I piccoli schiavi che sostengono l’economia del Ghana

7000 baby pescatori in catene per assicurare pesce da esportare.

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Appena si lascia la capitale Accra nel più prosperoso sud e, faticosamente sulle impervie strade, ci si dirige verso il centro-est e si riesce a superare la coltre di omertà, ci si imbatte nel fenomeno dei baby pescatori, sfruttati sulle rive del fiume Volta e del Lago Volta. Spesso sono legati alle imbarcazioni perché non si distraggano.

A Kumasi abbiamo incontrato Bernard Fianku, direttore della casa Abram Kessy, a un’ora e mezzo dalla città in una zona di foresta tropicale. Il centro è sorto su iniziativa delle Onlus americana Touch a life e della italiana Una chance, fondata da Patrizia Contri. Da un anno il timone del centro è passato al ghanese Bernard Fianku, segno di un passaggio di responsabilità significativo.

Fianku, che ha un curriculum di alto livello in tema di questioni sociali e pedagogiche, ci racconta dei 46 ragazzini tra gli 8 e i 13 anni che sono faticosamente riusciti a strappare al sistema di schiavitù, che cattura circa 7000 minori in Ghana. Sono ospiti del Centro a Kumasi. Visi segnati dalla sofferenza ma anche illuminati da un amore che fino a poco tempo fa non sapevano esistesse. Fianku ci dice della difficoltà di combattere contro i gruppi organizzati malavitosi ma anche della grande difficoltà di sradicare una mentalità diffusa. In alcuni casi, ci racconta, bambini riscattati dagli schiavisti e restituiti alle famiglie sono stati di nuovo venduti dalle famiglie stesse a nuovi schiavisti.

da Famiglia Cristiana del 16 ottobre 2014

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