Fausta Speranza – Città del Vaticano
Si profila una Brexit no deal, vista la scadenza imminente del 31 dicembre e le difficoltà che risultano ancora incolmabili. Secondo il caponegoziatore Ue Michel Barnier, Unione europea e Regno Unito “continuano a lavorare duramente per un accordo equo, reciproco e bilanciato”. Ma da Londra, il ministro della Salute, Hancock, ha accusato Bruxelles di avanzare “richieste irragionevoli” e il premier Boris Johnson, tramite il suo ufficio, accusa Bruxelles di “continuare a fare richieste incompatibili con l’indipendenza di Londra”. Non possiamo accettare un’intesa che non ci lasci il controllo delle nostre leggi o acque”.
Le preoccupazioni del parlamento britannico
Il premier Boris Johnson continua a parlare di riconquistare la sovranità, tornare Stato indipendente e libero dal “giogo degli euro-crati non eletti di Bruxelles”, ridiventare grande potenza commerciale globale come ai tempi del glorioso Impero britannico. Intanto, un rapporto del Parlamento britannico avverte: il Regno Unito non è abbastanza preparato per l’uscita dal mercato unico europeo e dall’Unione doganale il prossimo 31 dicembre. La preoccupazione riguarda i problemi nei porti e le ripercussioni sulla sicurezza del Paese per la mancanza di accesso ai dati dei Paesi Ue. “Quando mancano solo sette giorni di lavoro alla fine del periodo di transizione, ci sono significative preoccupazioni”, ha spiegato la presidente della Commissione che ha stilato il rapporto, Hilary Benn. “Il Governo non è ancora in grado di dire con certezza a imprese, commercianti e cittadini che cosa succederà ai settori coinvolti. Le imprese che esportano verso l’Ue avranno a che fare con più carte da compilare e con costi supplementari, a prescindere da quello che sarà negoziato in questi giorni”. Secondo il rapporto, il governo deve preparare misure solide per affrontare l’emergenza entro il primo gennaio. Altrimenti, si rischia “il peggior inizio di anno possibile” in un periodo reso già difficile dalla pandemia.
L’ipotesi no deal nei rapporti tra l’Unione Europea e il Regno Unito sembra essere sempre più vicino e, a meno di un accordo politico dell’ultima ora, si confermerà la Brexit senza un accordo commerciale con tutte le incognite che questo comporta, come spiega Sergio Fabbrini, direttore del Dipartimento di Scienze politiche della Luiss:
Il distacco dall’Ue è già avvenuto il primo gennaio 2020 – ricorda Fabbrini – e le regole sono state fissate con l’accordo di recesso del 2019, che prevedeva tra l’altro un periodo transitorio che, non essendo stato prorogato, terminerà il 31 dicembre 2020. D’altro canto, è chiaro che lo status extracomunitario di Londra, anche a prescindere dalla conclusione dell’accordo commerciale, produce immediatamente una serie di adempimenti che per le imprese costituiranno il primo banco di prova dal primo gennaio 2021. Con l’accordo di recesso sono stati disciplinati gli adempimenti con cui imprese e professionisti devono confrontarsi e sulla base delle quali è possibile definire le strategie da attuare in questi ultimi giorni di dicembre e a partire dal primo gennaio. In particolare, l’accordo e le relative disposizioni di attuazione consentono di comprendere cosa possono fare le imprese in materia doganale, di Iva, di accise e di regole extratributarie e per i cittadini l’accordo stabilisce alcune regole per risiedere, lavorare, studiare e visitare il Regno Unito.
Possibile riferimento al Wto
In questo contesto – sottolinea l’accademico – l’assenza dell’accordo di natura commerciale significa che il Regno Unito diventerà a tutti gli effetti un Paese terzo, con effetti soprattutto per le imprese e per gli scambi di beni e servizi tra le due parti. Il professor Fabbrini spiega che probabilmente il punto di riferimento di scambi commerciali verrà ad essere l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) come, appunto, per i Paesi che non hanno intese commerciali specifiche. In particolare, l’effetto più eclatante è sicuramente costituito dall’applicazione reciproca dei dazi sulle merci che saranno importate in Uk dall’Ue e viceversa. Peraltro Fabbrini ricorda che il 50 per cento delle esportazioni dal Regno Unito al momento sono verso Paesi europei. Tutto potrebbe subire delle modifiche importanti in caso di accordo commerciale – sottolinea Fabbrini – ma soprattutto tutto andrà poi visto alla prova dei fatti, messo in atto nel concreto per capirne davvero le conseguenze.
Nessuna certezza neanche per i capitoli “chiusi”
Per riguarda i cittadini Ue che risiedono nel Regno Unito e per i britannici nei Paesi dell’Unione – afferma Fabbrini – al di là delle promesse al tempo della premier May e delle indicazioni di massima dell’accordo di recesso, poi i negoziati si sono concentrati su altro e al momento non ci sono davvero certezze. Il punto è che – sottolinea Fabbrini – al momento il premier britannico Johnson continua a ripetere che accetterà solo un accordo su tutto o su niente. In pratica i capitoli sui quali l’intesa è stata raggiunta, se non si bloccheranno la questione della pesca e quella della governance – che dopo il confine nordirlandese sono rimasti i nodi irrisolti – si riapriranno inesorabilmente. Fabbrini però apre anche altri scenari possibili sul piano politico, ricordando che in Scozia ad esempio c’è un grosso dibattito sulla possibilità di un referendum per restare nell’Ue.
Nessun dubbio sulla collaborazione in ambito Nato
Fabbrini ricorda che ovviamente restano dei legami profondi tra i 27 e Londra che non sono messi in dubbio, come quello di appartenere alla sfera dell’Alleanza Atlantica e di condividere dunque un piano di collaborazione in questo ambito. Fabbrini poi fa l’esempio della cooperazione in tema di antiterrorismo, un piano sul quale Londra, in questa fase storica, ha perfino più bisogno dell’Ue che degli Stati Uniti.