Il piano inclinato della tecnoscienza

di Fausta Speranza

Si fa presto a dire transizione ecologica: senza meccanismi di welfare ad hoc e senza una rivoluzione dei sistemi educativi, si rischia di dare la parola solo alla tecnoscienza che già pervade anche troppo la vita dell’uomo contemporaneo. A lanciare l’avvertimento è una personalità di spicco del mondo dell’innovazione tecnologica, Francesco Profumo, già presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr). Non bastano i buoni propositi di recupero dell’ambiente naturalistico, sottolinea.

    Incontriamo Francesco Profumo a Milano, oggi presidente della Fondazione Compagnia di San Paolo. E’ stato, oltre che ai vertici del Cnr, anche ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. La sua storia personale esprime l’opposto rispetto a quello che potremmo definire scetticismo o diffidenza nei confronti delle scoperte tecnologiche.

Lo sguardo si illumina quando ci fa un esempio di innovazione: il prototipo messo a punto da giovani per ottenere acqua dall’aria. In sostanza si tratta di raffreddare l’aria disponibile nell’atmosfera convertendo l’acqua dallo stato gassoso, cioè dall’umidità, allo stato liquido, grazie alla condensa. Profumo ci spiega con entusiasmo che il prototipo è in grado di estrarre al giorno 13 litri di acqua, risorsa essenziale per definizione, in zone desertiche.

Il tono si fa grave quando, di fronte alle emergenze ambientali, chiediamo in che direzione stiamo andando. “Non c’è prototipo che tenga se non si recupera una visione olistica”, risponde subito. E poi ci consegna questa consapevolezza: “La tecnologia è solo uno degli strumenti possibili ma da sola non risolve i problemi, forse li accentua”.

“Non ci sono più le condizioni per dire che la sola tecnologia possa interagire con il tema dell’ambiente e della transizione ecologica”, afferma Profumo, sottolineando che non si può non parlare di transizione sociale. Spiega: “I piani da considerare sono tre: quello della transizione ecologica, quello della digitalizzazione, quello della resilienza sociale”.

C’è un “allineamento da fare” – sostiene – tra i sistemi di produttività e i sistemi di relazioni”. A livello teorico le basi ci sarebbero, sembra dire Profumo quando cita il discorso della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, al momento del suo insediamento a novembre 2019 che “conteneva precisamente l’indicazione di questi tre piani, da cui non si deve prescindere”. Ricorda la cosiddetta Agenda 2030 dell’Onu che prevede misure cheFrancesco Profumo considerano l’ambiente naturalistico e l’ambiente sociale, per affermare che, tra tanti passi avanti e passi indietro, in particolare l’Obiettivo 17 dell’Agenda rischia di essere il primo disatteso: è l’ultimo della lista, quello che invoca il partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile.

“Si rischia di considerare solo l’urgenza di salvare il pianeta mentre l’essere umano continua a perseguire logiche autodistruttive e pensa di contare solo sui nuovi strumenti dell’era della digitalizzazione”. L’esperto di innovazione tecnologica avverte che “non si può perdere la centralità dell’uomo” e ricorda la chiarezza con cui viene spiegato nell’Enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco: l’ecologia o è integrale nel senso che si occupa di riequilibrare  sistemi naturali e sistemi sociali o non è.

Profumo ne sottolinea l’importanza spiegando che “serve tenere insieme cose diverse, tutto è integrato”.

Viene subito in mente che la famosa transizione verso un nuovo sistema di produzione più ecologico non avrà lo stesso costo per tutti. Ci sono Paesi meno ricchi e sviluppati che rischiano di pagarne il prezzo più alto, ci sono fasce di popolazione in Paesi con economie agiate che potrebbero non reggere l’urto. Ma Profumo annuisce ma chiarisce che non è solo questo il punto: “Ci sono scenari problematici per tutti”.

“Servirà un welfare ad hoc, di accompagnamento, per la transizione ecologica che richiederà tempi molto lunghi”, avverte Profumo. I tradizionali sistemi di welfare sono in crisi. Il punto di vista non è negativo: “L’obiettivo finale è corretto e soprattutto ne verranno grandi opportunità”. Ma “servono forte consapevolezza e tanta ricerca”. Per la messa a punto dei modelli di welfare così come li conosciamo c’è voluto un processo di formazione e evoluzione. “Oggi non reggono più il confronto con i processi del futuro”. Serve quella che Profumo definisce “ibridazione da saperi diversi”, attenzione a indirizzi pro-profit o no-profit, a piani diversi tra Stato, settore secondario, settore terziario.

