No al decimo anno di carneficina in Siria

Drammatico appello dell’Onu perché “non proseguano le stesse atrocità e la stessa violazione dei diritti umani” cui abbiamo assistito finora nell’ambito del conflitto in Siria. Il segretario generale Guterres parla di reiterata “crudeltà” e invoca il ritorno a un processo di pace. Per l’Oms indegno il numero di attacchi alle strutture sanitarie. Con noi l’esperto di geopolitica Germano Dottori

 Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Abbiamo visto atrocità orribili, compresi crimini di guerra”, afferma il segretario generale delle Nazioni Unite chiedendo a gran voce che “non ci sia impunità”. All’inizio del decimo anno di guerra, il 15 marzo prossimo, Guterres  sottolinea che “i passi per porre fine alla sofferenza del popolo siriano sono ben noti ma devono essere realizzati”. In primo luogo, il protocollo aggiuntivo del 5 marzo al memorandum sulla stabilizzazione della situazione nell’area di Idlib, concordato tra Russia e Turchia, deve portare a una cessazione duratura delle ostilità che spiani la strada a un cessate il fuoco permanente a livello nazionale. Guterres ribadisce: “Le parti devono tornare al processo politico facilitato dall’Onu, che rimane l’unica strada percorribile per porre fine al conflitto e offrire una pace duratura al popolo”.

Per un’analisi delle ragioni del conflitto, delle implicazioni per l’area regionale, del ruolo delle potenze straniere coinvolte e del peso della crisi umanitaria, abbiamo intervistato Germano Dottori, docente di Studi strategici all’Università Luiss:

Un conflitto su tanti fronti

Nel marzo del 2011 sono iniziate le prime dimostrazioni pubbliche contro il governo di Damasco che si sono poi trasformate in rivolte su scala nazionale e quindi in guerra civile.  Le forze del sedicente Stato islamico (Is) sono state arginate tra il 2017 e il 2018 ma le armi non si sono fermate. La crisi siriana rimane una delle più grandi crisi mondiali, con sei milioni di sfollati interni e oltre cinque milioni di siriani registrati come rifugiati nei Paesi vicini, Turchia, Libano, Giordania, Iraq ed Egitto. Circa un milione sono arrivati in Germania e alcune migliaia in altri Paesi europei.

La sofferenza indicibile della popolazione

Il segretario dell’Onu l’ha definita “una crisi umanitaria di proporzioni monumentali”.  Basti dire che il servizio sanitario è stato distrutto: oltre metà delle strutture sono completamente fuori uso. In alcune zone del Paese le strutture sanitarie in genere, sono tuttora i luoghi meno sicuri perché costantemente presi di mira da attacchi aerei e bombardamenti. Lo sottolinea l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che rileva come “i dati sugli attacchi ai servizi sanitari in Siria sono una triste testimonianza di una palese mancanza di rispetto per il diritto umanitario internazionale e per la vita dei civili e degli operatori sanitari”.  Richard Brennan, direttore regionale delle emergenze per l’Ufficio dell’Oms nel Mediterraneo orientale parla di 500 attacchi a strutture sanitarie in quattro anni.

Tra il 2016 e il 2019, due terzi degli attacchi, 337, sono stati registrati nella Siria nord-occidentale, tra le ultime aree del Paese che non sono sotto il controllo del governo. Sono state le città di Idlib, Aleppo e Hama a subire le maggiori distruzioni, osserva l’Oms. La Siria nordoccidentale conta anche il più alto numero di decessi in questi quattro anni, con oltre 300 morti su un totale di 470 vittime. Inoltre, 1000 persone sono rimaste ferite e rese disabili dagli attacchi in tutta la Siria tra il 2016 e il 2019. L’Oms ritiene che, ”tra tutti i conflitti armati del mondo, la Siria rappresenti da anni uno dei peggiori esempi di violenza che colpisce l’assistenza sanitaria”. Ciò che preoccupa, inoltre, secondo l’Oms è che si è arrivati al punto in cui gli attacchi alla salute, che la comunità internazionale non dovrebbe tollerare, ”sono ora considerati la normalità”.

Inoltre, Le Nazioni Unite hanno calcolato che oltre l’83 per cento della popolazione vive ormai stabilmente in condizioni di grave povertà, con un tasso di disoccupazione schizzato al 57 per cento e circa 12 milioni di persone rimaste senza alcuna fonte di guadagno.

Il drammatico capitolo della provincia di Idlib

L’ultima offensiva è stata lanciata dal presidente siriano Assad e dal suo alleato russo Putin nella regione di Idlib, nel nordovest del Paese, scatenando la reazione da parte della Turchia. La tensione è massima proprio perché nelle ultime settimane sono saltate sul campo alcune delle alleanze contro i ribelli: le forze turche hanno attaccato le stesse forze siriane parlando di sconfinamenti alla frontiera fissata per la zona di de-escalation.

Dallo scorso dicembre ad oggi si calcola che siano circa 1 milione e 300.000 gli sfollati che sono scappati per provare ad entrare in Turchia. A proposito della situazione delle strutture sanitarie, nel governatorato di Idlib due ospedali sono stati attaccati solo due settimane fa, e la violenza ha causato il ferimento di quattro operatori sanitari e la sospensione dei servizi. Con così tanta violenza nella Siria nord-occidentale, solo la metà delle 550 strutture sanitarie rimane aperta sia a causa dell’insicurezza, sia dei danni causati da precedenti attacchi, sia delle minacce di futuri attacchi.

da Vatican NEWS del 14 marzo 2020

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