24 Aprile 2025
National Geographic
di Fausta Speranza
Le ultime volontà di Papa Francesco: semplicità, fede e umanità
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In attesa della Messa esequiale di Papa Francesco – che si terrà sabato 26 aprile alle ore 10.00 sul sagrato della Basilica di San Pietro – migliaia di fedeli sono accorsi per rendergli omaggio. Ripercorriamo le ultime volontà del Papa della Gente che evocano il suo credo di umiltà.
“Solamente per quanto riguarda il luogo della mia sepoltura”: con queste parole Papa Francesco ha chiarito al mondo di non avere altre disposizioni testamentarie se non in relazione alle sue spoglie mortali. A colpire tutti è stata la scelta di essenzialità: “Il sepolcro deve essere nella terra; semplice, senza particolare decoro e con l’unica iscrizione Franciscus”.
È la semplicità alla quale il Papa morto il 21 aprile 2025 ci aveva abituato da subito: il 13 marzo 2013 era apparso dalla Loggia di San Pietro augurando “buonasera” e chiedendo “pregate per me”. Lo ha chiesto fino all’ultimo respiro ed è certo che alle esequie, il 26 aprile, nella celebrazione presieduta dal cardinale decano Giovanni Battista Re, saranno in tanti a farlo, in presenza o da lontano. Ma è una semplicità da comprendere appieno, ricordando che il Papa che ha scelto il nome del Santo di Assisi era un colto gesuita. La semplicità non è soltanto spontaneità.
Il testamento
Non manca lo spirito di concretezza di Papa Francesco nel testamento redatto, e in parte reso noto, tre anni prima della morte: “Chiedo che la mia tomba sia preparata nel loculo della navata laterale tra la Cappella Paolina (la Cappella della Salus Populi Romani) e la Cappella Sforza della suddetta Basilica Papale…”. E ci sono anche le risorse previste: “Le spese per la preparazione della mia sepoltura saranno coperte con la somma del benefattore che ho disposto”. L’auspicio: “Il Signore dia la meritata ricompensa a coloro che mi hanno voluto bene continueranno a pregare per me”. E c’è poi la sofferenza “offerta per la pace nel mondo e la fratellanza tra i popoli”.
Perché la sepoltura in Santa Maria Maggiore
C’è una preferenza precisa: “Chiedo che le mie spoglie mortali riposino aspettando il giorno della risurrezione nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore”, dove si recava in preghiera all’inizio e al termine di ogni viaggio apostolico. Si tratta di una Basilica Papale ma non è quella dove ci eravamo abituati a pensare i sepolcri dei papi. Si può essere semplici e controcorrente. Ma non nel senso in cui a volte ci è sembrato di sentire raccontare Francesco: quasi una sorta di “Giamburrasca” del Vaticano. Dietro alle scelte, piuttosto, c’è un bagaglio di comprensione da non sottovalutare.
Oltre la dichiarata personale devozione per la Madre di Dio e Madre della Chiesa, c’è quella lettera che Papa Francesco ha scritto cinque anni fa al presidente della Pontificia Accademia Mariana Internazionale (PAMI), padre Stefano Cecchin, firmata il 15 agosto 2020. Francesco ha chiesto di liberare Maria dall’immagine di una donna sottomessa che tanto è utile alle logiche familistiche e impenetrabili delle mafie, e di tutti gli apparati di potere.
Si comprende l’importanza e l’urgenza di riscoprire l’umiltà di Maria che non è sottomissione o sudditanza. È la scelta libera di una donna forte di aderire totalmente al Mistero della Salvezza. Peraltro, già l’esortazione apostolica Marialis Cultus di Paolo VI nel 1974 chiariva che “Maria non è donna passivamente remissiva o di una religiosità alienante, ma donna che non dubitò di proclamare che Dio è vindice degli umili e degli oppressi e rovescia dai loro troni i potenti del mondo”. Francesco ha inoltre nominato suor Raffaella Petrini Presidente del Governatorato e suor Simona Brambilla primo Prefetto donna. Sono gesti concreti che suonano come promesse di un cambio di passo al quale solo il futuro potrà dare compimento. Nel linguaggio e nei fatti.
