Eticamente modificato

Lo sgretolamento dell’io identitario nella conflittuale dualità tra Bene e Male

E poi venne il gemello digitale

Con le definizioni di sosia, gemello, ombra, immagine allo specchio, alter ego, il tema del doppio ha attraversato l’immaginario artistico letterario di tutti i tempi, interpellando la riflessione filosofica prima di incontrare le interpretazioni della psicanalisi. Tra mille suggestive o bizzarre variazioni di senso, un filo rosso non ha mai abbandonato l’idea di dualità o di alterità, anche quando ha cominciato a sgretolarsi la certezza dell’io identitario: il filo rosso è stata la consapevolezza di muoversi sempre e in ogni caso tra Bene e Male. Nell’era della cosiddetta intelligenza artificiale si parla di “gemello digitale”. Non è solo una possibile variante della creatività umana, ma è un nuovo scenario antropologico da considerare con grande attenzione. Per la prima volta quel filo rosso potrebbe essere spezzato dai processi di automazione.

Se nell’arte e nella letteratura il “doppio” — spesso citato con il termine tedesco Doppelgänger — è una metafora del lato oscuro dell’uomo, nel pensiero psicologico novecentesco il doppio rappresenta l’inconscio. Diventa funzionale alla spiegazione dei fenomeni di straniamento e dissonanza.

Il tema del “doppio” è stato studiato con particolare attenzione da Otto Rank, allievo di Sigmund Freud, nella sua opera Der Doppelgänger del 1914, in cui collega l’improvviso pararsi innanzi a noi di un sosia, un nostro “doppio”, all’emergere di paure rimosse. È un’invasione dell’inconscio nel campo del conscio, un ritorno del rimosso che diviene, secondo una definizione di Freud, «perturbante». Semplificando, per la psicanalisi il “doppio” è la parte “altra” di noi, ciò che siamo ma non conosciamo razionalmente. Si distrugge così l’archetipo umano prevalente ancora nell’immaginario post-illuminista e si apre la strada a un’umanità dall’identità indefinita, a un vero e proprio arcipelago dell’io in continua mutazione. Ma non è ancora persa l’idea di bene e male.

Nell’epoca di rivoluzione digitale che stiamo vivendo il Digital Twin, gemello digitale, è una delle figure nascenti della cosiddetta intelligenza artificiale. Un gemello digitale funziona replicando una risorsa fisica nell’ambiente virtuale, comprese le sue funzionalità, caratteristiche e comportamento. Si utilizzano sensori intelligenti che raccolgono dati dal prodotto. L’espressione «internet delle cose» si riferisce alla rete collettiva di dispositivi connessi che facilita la comunicazione tra dispositivi e sistemi cloud, nonché tra i dispositivi stessi. E i gemelli digitali si affidano ai dati dei sensori per trasmettere informazioni dall’oggetto del mondo reale all’oggetto del mondo digitale. Stiamo familiarizzando con termini come piattaforma software o dashboard dove in sostanza è possibile visualizzare l’aggiornamento dei dati in tempo reale. Fin qui si parla sostanzialmente di oggetti ma l’intelligenza artificiale ( IA ) è un campo delle scienze informatiche dedicato alla risoluzione di problemi cognitivi comunemente associati all’intelligenza umana, come l’apprendimento, la risoluzione di problemi e il riconoscimento di modelli. Dunque, per machine learning ( ML ) si intende la tecnica in grado di sviluppare algoritmi e modelli statistici utilizzati dai sistemi informatici per lo svolgimento di attività senza istruzioni esplicite e basandosi, invece, su modelli e inferenza. È la tecnica usata dai gemelli digitali e questo significa che il digital twin si sta affermando con forza nell’industria ma tende inesorabilmente a estendere il proprio dominio anche alla sfera privata degli utenti. Ed è qui che impallidisce la consapevolezza del bene e del male perché significa non solo orientare ma anticipare scelte e comportamenti. È evidente che si pongono questioni di etica in un mondo in cui soggettività e oggettività stanno perdendo di significato e le fake news dilagano. Non è detto infatti che i sistemi di intelligenza artificiale prevedano valutazioni etiche e nel caso le prevedano non sappiamo quali saranno i valori ispiratori.

In un’epoca di relativismo culturale e di derive autocratiche, non possono essere solo le multinazionali con le loro logiche di profitto a gestire gli algoritmi. In ballo ci sono le forme istituzionali del vivere civile, le dinamiche economiche, le relazioni sociali. È urgente assicurare nuovi percorsi legislativi e nuove pratiche sociali perché l’intelligenza artificiale può portare benefici all’intera società — pensiamo alle applicazioni in campo medico — ma a patto che le sue applicazioni pratiche siano guidate da regole chiare sul piano giuridico ed etico. Altrimenti è come cancellare la categoria mentale del bene e del male.

Più banalmente un’altra crepa concettuale si è insinuata nella percezione comune: quella tra vero e falso. I social network consentono di essere costantemente on-line e di far vivere il nostro alter ego virtuale in modo continuo e parallelo alla nostra vita quotidiana e permettono a chiunque di crearsi un’identità alternativa, virtuale, che, oltre a configurarsi come identità “pubblica”, aiuta a filtrare tutte le informazioni riguardanti il soggetto e di selezionare solo quello che si vuole rappresentare agli occhi degli altri. Il doppio virtuale può diventare in definitiva un doppio “ripulito” da condividere, mentre ciò che è socialmente meno accettabile o inaccettabile rimane circoscritto al campo del reale. In modo analogo ma opposto, la creazione di un doppio virtuale può essere funzionale alla manifestazione di desideri e pulsioni socialmente inconfessabili. Dunque, al profilo ufficiale si sostituisce un’identità fittizia attraverso la quale si rende possibile l’appagamento — spesso solo virtuale — degli istinti meno presentabili. Peraltro, vi sono casi in cui l’individuo si crea identità virtuali multiple, rappresentanti ciascuna uno o più aspetti della propria personalità. Non riuscendo a trovare una coesione tra i propri differenti aspetti, praticamente li rappresenta separatamente, a seconda del target a cui si rivolge, che nel mondo digitale si estende esponenzialmente rispetto alle relazioni possibili nel reale. È come un’esplosione all’ennesima potenza delle dinamiche dell’Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello, come una frantumazione dell’io che si ricompone nell’amplificazione narcisistica.

Si può dire che la trasformazione digitale ha il potere di rendere le persone “avatar” di se stesse, annullando le convenzioni identitarie, sociali, politiche, sessuali. E in un siffatto arcipelago virtuale di identità diventa sempre più difficile individuare il senso della responsabilità. La responsabilità è dentro la persona e verso la persona. La sfida pertanto non consiste nella demonizzazione della tecnologia, ma nella difesa della coscienza interiore e della conoscenza, nel riconoscimento di quel disagio che chiamiamo vergogna e che ci distingue dal gemello digitale.

di FAUSTA SPERANZA

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