La notizia dell’ANSA

Acqua: esce ‘Il senso della sete’, il Papa scrive all’autrice

Francesco, “trasformare il mondo perché sia abitabile per tutti”

(di Fausto Gasparroni)
(ANSA) – ROMA, 13 APR – “Coltivare e custodire il Creato è un’indicazione di Dio data non solo all’inizio della storia (cfr Gen 2.15), ma a ciascuno di noi, per far crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un luogo abitabile per tutti”. E’ una lettera di papa Francesco ad aprire “Il senso della sete”, il nuovo libro della giornalista Fausta Speranza dedicato a “L’acqua tra geopolitica, diritti, arte e spiritualità”, edito da Infinito. E in questa lettera all’autrice, sottolineando come l’elaborato si ispiri “alle tematiche della casa comune e della fratellanza”, “quanto mai attuali”, il Pontefice auspica “che esso possa favorire il rispetto e la custodia del Creato”.

Quanto poi sia cruciale il tema dell’acqua, in tutti i suoi aspetti, da quello geopolitico ed economico, a quello del suo essere un indispensabile bene pubblico, fruibile da tutti, fino ai risvolti etici, culturali, artistici e spirituali, lo dimostra anche la serie di nomi di prestigio che, oltre al Papa, firmano gli interventi introduttivi del volume: l’ambientalista Vandana Shiva, il diplomatico Pasquale Ferrara, l’ex ministro ed ex presidente del Cnr Francesco Profumo, l’economista Leonardo Becchetti.

“Secondo le stime del Water Grabbing Observatory, nel 2030 il 47 per cento della popolazione mondiale vivrà in zone a elevato stress idrico, che significa elevatissimo stress sociale”, scrive l’autrice. “L’oro blu” è “in grado di scatenare carestie e guerre e l’acqua potabile, in particolare, rappresenta il primo diritto da tutelare in tema di salute”.

L’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 28 luglio 2010, ha incluso l’accesso ai servizi igienico-sanitari e all’acqua potabile tra i diritti umani universali e fondamentali. Ma “le risorse idriche non sono distribuite in modo equo e questo diritto è più ‘fluido’ che mai”. Intanto – e anche questo fa parte dell’attuale modernità “liquida”, “è accaduto un fatto tanto potenzialmente dirompente quanto impensabile: l’acqua quotata in Borsa”. E se ne parla in un capitolo ‘ad hoc’.

Ancora: il profondo legame tra la più essenziale delle risorse e il cambiamento climatico è stato il tema dell’edizione 2020 della Giornata mondiale dell’acqua. Con la pandemia, “il messaggio è deflagrato: si deve ripartire dall’ambiente costruito per contrastare l’arrivo di ondate di calore anomale, piogge torrenziali, siccità e aridità, uragani e cicloni”.

Ma si deve anche garantire “una gestione idrica più sicura e sostenibile e tutelare il diritto alla salute in un modo nuovo”. E l’analisi del volume è serrata su come sia “inaccettabile il numero di coloro che nel mondo vivono senza poter accedere all’acqua potabile”, mentre “nessuno può negare che far mancare l’acqua a esseri umani possa rappresentare un crimine contro l’umanità”.

Ma Fausta Speranza è anche alla ricerca di risposte e soluzioni, vuole contribuire a un dibattito “comprensivo e propositivo”. E per farlo non manca di attingere, nell’ultima parte della sua trattazione, a “quel bacino di spiritualità e sensibilità artistica che davvero può dare forza per una vera rivoluzione ecologica”: una rivoluzione che, come insegna lo stesso papa Francesco, “non può cambiare solo lo stato di salute dell’aria, dell’acqua, della terra, ma deve modificare la relazione dell’essere umano con il contesto ambientale e con l’altro”.
(ANSA).