Se si guarda a singole tematiche come quella delle sorgenti energetiche, si capisce subito la profonda complessità della questione. Ma Profumo invita a riflettere sul fatto che la complessità non sta solo nelle revisioni tecniche da considerare ma in alcuni “rapporti chiave da rivedere, a partire dal rapporto tra domanda e disponibilità”. Ricorda che alcune fonti come quella solare sono segnate dalla variabilità della disponibilità. Dunque, “bisognerà disaccoppiare la domanda e l’offerta”, afferma, spiegando che “serve sempre più ricerca per assicurare bacini intermedi, bacini ‘cuscinetto’ che consentano il disaccoppiamento”. L’esempio è quello delle batterie che consentono di immagazzinare energia per quando ce n’è bisogno. Si capisce che la soluzione non è semplice su larga scala. Rispetto ai ritmi delle centrali termoelettriche “cambia l’equilibrio tra tempi di produzione e utilizzo”.

La proverbialità della rivoluzione copernicana sembra impallidire. Dal colloquio con Profumo usciamo con due parole d’ordine: ricerca e educazione, invocando innovazione e creatività. Non possono essere all’altezza dei tempi neanche i modelli educativi in atto, che sono figli dei modelli industriali in cui si sono sviluppati. Il punto è che finora i tempi di ogni rivoluzione industriale sono stati abbastanza lunghi da permettere che la conoscenza “prodotta” reggesse alle richieste e alle esigenze. Ma, nell’orizzonte che ci schiarisce Profumo, la quarta rivoluzione industriale che stiamo vivendo durerà massimo altri dieci anni per lasciare il passo alla prossima, che dovrà essere figlia delle tre transizioni indicate: ecologica, digitale, sociale, che portano con sé cambiamenti e accelerazioni impensabili fino a poco tempo fa. Per tenere il passo servono nuovi sistemi educativi.

Ci si deve abituare all’idea che “la conoscenza che l’uomo impara invecchi sempre più velocemente”. La priorità dunque sarà “imparare ad imparare accettando che si tornerà a scuola nella vita sei o sette volte in un meccanismo continuo di re-apprendimento”. Ma se “le competenze saranno sempre più temporanee, sarà fondamentale aver coltivato nello zainetto della vita una serie di conoscenze di tipo soft, come creatività, capacità di lavorare in squadra, attitudine al pensiero critico”. In qualche caso, argomenta Profumo, bisognerà anche “tornare a scuola per disimparare e reimparare perché il contenitore della mente non è infinito”. I dettagli della visione sono tutti da disegnare, ma è precisa la riflessione di Profumo: “Sarà una vita molto più interessante ma anche più faticosa”.

La velocità si sposa con l’incertezza, che flirta con “tentazioni autocratiche”. Profumo cita lo scenario di nuove povertà ma anche di nuove “debolezze”. Le crisi economiche e l’automazione hanno bruciato fette di lavoro e di impiego tradizionali; la pandemia ci ha bruscamente gettato nell’emergenza sanitaria globale; la digitalizzazione ha aperto scenari di cyber attacchi. Profumo non ha dubbi: “Sono tutti terreni che possono indurre a invocare interventi dall’alto, produrre scivolamenti verso forme di autoritarismo”. Il punto è che “la moderna tecnologia può ben sposarsi con un crescente controllo, può intercettare e bloccare mobilitazioni dal basso”.

Nessuno si senta escluso: il rischio è planetario e i sistemi democratici non sono di per sé inattaccabili. Tentazioni e derive da scientismo e culto della potenza a diversi livelli sono sotto gli occhi di tutti. Nell’era della tecnoscienza, serve una nuova antropologia all’altezza delle sfide per difendere umanesimo e democrazia.

“C’è la necessità di riscrivere una parte della storia dell’uomo”, dice Profumo, e “la più grave debolezza su tutti i fronti sarebbe la mancanza di consapevolezza che rende impreparati”.

https://www.meridianoitalia.tv/index.php/cultura1/459-il-piano-inclinato-della-tecnoscienza

Ue-Africa: si riparte dal summit rimandato per pandemia

La Francia, gli alleati europei e il Canada hanno annunciato il “ritiro coordinato” delle forze militari in Mali. Lo ha reso noto l’Eliseo in una nota diramata la mattina dopo la cena di lavoro sul Sahel organizzata a Parigi dal presidente francese Emmanuel Macron e nel giorno in cui prende avvio a Bruxelles il summit Ue-Ua

