Bioinsicurezza, nuove sfide per l’umanità

Con la moltiplicazione nel mondo di laboratori che manipolano virus e agenti patogeni potenzialmente letali per l’uomo, cresce la necessità di un maggiore controllo di questi centri insieme con l’esigenza del rafforzamento della cooperazione internazionale in questo delicato settore. Intervista con Massimo Amorosi, esperto di minacce biologiche

Fausta Speranza – Città del Vaticano

La proliferazione di laboratori che si occupano di agenti biologici pericolosi è solo uno dei fattori che fanno pensare che si debba parlare di bioinsicurezza. Al di là della natura e dell’origine dell’infezione da coronavirus scoppiata tra fine 2019 e inizio 2020, è doveroso cercare di capire qualcosa delle nuove prospettive e dei possibili scenari nell’universo biologico. Si parla di Bio-Safety Levels (BSL), cioè  livelli di Bio-sicurezza che vengono utilizzati per identificare e standardizzare tutte le misure di protezione necessarie in un laboratorio. Normalmente si usa la sigla BSL con un numero che identifica proprio il livello più o meno alto di necessaria protezione da assicurare a un determinato laboratorio.

Per capire di quali altri aspetti sia necessario innanzitutto tenere conto, abbiamo intervistato Massimo Amorosi, esperto di minacce biologiche che lavora presso l’azienda Rait88 e collabora con il Centro innovazione difesa dello Stato Maggiore della Difesa:

Amorosi ricorda che globalmente sono operativi o in fase di realizzazione più di cinquanta laboratori BSL-4 fra Asia, Africa, Europa, Russia e Stati Uniti, citando un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 2017. Sottolinea che oltre al proliferare di laboratori di tipo BSL-3 e BSL-4 si devono prendere in considerazione il fenomeno della convergenza tecnologica e i rischi che promanano da talune partnership internazionali, nonché la crisi dei tradizionali regimi internazionali di controllo degli armamenti, in primis della Convenzione sulle Armi Biologiche. Tutti questi fattori considerati insieme – spiega – confermano un’urgente necessità di consolidare gli strumenti di biosicurezza, ridurre i rischi biologici posti dai progressi tecnologici, creare nuovi approcci per migliorare la sorveglianza delle malattie infettive, nonché identificare e colmare i gap per rafforzare le capacità di sicurezza sanitaria globale. Secondo Amorosi, il punto è che nonostante le menzionate sfide, la biosicurezza rimane una priorità di sicurezza ancora troppo sottostimata e sottofinanziata in gran parte dei Paesi avanzati. L’esperto mette in luce un punto centrale: la recente pandemia ha dimostrato che non vi è alcuna differenza nell’attivazione dei meccanismi di preparazione e risposta ad una minaccia biologica emergente, a prescindere dalla sua origine naturale, accidentale, o deliberata.

L’evoluzione dei rischi biologici emergenti

Massimo Amorosi parla di “scala globale” e di fattori antropici come la digitalizzazione e quella che definisce la “democratizzazione delle scienze biologiche”. Spiega che una significativa area di convergenza è quella delle tecnologie genomiche con l’intelligenza artificiale (AI), l’automazione, la robotica, e il cloud computing, cioè quel sistema di archiviazione di dati esterno ai supporti personali che identifichiamo come “nuvola”. Amorosi parla di machine learning e di deep learning, che stanno ad indicare  rispettivamente un apprendimento automatico  per raggiungere l’intelligenza artificiale  un apprendimento approfondito inteso come uno dei molteplici approcci relativi all’apprendimento automatico.

E dunque afferma che gli sviluppi nelle tecnologie genomiche e in altre tecnologie emergenti, in particolare proprio in tema di machine learning e di deep learning, sollevano qualche timore nella misura in cui l’accesso ad un’ingente disponibilità di genomi umani, spesso con dati clinici direttamente associati, può implicare la possibilità che dei bioinformatici possano iniziare a mappare la suscettibilità alle infezioni in popolazioni specifiche, come ha sottolineato un rapporto dell’Istituto dell’ONU per la ricerca sul disarmo. Più in generale – sintetizza Amorosi– si può parlare di  convergenza tecnologica ma bisogna soffermarsi su una prospettiva concreta: il trasferimento, in virtù di alcune partnership internazionali, di tecnologie e know-how verso Paesi che non dispongono di adeguati protocolli di biosicurezza espone a seri rischi, così la crisi dei tradizionali regimi internazionali di controllo degli armamenti, in primo luogo della Convenzione sulle Armi Biologiche, rappresenta un altro motivo di preoccupazione.