Su L’Osservatore romano la recensione di Gabriele Nicolò

In un libro di Fausta Speranza l’acqua tra geopolitica, diritti, arte e spiritualità

Il Gange e l’ultimo soldo

13/4/2021 – «Nulla è più duro di una pietra e nulla è più molle dell’acqua, eppure la molle acqua scava la dura pietra», sentenziava Ovidio. Nel pensiero del poeta romano si specchia, in modo esemplare, la forza — paziente e sorprendente — di un bene e di una risorsa dalle cui potenzialità derivano dinamiche ed implicazioni che risultano decisive al fine di salvaguardare l’equilibrio e la salute della Terra. Sarebbe di conseguenza gravissimo, nonché imperdonabile, non valorizzare adeguatamente tali potenzialità. Alla luce di questa consapevolezza acquista un rilievo pregnante il libro della giornalista Fausta Speranza Il senso della sete. L’acqua tra geopolitica, diritti, arte e spiritualità (Formigine, Infinito Edizioni, 2021, pagine 255, euro 17), perché richiama, con rigore critico, l’impellente esigenza di tutelare il legame fondamentale tra l’acqua e il diritto alla salute, ovvero una tra le questioni sociali e geopolitiche di maggiore urgenza inerenti alla più essenziale delle risorse.

Il libro si fregia della lettera di Papa Francesco all’autrice, in cui si elogia il suo lavoro, «frutto della sua operosità quotidiana e di una diligente raccolta di tematiche quanto mai attuali». In tale senso il Santo Padre auspica che tale lavoro «possa favorire il rispetto e la custodia del Creato». Perché coltivare e custodire il Creato, sottolinea Papa Francesco, è «un’indicazione di Dio, data non solo all’inizio della storia, ma a ciascuno di noi, per far crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un luogo abitabile per tutti».

Diversi punti di vista, contenuti nelle prefazioni, introduzioni e postfazione (l’ecologista Vandana Shiva, l’ambasciatore Pasquale Ferrara, l’accademico Francesco Profumo, i professori Leonardo Becchetti e Stefano Ceccanti) arricchiscono il volume: valutazioni che fanno da prezioso contorno all’illuminante studio di Fausta Speranza, uno studio che spicca quale prezioso punto di riferimento in merito ad una tematica così articolata e sfaccettata.

In un’epoca segnata dai disastri ambientali e dal consumo eccessivo e scriteriato delle risorse del pianeta, l’acqua assurge ad emblema di quell’equilibrio naturale che gli esseri umani non possono continuare ad alterare senza annientare, così facendo, sé stessi. Indicativo è il richiamo all’Himalaya il quale è il Terzo Polo che fornisce acqua a metà dell’umanità. In virtù di ciò, assumono una dimensione cupa e allarmante “i disastri himalayani”. Spinti dall’avidità e dalla corruzione siamo diventati ignoranti della cultura del sacro e della fragilità ecologica dell’Himalaya. Ecco allora che i disastri himalayani rappresentano una conseguenza dell’ignoranza e dell’avidità, l’avidità di estrarre l’ultima goccia di petrolio e di gas dal sottosuolo, l’ultimo chilowatt di energia dall’ultimo fiume, compreso il Gange e i suoi affluenti, l’ultimo soldo, l’ultima rupia della natura e dei lavoratori.

L’acqua riveste un nevralgico ruolo strategico nello scacchiere internazionale. Si pensi alla crisi del lago Ciad, ovvero uno dei “serbatoi” d’acqua più importanti dell’Africa, da cui attingono tutti i territori circostanti appartenenti a quattro diversi Stati: Ciad, Camerun, Nigeria e Niger. L’area di questo bacino si è ridotta di circa il novanta per cento rispetto agli anni Settanta del secolo scorso. L’emergenza del lago Ciad è un intreccio di crisi diverse. Il cambiamento climatico ha aumentato la vulnerabilità ambientale di una regione già fragile, portando ad una forte siccità e a conseguenze negative sull’agricoltura e sulla sicurezza alimentare. Al contempo si registrano un sensibile aumento demografico e la caduta del petrolio al barile, che ha fatto aumentare l’inflazione e il costo dei beni di prima necessità. A ciò si aggiungano fenomeni di estesa corruzione, che prospera quando si riducono le opportunità economiche “legali”, e quando si allargano le fasce di miseria. La popolazione è allora esposta alle “scorciatoie” della criminalità transnazionale e si creano nuove tensioni migratorie.

