Nell’appello di Papa Francesco a vivere la Giornata per la pace in Siria e in Medio Oriente c’è l’invito alla preghiera e al digiuno. Del significato del digiuno per il cristiano, Fausta Speranza ha parlato con mons. Romano Penna, biblista della Lateranense:
R. – Il digiuno, come prassi religiosa, nasce nel giudaismo non nel cristianesimo. Nel giudaismo il giorno del Kippur è il giorno dell’espiazione e del digiuno. Abbiamo degli autori antichi che invece di chiamarlo giorno dell’espiazione lo chiamavano proprio giorno del digiuno. Questo, resta tutt’ora valido per i nostri fratelli ebrei. Siccome il cristianesimo è nato in ambito giudaico, ne ha preso alcuni elementi, a partire da Gesù stesso che nel racconto dei Vangeli sinottici si è ritirato nel deserto per digiunare. Anche se questo, bisogna dire, è stato un momento iniziale della sua vita e non la sua vita come lo era invece per Giovanni Battista.
D. – Questo è molto interessante: guardare al digiuno come momento inserito in una vita…
R. – Va inserito in una vita che non è una vita di digiuno, è una vita normale. Il digiuno è un momento di una particolare esperienza religiosa e anche di particolare affermazione di una certa identità di fronte agli altri. Nel caso dell’iniziativa di Papa Francesco, c’è proprio questa dimensione, di un momento “ufficiale” che esprime una presa di posizione in una determinata situazione storica a favore di un determinato tema.
D. – In questo caso, c’è anche il valore di fare questo digiuno insieme, in tanti…
R. – Quando viene condiviso, allora diventa un’esperienza comunitaria – non dico ecclesiale perché in questo caso hanno aderito anche persone fuori dalla Chiesa – però un’esperienza comunitaria di insieme che, tra l’altro, esprime una certa concordanza e questo è un fatto molto positivo. Una concordanza di vedute, di intenti, sperando che questi vengano raggiunti.
D. – Digiuno unito alla preghiera. Il Papa ha chiesto tutti e due…
R. – Questo è molto importante. Un digiuno da solo cosa sarebbe? Sarebbe un momento dietetico… Mentre la preghiera da sola, ha comunque senso. Quando invece il digiuno è unito alla preghiera è come se lo stesso digiuno diventasse preghiera. Quindi è un momento non solo di comunione a livello orizzontale tra coloro che lo praticano, ma di comunione con il Signore in forma di preghiera, di orazione, di tensione verso di lui. É questo poi che conta: non è l’affermazione di sé e delle proprie capacità di digiunatori, ma è la dimostrazione al Signore della capacità di fare qualche rinuncia e di farla tutti insieme alla sua luce, alla luce di Dio. Naturalmente, i cristiani hanno del Signore un certo concetto. Se si uniscono anche i musulmani, ne hanno un altro. Quindi, la comunione resta proprio sul piano pratico, effettivo, prassistico. Quindi, si è stabilita comunque questa comunione, questa comunitarietà di cui si parlava prima e che è un valore positivo.
testo proveniente da radiogiornale RV del 7 agosro 2013