L’importanza della supervisione

La supervisione governativa – ribadisce Amorosi – appare fondamentale per la sicurezza del tipo di laboratori citati, anche se il fulcro resta costituito dal personale che vi opera, dilatando in tal modo il rischio del cosiddetto “insider threat”, termine sempre inglese utilizzato per identificare una minaccia interna.  In ogni caso, Amorosi ricorda che in un numero crescente di questo tipo di strutture si effettuano manipolazioni ad alto rischio di microrganismi, anche a fronte di batteri o virus nuovi, ossia con differenze genetiche rispetto ai microrganismi originari, oppure emergenti, cioè contro i quali non sono disponibili appositi farmaci e vaccini. E questo accade – avverte – nel contesto attuale di una più accentuata competizione internazionale tra le grandi potenze, in un momento di crisi e  tensioni legate ai cambiamenti climatici e agli interventi distorsivi da parte dell’uomo sull’ambiente.

L’ipotesi da evitare – spiega Amorosi – è che sostenitori di istanze radicali facciano ricorso ad agenti biologici. L’esperto ricorda che il 75 per cento delle malattie emergenti sono di origine animale, mentre l’80 per cento degli agenti patogeni classificabili per un potenziale uso bioterroristico sono zoonosi, ossia malattie trasmissibili dall’animale all’uomo. E poi spiega che i sistemi contemporanei di sorveglianza di patogeni pericolosi per la salute pubblica rimangono però separati per esseri umani e animali. È evidente dunque la necessità – sottolinea – di approfondire la comprensione dell’interfaccia o trasmissione di agenti patogeni tra l’ambiente, la fauna selvatica, gli animali e l’uomo come parte di un complesso sistema socio-ecologico. In una parola – dice – è necessario fare prevenzione a diversi livelli.

L’appello della Nato

Il Segretario Generale della NATO Stoltenberg – ricorda Amorosi –   ha sottolineato che “il compito principale dell’Alleanza è fornire deterrenza e difesa e assicurarsi che questa crisi sanitaria non si trasformi in una crisi di sicurezza”. Ciò è tanto più vero – mette in luce Amorosi – in quanto la partita tecnologica internazionale si sostanzierà in una sfida geopolitica senza precedenti: la crescente convergenza tra tecnologie emergenti innescherà dinamiche di iper-competizione con l’affacciarsi di nuovi rischi in termini di sicurezza, anche militare, con effetti in qualche modo simili a quelli riscontrati con l’avvio dell’era nucleare.

Non solo infezioni

Lo studio dell’Onu – riporta Amorosi – chiarisce non solo che tali informazioni possono essere usate per lo sviluppo di armi “mirate”, ma anche che il machine learning applicato all’ingegneria proteica può avere profonde implicazioni nell’identificare possibili bioregolatori e tossine impiegabili per finalità ostili. Amorosi spiega che, con l’espansione del processo di digitalizzazione della biologia, la biotecnologia sta uscendo da tradizionali settori: l’ingegnerizzazione deliberata della biologia sta aprendo opportunità senza precedenti per l’uso di biomateriali e biocombustibili, sia per l’agricoltura che per la filiera agro-alimentare, oltre che ad esempio per l’ambito energetico.  Oltre ad un potenziale impatto che mette in pericolo la salute pubblica, l’ambiente, l’economia e la sicurezza nazionale, – chiarisce Amorosi – la gamma di rischi e minacce che ne deriva può includere il furto di informazioni per scopi militari e di proprietà intellettuale nel contesto di scenari di guerra economica.

Amorosi fa un esempio parlando di malware, termine che  deriva dall’abbreviazione dell’inglese malicious software, che significa letteralmente “software malevolo”, quello che definiamo comunemente un virus informatico. Spiega che malware  di intelligenza artificiale potrebbero essere utilizzati per automatizzare una manipolazione di dati con l’intento di falsificare o sottrarre informazioni all’interno di vaste raccolte di dati genomici. Si deve seriamente parlare – avverte Amorosi – di cyber-biosicurezza collegandola a vulnerabilità informatiche associate ai sistemi di dati in rete, alle apparecchiature di laboratorio e alla sicurezza delle strutture, grazie ad una accorta pianificazione strategica.

La necessaria collaborazione tra privato e pubblico

Considerando le ingenti risorse indirizzate ai settori cyber, biologico e all’ambito emergente che promana dalla loro convergenza, ma anche le non sufficienti capacità delle imprese di proteggersi dall’ampia gamma di rischi alla sicurezza, Amorosi sottolinea che i governi nazionali dovrebbero collaborare con i rispettivi settori privati per definire standard volontari per la cyber-biosicurezza.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-05/salute-pandemia-difesa-minacce-biologiche-armi-potenze-nato.html

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