Storie di vita impresse nella pietra in tre dimensioni

17 aprile 2023

Il fascino dell’antichità più o meno celata e conservata si intreccia con storie eterne di amori e di potere, e l’archeologia si sposa con tecnologia e ipertesti. Accade nel libro intitolato Regilla. Luce della casa, a cura di Paolo Re e Tommaso Serafini (Roma, Arbor Sapientiae Editore, 2023, pagine 127, euro 18) che segue il filo logico della «strategia comunicativa» di Erode Attico percorrendo l’Appia antica.

Lo scenario è il cosiddetto Pago Triopio, l’area che potremmo definire adibita all’epoca a comprensorio, che si estendeva approssimativamente nella zona tra la chiesa del Quo Vadis e via dell’Almone. A ridosso c’era un imponente palazzo, di cui sono rimasti tra l’erba a testimoniarne l’importanza solo blocchetti di tufo per opera reticolata, mattoni triangolari, tegole, basoli isolati, selci, blocchi di travertino, lastrine di opus sectile marmoreum, tessere di mosaico, frammenti di intonaco colorato di rosso, azzurro o bianco.

Cinque epigrafi trovate, dette appunto iscrizioni triopee, forniscono notizie interessanti sull’origine e sull’organizzazione dell’area voluta da Tiberio Claudio Erode Attico, uomo molto ricco, nato tra il 100 e il 101 d.C., retore, filosofo, precettore degli imperatori Lucio Vero e Marco Aurelio, governatore di una parte dell’Asia e della Grecia. Aveva sposato Annia Regilla discendente dall’antica famiglia dei Regoli, che annoverava fra gli antenati il celebre Attilio morto durante la guerra punica. Fu lei a portare in dote al marito il fondo lungo il III miglio della via Appia. Su una colonna di marmo collocata originariamente all’ingresso del Triopio, ora ai Musei Capitolini, è scritto in latino e in greco: «Annia Regilla, moglie di Erode Attico, luce della casa, alla quale appartennero questi beni». La storia narra che quando morì, nel 160-161 d.C., Erode fu accusato dal cognato di averla assassinata, subì per questo un processo, da cui uscì assolto.

Le iscrizioni ci raccontano di campi di grano, olivi, vigne, prati, addirittura la stazione di “polizia”, il campo sacro a Nemesi e Minerva, il parco, il villaggio colonico che era dalle parti di Cecilia Metella e, nel luogo in cui successivamente fu costruito il Palazzo di Massenzio, la villa residenziale. È citato un tempio dedicato a Cerere, la dea romana corrispondente alla Demetra dei greci, e a Faustina moglie dell’imperatore Antonino Pio, morta poco tempo prima e “divinizzata”, al cui interno Erode collocò la statua della moglie.

In una delle due iscrizioni su grandi colonne di marmo cipollino, che si trovano ora al Museo Nazionale di Napoli, si legge: «Non è permesso ad alcuno di portarle via dal Triopio, che è situato al III [miglio] della via Appia, nel possedimento di Erode. Chi le rimuoverà non ne riceverà certo vantaggio. Ne è testimone la dea infernale (Hecate) e le colonne che sono dono a Cerere e a Proserpina e agli dei Mani e [a Regilla]». Due iscrizioni — le originali si trovano oggi al Louvre e una copia a villa Borghese — sono scolpite su cippi di marmo pentelico e contengono un lungo panegirico in versi, composto da Marcello Sideta, un poeta amico di Erode.

Tra le particolarità del libro c’è il fatto che vengono riproposte le traduzioni dei versi fatte da Giacomo Leopardi, mentre collegamenti multimediali spalancano opportunità di letture in metrica o letture espressive di brani, ricostruzioni in tre dimensioni di monumenti, riferimenti storici contestuali, storie e leggende di eroine e divinità. Ad esempio, la tecnologia aiuta a focalizzare le colonne e le varie epigrafi con movimenti visivi che permettono di comprendere come alcune iscrizioni sono state aggiunte in un altro pezzo di storia in cui le colonne sono state capovolte e praticamente “riciclate”. Reperti e passaggi storici mancano alle ricostruzioni degli studiosi, ma quello che sopravvive si arricchisce in modi diversi. È proprio quello che contribuisce a mettere in luce il libro, dedicato a epigrafi antiche e pensato per la dinamicità mentale delle nuove generazioni.

di FAUSTA SPERANZA

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