Fausta Speranza – Città del Vaticano
Il direttore generale dell’Unesco, Audrey Azoulay, incontrando in questi giorni i rappresentanti dell’Armenia e dell’Azerbaijan, ha ribadito la dimensione universale del patrimonio culturale, “testimone della storia e specchio delle identità dei popoli”, che la comunità internazionale ha il dovere di tutelare e preservare per le generazioni future. La preoccupazione non è di oggi: negli anni di continue ostilità ci sono state denunce di gravi violazioni a danno di beni culturali nell’area del Nagorno-Karabakh. Non c’è dubbio che la priorità sia sempre l’impatto umanitario nei conflitti e nelle situazioni che si creano al momento degli accordi, che restano molto delicate, ma non si può dimenticare il patrimonio culturale: in sostanza è quanto si legge negli appelli lanciati dal Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr) e dall’International Council of Museums (Icom), l’istituzione che rappresenta la comunità dei musei nel mondo.
L’importanza della cooperazione
Durante l’incontro con i rappresentanti di Armenia e di Azerbaigian, Azulay ha formalmente proposto un supporto tecnico: l’Unesco fino ad oggi non ha potuto visitare queste zone nonostante i tentativi fatti. Oggi dunque la prima richiesta è quella di svolgere una missione preliminare sul campo al fine di redigere un inventario dei beni culturali più significativi, quale presupposto per un’efficace tutela del patrimonio della regione. Il punto è che non basta il nulla osta di Erevan e di Baku, serve l’accordo di tutte le parti interessate e dunque di quante hanno partecipato alle negoziazioni. Il Cremlino ha sottolineato che avrebbero cooperato attraverso un centro di monitoraggio in Azerbaijan, ma che non è prevista “alcuna discussione sul dispiegamento di forze di pace congiunte” lungo la linea di contatto nel Nagorno-Karabakh dove – ha aggiunto – sono impiegati solo peacekeeper russi.
Il richiamo alle convenzioni internazionali
Le leggi applicabili in caso di conflitti armati ci sono. Il direttore generale Azoulay ha ricordato le disposizioni della Convenzione del 1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato e dei suoi due protocolli, di cui sono parti sia l’Armenia che l’Azerbaigian. Ha citato la risoluzione 884 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, adottata all’unanimità il 12 novembre 1993. Si basano sulla convinzione che “il danno a beni culturali appartenenti a qualsiasi persona, di qualsiasi natura, significa danno al patrimonio culturale di tutta l’umanità”. Inoltre, ha richiamato anche la risoluzione 2347 (2017) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, nella quale si sottolinea che “la distruzione illegale del patrimonio culturale, il saccheggio e il contrabbando di beni culturali in caso di conflitto armato, anche da parte di gruppi terroristici, e i tentativi di negare le radici storiche e la diversità culturale in questo contesto, può alimentare ed esacerbare i conflitti e impedire la riconciliazione nazionale postbellica, minando così la sicurezza, la stabilità, la governance e lo sviluppo sociale, economico e culturale degli Stati colpiti”.
Tra i siti danneggiati o distrutti
Sono stati seriamente colpiti siti e monumenti che testimoniano l’incredibile eredità storica dell’area del Caucaso. In attesa dell’inventario che si spera l’Unesco possa redigere presto, si possono citare alcuni esempi di vandalismo culturale denunciati dall’una e dall’altra parte, tra rivendicazioni reciproche di responsabilità. Gli armeni hanno riferito che a Nakhijevan nel cimitero medievale di Old Jugha sono state demolite decine di chiese medievali, distrutte 5840 croci riccamente decorate e 22mila lapidi storiche. Gli azeri hanno riferito di centinaia di distruzioni, tra musei emonumenti storici e culturali .