La scommessa dell’alternanza politica in Burkina Faso

Uno dei Paesi chiave dell’area africana del Sahel e tra i più arretrati al mondo è chiamato al voto dopo cinque anni di insicurezza dovuta a numerosi attacchi jihadisti. In Burkina Faso, le elezioni sembrano segnate dalle violenze, dalle difficoltà economiche, ma anche dallo slancio di una nuova coscienza civile come spiega l’africanista Aldo Pigoli

Fausta Speranza – Città del Vaticano

In Burkina Faso, gli aventi diritto sono chiamati alle urne domani, domenica 22 novembre, per eleggere il presidente e i deputati. L’obiettivo comune tra maggioranza e opposizione è il raggiungimento dell’alternanza politica, anche se le condizioni di questo Paese africano povero, senza sbocco sul mare sono molto difficili. Efferate violenze vengono perpetrate soprattutto nelle tre regioni del Nord al confine con il Mali ed il Niger, le più colpite dal fenomeno del terrorismo jihadista. Nella nazione dell’Africa occidentale di quasi 21 milioni di abitanti, si contano almeno 1.600 persone uccise dal 2015 e più di un milione di sfollati.

Più di 400mila persone non potranno votare perché hanno smarrito i documenti di identità o non hanno potuto registrarsi. La Ceni  (Commission Electorale Nationale Indépendante) ha affermato di non poter iscrivere nei registri potenziali elettori in circa 1.500 villaggi a causa dell’insicurezza. Per votare ci si deve spostare in altri distretti. Eppure in base alla mobilitazione registrata in campagna elettorale si prevede un’affluenza più alta di qualunque elezione precedente.

Il voto: momento importante per il Paese

Per capire il fermento sociale in Burkina Faso e i limiti stringenti di uno dei contesti maggiormente minati da instabilità e insicurezza, abbiamo intervistato Aldo Pigoli, docente di Storia delle Civiltà e delle Culture Politiche e di Storia dell’Africa Contemporanea all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano:

“Le elezioni che si tengono in Burkina Faso in questa fase sono un momento importante – spiega Pigoli – perché sono l’occasione per comprendere il livello di sviluppo politico-istituzionale. Si tratta anche di saggiare il livello della democraticità del Paese che sta attraversando diverse criticità, a partire dalla drammatica presenza delle forze jihadiste. Ma ci sono anche le difficoltà per la diffusione del Covid-19 che hanno aggravato la povertà cronica del Paese”.

La speranza nella società civile

A proposito della popolazione, il professor Pigoli afferma che si sta assistendo a uno sviluppo promettente della coscienza civile e dell’associazionismo. Spiega che in questa campagna elettorale si è registrata una maggiore partecipazione mai vista prima. Certamente bisognerà poi vedere la reale affluenza alle urne ma – ribadisce il docente – già l’attenzione e il coinvolgimento prima del voto sono un segno più che positivo.

L’insicurezza persiste

La situazione resta però davvero difficile – spiega Pigoli – perché ad esempio nella provincia dell’Oudalan, all’estremo Nord del Paese, l’insicurezza peggiora di giorno in giorno per via delle incursioni di gruppi armati jihadisti. Tra il Burkina Faso e il Mali si registrano due milioni di sfollati interni. Si tratta di famiglie, in gran parte donne e bambini, che per sfuggire al regime del terrore, imposto dai gruppi armati radicali presenti in quella area, abbandonano i loro villaggi e si rifugiano nelle città di provincia o, comunque, in zone meno isolate. Alcuni nuclei familiari si fanno ospitare da parenti e conoscenti, altre si sistemano all’interno di scuole, ormai quasi tutte chiuse, oppure in edifici pubblici non utilizzati, altre ancora, e sono sempre di più, in campi nati spontaneamente fuori dalle aree urbane. Il punto è che le famiglie di accoglienza sono a loro volta povere e con nuclei numerosi (6-10 persone) e a stento possono sostenere una famiglia altrettanto numerosa a cui dare almeno acqua e cibo. A questa crisi di insicurezza si aggiunge la grave siccità – ricorda Pigoli – causata dall’impatto dei cambiamenti climatici, sempre più grave nell’Africa subsahariana, dove il fenomeno della desertificazione si amplia ogni anno di più. Per la popolazione di queste regioni, che nell’80 per cento dei casi vive grazie all’agricoltura ed all’allevamento, questa situazione aggrava la povertà. E c’è poi l’emergenza data dalla pandemia.

L’infanzia negata

Si calcola che siano state chiuse 2.410 scuole e che siano 318mila i bambini ed i giovani privati dell’istruzione scolastica. I centri sanitari chiusi o in funzionamento minimo sono 273, in un’area che già scarseggia di servizi di base. Sono 1,5 milioni le persone che dipendono dall’aiuto umanitario per l’accesso alle cure mediche ed ai servizi sanitari. In questo scenario, la malnutrizione infantile continua ad essere un’emergenza: i dati emersi da un’inchiesta nutrizionale, condotta tra luglio e agosto del 2020, a Gorom-Gorom hanno indicato che per i bambini sotto i 5 anni c’è una prevalenza della malnutrizione acuta pari al 18 per cento e della malnutrizione acuta severa – una forma più grave di malnutrizione – per il 6 per cento, tre volte superiore alla soglia di allerta fissata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

I candidati alla presidenza

Il presidente in carica Roch Kaboré del partito Mpp (Mouvement du peuple pour le progrès) è stato eletto nel 2015 in seguito alla rivoluzione popolare del 2014 contro Blaise Compaoré. Gli altri principali candidati sono: Abdoulaye Soma del partito Msa (Mouvement Soleil d’Avenir) e membro dell’Ona (Opposition non affiliée), Ablassé Ouedraogo del partito Fa (Le Faso Autrement), Ambroise Farama del partito Opa-Bf (Organisation des peuples africains-Burkina Faso), il candidato indipendente Claude Aimé, Tassembedo, Kiemdoro Dô Pascal Sessouma del partito Vb (Vision Burkina), Eddie Komboïgo del partito Cdp (Congrès pour la Démocratie et le Progrès).

da Vatican NEWS del 21 novembre 2020

 

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