Il papato di Francesco e il consesso internazionale
A livello di equilibri internazionali sembrano di nuovo sdoganate le logiche di potenza, con l’emergere di poteri forti vecchi e nuovi, strutture, condizionamenti che non rispondono a criteri evangelici e neanche a principi del diritto internazionale. A questo proposito, Papa Francesco si è inserito nella tradizione curiale che risale a Paolo VI, chiedendo il rispetto del diritto internazionale e il coinvolgimento dell’ONU, un organismo che però risulta bloccato nel fuoco incrociato di veti.
Da Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin ha parlato di una organizzazione caduta nella “apatia” e nella “irresponsabilità” e per giunta “passiva dinanzi alle ostilità subite da popolazioni indifese”. Da qui alcune mediazioni. Pensiamo ai buoni uffici posti dalla Santa Sede nel processo di normalizzazione delle relazioni bilaterali cubano-statunitensi, rotte dopo la rivoluzione castrista, giunto ad un accordo nel 2014. Inoltre, Francesco ha coinvolto altri personaggi, nei casi conosciuti alcuni cardinali, come Ortega per Cuba e Zuppi per l’Ucraina, per attivare una diplomazia più “personalizzata”. Peraltro si sa di altri contesti come nel Sud Sudan e in Repubblica Democratica del Congo. In ogni caso, sono canali ricondotti sotto il lavoro della Segreteria di Stato, confermando “creatività” e tradizione. Un binomio in cui restano centrali i valori.
Tra guerre vecchio stampo e ripensamenti dell’ordine mondiale, tra antiche diseguaglianze e moderne forme di rapacità economica, è urgente infatti ricordare – e Papa Francesco come altri Papi ha cercato di chiarirlo – che le istituzioni occidentali vanno ricongiunte alle loro radici di civiltà più profonde: quelle che dal nomos greco, dallo ius romano, dalla Legge ebraica conducono all’affermazione netta della centralità assoluta della persona umana, e della sua superiorità rispetto a ogni potenza terrena, asserita dall’umanesimo cristiano. Anche l’obiettivo è urgente: frenare la consunzione delle barriere contro l’abuso del potere, alla quale stiamo assistendo. E sulla centralità della persona c’è tutta la fermezza della Chiesa.
ROMA, ITALIA – 8 DICEMBRE: Papa Francesco celebra la Festa dell’Immacolata Concezione donando tre Rose d’Oro all’antica icona romana “Maria Salus Populi Romani” nella Basilica di Santa Maria Maggiore, l’8 dicembre 2023 a Roma, Italia. FOTOGRAFIA DI Vatican Media
Le esequie
Tornando al commiato, ci sono poi le nuove regole volute da Francesco per le esequie. In questo caso, non ha disposto per sé ma in generale per i Pontefici. Tra le novità c’è stata la constatazione della morte non più nella camera del defunto ma nella cappella dell’abitazione Domus Sanctae Marthae; la deposizione immediata dentro la bara; l’eliminazione delle tradizionali tre bare di cipresso, piombo e rovere a favore di una di legno e zinco. La bara di Papa Francesco, esposta nei giorni 23, 24 e 25 aprile nella Basilica vaticana, è stata deposta davanti all’Altare della Confessione su una piccola pedana leggermente inclinata, posta su un tappeto a terra, e non sul catafalco come è sempre avvenuto nel passato.
La salma è rivestita delle vesti liturgiche rosse, con mitra e pallio, e il rosario tra le mani. Manca il pastorale papale. Francesco si è presentato da vescovo di Roma. D’altra parte, ha diffuso di sé l’immagine del “parroco del mondo”, vicino alla gente, lontano dalle aristocrazie. Un’immagine alla quale hanno dimostrato di essere affezionati i fedeli che nel primo giorno di esposizione a san Pietro sono arrivati in 20.000. Un modo di fare che ha conquistato molti ma che ha rischiato di essere assimilato al vento di populismo che ha contagiato la nostra epoca.