Fausta Speranza – Città del Vaticano

In Mali “non c’erano più le condizioni politiche, operative e giuridiche” per mantenere sul posto la presenza militare francese ed internazionale: è quanto si legge in una nota diffusa dall’Eliseo dopo la cena di lavoro di ieri sera sulla presenza militare nel Sahel a cui ha partecipato anche il presidente del Consiglio dei ministri italiano Mario Draghi. La Francia, i partner europei e il Canada hanno annunciato questa mattina il ritiro dal Mali delle operazioni antiterrorismo Barkhane e Takuba, lamentando il peggioramento delle relazioni con l’attuale giunta al potere a Bamako dopo il colpo di Stato dello scorso anno. La Francia ha circa 4.300 soldati dispiegati nella regione, circa 2.400 nel solo Mali.

Un impegno per il Sahel da reinventare

I Paesi partner esprimono comunque la “volontà di restare impegnati nella regione” del Sahel. Non solo. “Per contenere la potenziale estensione geografica delle azioni dei gruppi armati terroristici in direzione del sud e dell’ovest della regione – si legge nella nota congiunta – i partner internazionali indicano la loro volontà di considerare attivamente l’estensione del loro sostegno ai Paesi vicini del Golfo di Guinea e dell’Africa Occidentale, sulla base delle loro richieste”.

Summit e rapporti Ue-Ua

Intanto, ha preso il via oggi a Bruxelles il summit inizialmente previsto a dicembre 2020 tra Unione europea e Unione africana. I vertici Ue-Ua si svolgono tradizionalmente ogni tre anni, in alternanza tra Africa ed Europa. Un appuntamento importante per discutere fino a domani una serie di questioni che vanno dall’economia e il commercio, all’ambiente, il clima e l’agricoltura, dal digitale e le infrastrutture alla pace e la sicurezza. Il filo conduttore delle discussioni è la ripresa post-pandemica e il rafforzamento della resilienza di fronte alle attuali e future forme d’instabilità politica che hanno investito il continente africano tra colpi di Stato militari e vecchie e nuove crisi. I partecipanti dovrebbero adottare una dichiarazione congiunta su una visione comune per il 2030. Per lungo tempo i rapporti tra Europa e Africa hanno ruotato intorno ad accordi a termine (Convenzioni di Yaoundé e di Lomé, e poi Accordo di Cotonou) che hanno definito i termini dei rapporti tra donatori e beneficiari degli aiuti allo sviluppo e delle relazioni commerciali. Dagli anni Novanta, si è gradualmente aggiunto anche un dialogo su tematiche più politiche, incluse migrazioni e riforme democratiche. Dopo un lungo processo negoziale, l’anno scorso si è arrivati alla stipula di un nuovo accordo post Cotonou.

Un intervento concreto in tema di pandemia

La Banca europea per gli investimenti metterà a disposizione 500 milioni di euro per sostenere il rafforzamento dei sistemi sanitari nei Paesi dell’Africa subsahariana nel quadro del partenariato con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, in collaborazione con la Commissione Europea. La partnership – si legge in una nota congiunta della Bei e dell’Oms – è “volta a mobilitare un miliardo di euro di investimenti per sostenere i Paesi nel colmare il divario di finanziamenti sanitari, costruendo sistemi sanitari resilienti basati su solide basi di assistenza sanitaria primaria, per aiutarli a raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile relativi alla salute”. L’obiettivo è “ripristinare, ampliare e sostenere l’accesso ai servizi sanitari essenziali e aumentare la protezione dai rischi finanziari; migliorare l’accesso a vaccini, medicinali, strumenti diagnostici, dispositivi e altri prodotti sanitari”. “La pandemia di Covid-19 è una potente dimostrazione che quando la salute è a rischio, tutto è a rischio. Investire nella salute in tutta l’Africa è quindi essenziale non solo per promuovere e proteggere la salute, ma anche come base per far uscire le persone dalla povertà e guidare una crescita economica inclusiva”, ha commentato Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms. “La partnership tra la Bei e l’Oms è fondamentale per la nostra risposta alla pandemia al di fuori dell’Ue, come parte del Team Europe – ha affermato Werner Hoyer, presidente della Bei -. Dall’inizio della pandemia, la Banca dell’Unione europea ha intensificato il sostegno agli investimenti sanitari, alla produzione di vaccini e alla resilienza economica in tutta l’Africa e nel mondo”.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-02/africa-unione-europea-sahel-mali-summit-canada-colpo-di-stato.html