrivi da Paesi extraeuropei: la crisi sanitaria con la sua urgenza ha scardinato alcuni parametri. Ma ha anche ricordato che la presenza di investimenti cinesi non è fenomeno recente: negli ultimi dieci anni si è andata affermando e, a differenza di Bruxelles, Pechino non discute di processi democratici o di questioni ambientali. In Serbia alcune fabbriche risollevate dai suoi investimenti espongono anche la bandiera cinese. Così anche in Bosnia, dove Pechino sta finanziando l’espansione delle centrali a carbone, in particolare la centrale di Tuzla, per la quale la Commissione europea ha più volte richiesto valutazioni sull’impatto ambientale e trasparenza nelle procedure di appalto pubblico. Zeneli non ha dubbi: la stabilità, in primis quella economica, è questione di sicurezza. Ricorda il potenziale negativo della “combinazione di povertà, carenza del diritto, corruzione”:
Zeneli sottolinea che l’area dei Paesi dei Balcani è terra appetibile per investimenti, sottolineando però che, vista dal punto di vista dei Paesi dell’area, la loro posizione sul piano dei commerci globali è debole arrivando solo allo 0,23 per cento:
Cresce l’export cinese e il peso nel campo delle infrastrutture. Alcuni elementi da citare: l’autostrada in Montenegro per collegare il porto di Bar a Belgrado: un sogno antico, un progetto nato già quando la piccola Nazione era Yugoslavia, ma costoso per via del passaggio attraverso le montagne. Sono intervenuti finanziamenti cinesi. Secondo il Fondo monetario internazionale (Fmi), il governo montenegrino si è indebitato con Pechino per circa 1,3 miliardi di euro, cifra che ha fatto aumentare il debito del Paese dal 63 per cento del pil a quasi l’80 per cento in sette anni. Secondo il Fmi, se l’autostrada non fosse stata costruita, il suo rapporto debito/pil sarebbe sceso al 59 per cento entro il 2019, anziché aumentare creando una situazione di disavanzo superiore agli standard dell’Ue, proprio mentre il Montenegro è in fila per diventare un Paese membro.