Non c’è dubbio che l’acqua sia al cuore della questione ambientale la quale, a sua volta, è inserita in un’era dominata dalla tecnologia. In questa temperie si affermano meccanismi e dinamiche dell’intelligenza artificiale, i processi lavorativi sono sempre più automatizzati, le persone sono sempre più in simbiosi con gli strumenti digitali. Tutto questo avviene mentre si consuma il pianeta fino a minacciare la sicurezza idrica. A questo punto scatta un amaro paradosso. Si raggiungono impensate conquiste, ma non sappiamo come risolvere questioni fondamentali in cui sono messe in gioco l’esistenza e la dignità dell’essere umano. È dunque necessario che venga ripensato l’intero sistema di relazioni tra esseri umani, tecnologia e ambiente. E puntualmente, in merito, Fausta Speranza accosta il messaggio dell’Enciclica Laudato sì alla disamina dei disastri ambientali, alla prospettiva di una tecnologia green, come pure al patrimonio umanistico, religioso e artistico.

Non è certo un caso che tra le sei dimensioni principali della sfida ambientale identificate a livello globale si trovi quella dell’impronta d’acqua e che il goal 6 degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite sia relativo alla disponibilità d’acqua pulita e di servizi sanitari. Tra i traguardi che, da questo punto di vista, ci si propone figurano l’implementazione di una gestione delle risorse idriche integrata, la tutela ed il risanamento degli ecosistemi legati all’acqua, l’espansione del supporto per le attività legate all’acqua e agli impianti igienici nei Paesi in via di sviluppo. Alcune buone pratiche, intanto, stanno indicando la vita. In Nuova Zelanda, per esempio, il Parlamento ha approvato una legge che rende il fiume Whanganui (il terzo fiume del Paese) un soggetto giuridico.

Questa iniziativa pone bene in rilievo che l’acqua, a conferma delle sue molteplici potenzialità, assume anche una dimensione costituzionalistica. Essa, cioè, diventa una res funzionale al godimento dei diritti fondamentali, primo fra tutti quello della vita e della salute. L’indissolubile legame con i diritti fondamentali rende l’acqua un bene comune, cioè un bene la cui utilizzazione economica non può andare ad incidere il nucleo essenziale dei diritti umani.

La riflessione di Fausta Speranza sull’acqua ha un potente respiro sinottico, perché traccia un interessantissimo itinerario di tale bene attraverso le diverse religioni, dal cristianesimo e all’ebraismo, dall’islam e al buddismo. Un itinerario che, nel suo agile dispiegarsi, non può non caricarsi di un solido spessore culturale, in cui trova espressione un denso nucleo di usi e tradizioni. L’autrice puntualmente ricorda come l’acqua sia una “protagonista” nelle opere di Shakespeare. Basti pensare a La tempesta, o all’Ofelia dell’Amleto, che sparisce inghiottita dalle acque. C’è poi un’altra celebre storia d’acqua, il mito di Narciso, un personaggio implicitamente presente nei primi Sonetti. Nel sonetto di Shakespeare, allo specchio d’acqua, che nel mito ovidiano resta complice muto di un amore fallace, si sostituisce l’io del poeta in diretta allocuzione con il giovane innamorato. L’interlocutore dell’io poetico tende a non uscire dalla sterile corrispondenza di sé stesso, ma l’invito a guardarsi nello specchio — sottolinea Fausta Speranza — va nella direzione esattamente opposta a quella dell’auto-contemplazione distruttiva di Narciso. Serve piuttosto da incentivo a salvare «quella che viene pensata come l’Immagine perfetta».

di Gabriele Nicolò

da L’Osservatore Romano del 13 aprile 2021

 

Pio XII e l’idea di mondo occidentale

Va ristudiato il contributo che gli anni del Pontificato che ha attraversato la seconda guerra mondiale hanno offerto per l’elaborazione di un approccio peculiare alla realtà sociopolitica internazionale e al concetto di democrazia. Per questo è nato il progetto Occidentes che coinvolge quattro Università, come raccontano gli storici don Roberto Regoli della Gregoriana e Paolo Valvo della Cattolica

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Non è facile parlare oggi di Occidente senza cadere in formule stereotipate, semplicistiche, retoriche e ideologiche. Ci si accorge che per poterlo fare serve una storicizzazione del concetto di Occidente. Tutto riporta al dramma del secolo scorso: il conflitto mondiale e poi il mondo diviso dalla cortina di ferro che ha portato a una divisione tra un’Europa dell’Ovest sotto l’ombrello di protezione statunitense, nel cui contesto ha preso il via il processo d’integrazione europea, e un’Europa dell’Est egemonizzata dall’Unione Sovietica.

