Diplomazia e umanità alla sfida del dialogo
20 gennaio 2024
«Riuscire a trasformare i nemici in amici è uno dei compiti della diplomazia», afferma Ferrara, spiegando che «alla base delle relazioni internazionali c’è la fiducia: se manca, non ci sono relazioni internazionali in grado di assicurare la pace». Parlando dei conflitti in corso in Ucraina e nello scenario israelo-palestinese, spiega che «ci troviamo a confrontarci con delle negazioni: Putin nega l’esistenza dell’Ucraina come Paese indipendente, Hamas nega l’esistenza stessa di Israele che a sua volta ha negato per lungo tempo ai palestinesi il diritto di costituirsi come Stato». Il punto è che «con le negazioni non si arriva a nulla: bisogna dare corpo a un’agenda positiva, cioè occorre non cancellare Stati ma inserire più Stati possibili nella carta geografica, per garantire loro un’esistenza pacifica».
«Non esiste una guerra giusta — afferma l’ambasciatore —. Oltre a parlare di crimini di guerra si dovrebbe riconoscere che la guerra in sé stessa è un crimine. Solo riconoscendo il dolore dell’altro si può evitare il rischio della disumanizzazione del nemico: riconoscersi nella comune umanità, come dice Papa Francesco, è un punto fondamentale anche per la diplomazia. C’è sempre un giorno dopo».
Antonello Blasi, docente di diritto Ecclesiastico e concordatario alla Pontificia Università Lateranense, offre spunti di riflessione sull’evoluzione dell’istituto concordatario e delle conventionesdal punto di vista della Santa Sede, sottolineando come «dal Vaticano II viene elaborato un nuovo sistema di dialogo, fino all’attuale politica ecclesiastica che coinvolge anche interlocutori normalmente non legittimati a condividere tavoli di trattative». Nella consapevolezza che «sono importanti le dinamiche del dialogo e della cooperazione proprio dove c’è distanza di posizioni e che l’attività di pace deve essere presa “insieme” e non separatamente». Ribadisce che il principio di buona fede attua il pacta servanda sunt e che «preliminare a qualsiasi tipo di accordo è l’educazione ai valori di ogni singolo attore che solo così diventa strumento di pace» .
Per comprendere l’attualità è sempre prezioso lo sguardo al passato, ai fatti accaduti, alle scelte dei grandi ma anche dei piccoli personaggi che fanno la storia. E il pensiero va alla Shoah. «Di fronte a qualcosa di così ingiusto i cristiani hanno saputo prendere posizione»: così Grazia Loparco, salesiana ordinaria di storia della Chiesa alla Facoltà di Scienze dell’educazione Auxilium, descrive l’impegno delle case e degli istituti religiosi romani nel salvare gli ebrei durante la Seconda guerra mondiale. Cita Primo Levi che ha conosciuto di persona: «La testimonianza è un dovere nei confronti delle giovani generazioni. Le parole hanno un peso». Come cristiani, «non si poteva restare indifferenti», dice Loparco sottolineando che «molti familiari di ebrei soccorsi raccontano di una solidarietà espressa da parte di religiose nel profondo rispetto del credo altrui». Quanti hanno salvato ebrei avevano capito che erano innanzitutto persone: «Non avrebbero rischiato così tanto se non avessero creduto nella dignità della persona umana». Nelle case religiose così come in una famiglia non rischiava solo una persona, ma l’intera comunità. «Oggi, invece, si è perso il senso del noi». Si tratta di tutte storie che hanno trovato conferma attraverso precisi riscontri, assicura Loparco, parlando di documentazione scritta ma anche di interviste ai superstiti. E proprio «l’approccio orale ha dischiuso, in alcuni casi dopo anni, la memoria preziosa di fatti taciuti per varie ragioni, tra cui il dolore e il pudore».
È lo storico Matteo Luigi Napolitano, dell’Università degli Studi del Molise e consulente del Pontificio Istituto di Scienze Storiche, a mettere in luce il contributo importante, per la ricostruzione del periodo della Seconda guerra mondiale, assicurato dall’apertura, il 2 marzo del 2020, degli Archivi vaticani. Spiega, ad esempio, che proprio l’accesso in particolare all’Archivio Storico della Segreteria di Stato ha permesso di “scoprire” che il Vaticano in occasione del processo di Norimberga aveva ragguagliato i giudici inviando materiale “segreto”, documenti e dispacci, sullo stato dei rapporti tra Santa Sede e Germania. Sottolinea che attualmente il sistema di digitalizzazione di questo archivio consente agli studiosi di entrare contemporaneamente sulla stessa pagina o documento, senza attese per la consultazione, parlando di «una garantita capacità di accesso rara». L’obiettivo resta quello di fare memoria storica degli orrori ma anche dell’umana fratellanza che ad essi sopravvive.
di FAUSTA SPERANZA
https://www.osservatoreromano.va/it/news/2024-01/quo-016/un-nemico-in-agenda.html