Ma il punto importante non è soltanto come abbia presentato al mondo il vicario di Cristo ma anche cosa abbia disposto per vescovi e cardinali: nel 2021 con Motu proprio ha stabilito che i cardinali e i vescovi, quando sono accusati di reati penali comuni (non religiosi), siano processati nel Tribunale vaticano, come tutti gli altri cittadini, secondo i tre gradi di giudizio. Ha eliminato il privilegio di un pronunciamento da parte di una commissione per gli alti prelati. È una decisione destinata a rimanere, salvo un intervento diretto ed esplicito del prossimo Papa, più di un’immagine.
I Novendiali
Nessuna variazione per l’antica consuetudine dei Novendiali: per nove giorni consecutivi si svolgono particolari celebrazioni dell’Eucaristia, a partire dalla Messa esequiale il 26 aprile alle ore 10.00 sul sagrato della Basilica di San Pietro. I Novendiali sono celebrazioni aperte che in realtà prevedono, ogni giorno, la partecipazione di un “gruppo” diverso, in base all’Ordo Exsequiarum Romani Pontificis. Interessante notare chi celebri in questo caso. Domenica 27 aprile, ore 10.30, presiede il cardinale Pietro Parolin per i dipendenti del Vaticano. Si tratta del “già” Segretario di Stato perché tutte le cariche risultano automaticamente decadute alla morte di un Papa.
Il richiamo è all’art. 6 della Costituzione apostolica Pastor Bonus di Giovanni Paolo II abrogata dalla Praedicate Evangelium di Francesco ma non per tale articolo. Tutti i Capi dei Dicasteri della Curia Romana, sia il Segretario di Stato sia i Prefetti sia i Presidenti Arcivescovi, come anche i Membri dei medesimi Dicasteri cessano dall’esercizio del loro ufficio. Fanno eccezione il Camerlengo di Santa Romana Chiesa e il Penitenziere Maggiore, che continuano a svolgere gli affari ordinari, facendo riferimento al Collegio dei cardinali. Allo stesso modo, in base alla Costituzione apostolica Vicariae potestatis, il Cardinale Vicario per la diocesi di Roma non cessa dal suo ufficio e non cessa, per la sua giurisdizione, l’Arciprete della Basilica e Vicario Generale per la Città del Vaticano.
La Sede vacante verso il conclave
Ci si augura che la Salus Populi Romani, l’icona così tanto venerata da Papa Francesco, vegli sulle sue spoglie mortali, sui suoi propositi migliori e sulla Chiesa che si presenta all’appuntamento del prossimo Conclave. I cardinali hanno giurato di osservare fedelmente le norme della Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis circa la vacanza della Sede Apostolica e l’elezione del Romano Pontefice promulgata da Giovanni Paolo II nel 1996. Una costituzione che, come mille altre, introduceva cambiamenti. A conferma di un cammino della Chiesa che ci ricorda la definizione della Chiesa secondo il Concilio Vaticano II: “Un popolo di Dio in cammino”. Un’espressione, usata da Francesco in quel primo affaccio dalla Loggia, che presuppone passi concreti senza immobilismi ma che va letta nel suo insieme: soffermarsi troppo sulle specificità di un tratto finirebbe per far passare per nuovo anche ciò che non lo è.
Papa Bergoglio non è stato un “intruso” nella storia della Chiesa, come sembrerebbe da analisi protese a sottolinearne la novità, ma un figlio di questa storia, fatta dalle gerarchie e dal popolo di Dio. Nessuno si avverta esente da responsabilità. Una storia che prosegue e che ci interroga sul futuro di una Chiesa, al di là degli entusiasmi, missionaria anche in Paesi un tempo cattolici.