La Chiesa che ha resistito a un pensiero omologante

Negli anni del pontificato di Pio XII, dal 1939 al 1958, si distingue, tra visioni omologanti, quella della Chiesa cattolica che, nelle sue varie articolazioni, assicura una significativa pluralità di approcci, in Europa come nelle Americhe, contribuendo a mantenere viva la dialettica tra idee e modelli differenti di “Occidente”. Ne abbiamo parlato con don Roberto Regoli, direttore del Dipartimento di Storia della Chiesa dell’Università Gregoriana:

Lo storico ci spiega che l’idea di Occidente, non diversamente dall’idea di Europa (che della prima ha parzialmente condiviso la traiettoria), è stata oggetto fin dall’antichità delle più diverse interpretazioni, che hanno tentato di definirne estensione e limiti tanto sul piano territoriale quanto su quello culturale, in un crescendo di complessità soprattutto a partire dalla scoperta del Nuovo Mondo americano. Se all’inizio del XX secolo il ricorso sempre più frequente al concetto di “Occidente” è stato funzionale a legittimare l’ideale passaggio di testimone dall’Europa agli Stati Uniti come guida morale di quello che per comodità si può chiamare “mondo occidentale”, all’indomani della seconda guerra mondiale i processi di interconnessione economica, politica, culturale e sociale che hanno attraversato quello stesso mondo hanno contribuito a plasmare un’idea di Occidente come entità organica, animata dai medesimi valori di fondo (come la forma democratica dello Stato e un modello di sviluppo economico di tipo capitalistico), alimentando un immaginario che è andato rafforzandosi nei decenni della Guerra Fredda. Negli stessi anni va citata la nascita dello Stato d’Israele, sottolineando che nel 1948 ridefinisce una volta di più i confini territoriali dell’Occidente, creando un avamposto di grande valore simbolico in una delle sorgenti storiche e ideali della cultura europea, Gerusalemme. Un evento non senza tensioni con le comunità cristiane presenti da millenni nel Medio Oriente che aiuta a capire come l’Occidente non sia un concetto territoriale.

La peculiarità del mondo cattolico

Don Regoli ricorda l’insistenza su un’idea di democrazia sostanziale e di partecipazione che a partire dal pontificato di Pio XII ha cominciato a caratterizzare la riflessione e l’azione del mondo cattolico, citando le diverse esperienze di “democrazie cristiane”. In particolare spiega che si può parlare di una visione di tipo personalista da cui è derivata, in seguito, anche l’apertura alla dimensione della libertà religiosa e dei diritti dell’uomo in sede conciliare. Da un altro punto di vista, aggiunge, si può sottolineare l’atteggiamento critico nei confronti del sistema capitalistico, che ancora durante il pontificato pacelliano – in continuità con l’elaborazione dottrinale dei pontificati precedenti – ha portato a coltivare in alcuni casi, specialmente in America Latina, il disegno di una “terza via” tra capitalismo e collettivismo, destinato a lasciare spazio a tentativi più realistici di umanizzare l’economia di mercato. Peraltro, nell’emisfero occidentale il rapporto con il mondo statunitense, in particolare con le ambizioni globalizzanti e la radice protestantica della sua cultura liberale, viene vissuto dalla Santa Sede, che con gli Stati Uniti condivide l’impegno contro la diffusione del comunismo, non senza momenti di tensione dialettica in quanto entrambi rivendicano il ruolo di interprete autentico delle istanze della civilizzazione occidentale.

