Un parroco e quattro fedeli rapiti in Mali

Continuano le violenze nella regione centrosettentrionale del Mali. Un sacerdote e quattro persone sono state rapite, alcuni militari francesi sono rimasti feriti durante un’operazione di ricognizione. Si conferma il dramma dei gruppi jihadisti che imperversano in una situazione di instabilità politica, come spiega suor Myriam Bovino dalla missione dell’Immacolata Regina della Pace (SMIRP) fuori Bamako

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Cinque cattolici maliani tra cui il parroco della cittadina rurale di Ségué, appartenente alla diocesi di Mopti, padre Leon Dougnon, sono stati sequestrati nella provincia di Mopti. Tra questi ci sono anche il sindaco e il vice-sindaco di Ségué, Thimothé Somboro e Pascal Somboro, ed altri due membri della comunità, Emmanuel Somboro e Boutié Tolofoudié. A confermarlo, dopo  l’allarme lanciato da padre Kizito Togo parroco della cattedrale di Mopti, è stato padre Alexis Dembélé, membro della Conferenza episcopale nazionale (Cem). Il gruppo si stava dirigendo in auto verso la capitale, Bamako, per assistere al funerale di padre Oscar Tehra.

Il rapimento non sembra sia stato ancora rivendicato ma dopo varie telefonate a padre Dougnon, una voce ha risposto al suo cellulare confermando l’ipotesi che il religioso si trovi in mano ad un gruppo jihadista. Cresce la paura tra la popolazione, come afferma suor Myriam Bovino che si trova nella missione dell’Immacolata Regina della Pace (SMIRP) nei pressi della capitale Bamako:

Suor Myriam racconta del senso di dolore, preoccupazione che ha pervaso tutti alla notizia di questo ennesimo rapimento, così come di altre notizie di violenze che – aggiunge – si sentono giornalmente e riempiono tutti i canali di informazione. Spiega che la popolazione è molto angosciata e che in effetti da anni dilaga l’insicurezza ma poi raccomanda anche di non dimenticare che c’è un’altra grande fetta di gente che  vive in modo pacifico. Suor Myriam sottolinea che nel Paese si rimpiangono periodi in cui la convivenza tra etnie poteva creare tensioni ma poi si risolvevano, mentre oggi – afferma – non si capisce bene chi provoca scontri e quali interessi, anche stranieri, ci siano in ballo. E’ difficile – spiega – distinguere tra violenza jihadista e criminalità organizzata, che approfitta del fatto che non ci sono forze in grado di assicurare un reale controllo del territorio.

Un’area nota per la presenza jihadista

In seguito all’annuncio del “ridimensionamento” dell’operazione francese Barkhane nel Sahel, sembra che gli attacchi jihadisti siano aumentati in Mali. Lunedì un terrorista suicida si è fatto esplodere davanti a un blindato delle forze armate francesi causando  il ferimento di sei militari e quattro civili maliani, tra cui un bambino. L’attacco è avvenuto vicino alla località settentrionale di Gossi, sulla strada tra Mopti e Gao, un’area che risulta essere una roccaforte di gruppi jihadisti che da lì riescono a colpire anche il vicino Burkina Faso.

Altri ostaggi

Tra i religiosi sequestrati in Mali c’è ancora suor Gloria Narváez, colombiana, rapita quattro anni fa nel nord del Paese e attualmente prigioniera del Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Gsim), una rete di vari organizzazioni qaediste raggruppatesi nel 2017. Il governo ha fatto sapere che rientrerà senza risultati la delegazione mandata in Mali tre mesi fa per negoziarne il rilascio.

Un decennio di violenze

Le violenze si sono moltiplicate dal 2012, da quando sono emerse tensioni indipendentiste e si è consolidata la presenza di gruppi jihadisti vicini ad Al-Qaeda e al cosiddetto Stato Islamico. Resta l’instabilità politica a livello nazionale tanto che nel giro di nove mesi si sono verificati due colpi di Stato per sostituire il presidente Ibrahim Boubacar Keita. L’ultimo golpe risale al 24 maggio ed ha portato al potere il colonnello Assimi Gota, divenuto presidente ad interim fino alle prossime elezioni.

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