Le sovrapposizioni che non aiutano

Don Regoli ci spiega che l’impossibilità di una piena identificazione tra Occidente cristiano e Occidente capitalistico risalta con ancora maggior evidenza in America Latina, dove l’influenza culturale, politica e anche religiosa degli Stati Uniti stimola – come reazione da parte di settori rilevanti del cattolicesimo locale – la ricerca di nessi ideali con altri modelli di civiltà occidentale, diversi da quello statunitense: in proposito vanno sottolineati i richiami esercitati dal franchismo e dall’Estado Novo salazarista rispettivamente sull’America ispanica e sul Brasile. Per altro verso, nel subcontinente prende corpo negli anni di Pio XII anche un ideale “neo-bolivariano” di integrazione continentale, che trova nei prodromi del processo d’integrazione europea un importante termine di paragone. Anche la risposta di Pio XII alle complesse sfide pastorali e sociali della regione, sottolinea don Regoli, sembra unire alla collaborazione tra le Chiese locali e il cattolicesimo statunitense un approccio teso a valorizzare la specificità del subcontinente: di questo approccio sono espressione la nascita del Consejo Episcopal Latinoamericano (CELAM), la cui Conferenza Generale si riunisce per la prima volta a Rio de Janeiro nel 1955, e la fondazione della Commissione per l’America Latina (1958). A questo proposito don Regoli ricorda che la collaborazione più volte invocata nei pontificati precedenti tornerà di attualità sullo sfondo dell’Alliance for Progress lanciata nel 1961 da John F. Kennedy.

La singolarità dei regimi autoritari in Spagna e Portogallo

In un contesto largamente dominato dalla dinamica bipolare, un significativo elemento di continuità con l’assetto prebellico è rappresentato dai regimi autoritari di Spagna e Portogallo, come ricorda, affrontando altri punti nodali, l’altro storico impegnato in prima linea nel progetto Occidentes, Paolo Valvo, ricercatore di Storia Contemporanea all’Università Cattolica di Milano:

Valvo ricorda che nelle intenzioni i regimi in Spagna e in Portogallo continuano a incarnare quell’ideale di “Stato corporativo cattolico” su cui negli anni Trenta hanno riflettuto non pochi cattolici occidentali, inclusi quelli che dopo il 1945 sono diventati protagonisti della ricostruzione democratica nei rispettivi Paesi.  Valvo spiega che in questo contesto si ragiona soprattutto in termini di idealità, senza però tralasciare di fare i conti con i risvolti repressivi di tali regimi e con l’attitudine mostrata in proposito dal mondo cattolico di riferimento.  Valvo sottolinea che si tratta di una molteplicità di aspetti da considerare e che proprio per questo è utile che ci sia lo scambio e il contributo tra diversi studiosi, non solo di diversi atenei e Paesi ma anche di diverse displipline. Un comune obiettivo di ricerca storica, infatti, riunisce le competenze scientifiche di quattro atenei: Università Cattolica del Sacro Cuore, Pontificia Università Gregoriana, Universidad de Navarra, Universidade Católica Portuguesa. A questo proposito Valvo sottolinea che il progetto si avvale di un ampio spettro di prospettive metodologiche – dalla global history alla storia economica e sociale, dalla storia delle relazioni internazionali alla storia del pensiero – e si sofferma sull’importanza di una sinergia tra i rispettivi sforzi di ricerca, spiegando che c’è apertura fin da ora anche al contributo futuro di altri studiosi. E’ evidente come il fatto che il lavoro dei singoli ricercatori sia inserito in un orizzonte internazionale rappresenti un valore aggiunto. Valvo spiega che i risultati dello studio e della collaborazione tra atenei diversi e Paesi diversi saranno comunicati in via preferenziale attraverso seminari di approfondimento periodici, anche a distanza, e attraverso pubblicazioni scientifiche (monografie, articoli in rivista e volumi collettanei), privilegiando dove possibile l’open access. Per ogni ambito tematico è prevista inoltre l’organizzazione di un convegno internazionale che potrà svolgersi presso una delle Università partecipanti.

L’apertura degli archivi vaticani che rende possibili le ricerche

Valvo ricorda che il 2 marzo 2020 l’Archivio vaticano ha messo a disposizione degli studiosi le carte del periodo di Pio XII, offrendo così un’occasione preziosa per quanti intendano approfondire criticamente le idee di “Occidente” e di “civiltà” che il cattolicesimo occidentale – europeo, nordamericano e latinoamericano – ha consapevolmente o inconsapevolmente veicolato lungo il pontificato di Papa Pacelli, nei più diversi ambiti. Il punto è che diventa preziosa la possibilità di fare rete tra istituzioni accademiche riconosciute nel panorama internazionale che, nel quadro di una collaborazione stabile e nel rispetto della più ampia libertà di ricerca scientifica, possano condividere e integrare le rispettive competenze per aprire itinerari di studio originali e interdisciplinari.

da Vatican NEWS del 13 aprile 2021