Insieme ai volontari preti e parroci per prestare soccorso di Fausta Speranza Ragazzi, tanti ragazzi che continuano a scavare. Sono arrivati dai paesi vicini ad Amatrice subito dopo la terribile scossa, in piena notte. Tanti li ha chiamati a raccolta don Fabio Cammarata, parroco di Cittareale, a pochi chilometri da Amatrice. Ci racconta subito del dramma e di questa immagine di speranza: giovani saltati giù dal loro letto, in altre aree appena interessate dal sisma, per arrivare a dare una mano. È solo uno dei sacerdoti che troviamo impegnato in prima linea a scavare. All’Osservatore Romano don Fabio parla rubando minuti al suo impegno a rimuovere pietre e calcinacci e ad ascoltare persone che gli vanno incontro. È gentile e disponibile a raccontare, ma con l’essenzialità di chi ha a che fare con persone tra la vita e la morte. È stato sacerdote ad Amatrice e si sente, mentre parla al telefono, che qualcuno lo riconosce. Chiedono notizie di parenti, di amici e chiedono che cosa si può fare. Don Fabio cerca di indirizzare tutti nei centri di raccolta disposti dalle autorità. È l’unica cosa da fare, ci conferma, oltre a offrire le proprie braccia per strappare vite umane alle macerie. Don Fabio descrive quello che torna in tutte le cronache: «Intere zone della cittadina completamente crollate». Anche proprio là dove si doveva svolgere la sagra della pasta cucinata secondo la tradizione locale, sabato prossimo. Per questo, la città era al suo pieno stagionale, tra parenti che risiedono altrove ma tornano d’estate come affezionati villeggianti, e veri e propri turisti appassionati di arte culinaria. Il sacerdote ci dice che in faccia ai suoi giovani si legge la voglia di piangere di fronte allo scempio, ma prevale in tutti, ragazzi e ragazze, la forza di lottare contro il tempo. Le prime ore sono determinanti per salvare più vite umane possibile. Don Fabio dice che «non c’è bisogno di ricordarlo a nessuno». È il pensiero non espresso di tutti. Sono passate già molte ore dall’arrivo in piena notte e la polvere taglia la voce. Si sente nelle parole di don Savino D’Amelio, parroco di Sant’Agostino, ad Amatrice. Anche lui corre tra un punto e l’altro della cittadina. Con affanno riferisce della preoccupazione di tutti: «Ognuna delle persone che si muove tra gli spazi ingombri delle vie, ha almeno una persona cara da piangere, perché ritrovata morta, o da piangere perché ferita o perché ancora sepolta da pietre e architravi». E don Savino riferisce che «tre delle sei suore dell’ordine delle Sorelle Ancelle, che si trovavano nella struttura dell’Opera Don Minozzi ben conosciuta in paese, sono irraggiungibili sotto le macerie». Si tratta di suore anziane ospiti per questo periodo estivo. Ma tutti esprimono grande preoccupazione per quanto può essere successo ad Accumoli, il paese che risulta isolato ma che dall’alto si presenta devastato. Dopo ore di apprensione, dalla diocesi di Rieti si è riusciti a contattare don Cristoforo, parroco dei Santi Pietro e Paolo. Sta bene anche se provato dal disastro generale e impossibilitato a muoversi tra i vicoli intasati di detriti. Anche lui non riesce ad avere una visione d’insieme di quello che davvero è accaduto nella località dove neanche gli elicotteri riescono ad atterrare. Le diocesi coinvolte sono due: quella di Rieti, nel Lazio, colpita al cuore ad Amatrice e ad Accumoli; e la diocesi di Ascoli Piceno, nelle Marche, terribilmente ferita nel paese di Arquata e in particolare nella frazione di Pescara del Tronto, quasi rasa al suolo. La testimonianza di don Francesco Armandi, parroco di Santa Croce a Pescara del Tronto, che si è svegliato coperto di polvere e pezzi di intonaco, si riassume nell’espressione «desolante». Gli fa eco don Alessio Cavezzi, direttore della Caritas locale, il quale assicura che quanti sono rimasti vivi stanno preparando il terreno ai soccorsi. Non è facile. Tra l’altro, tutte le utenze sono state interrotte. Anche dalla diocesi di Ascoli Piceno sono partiti gruppi di aiuto. Uno si distingue. Si tratta di venti richiedenti asilo, quasi tutti nordafricani, che sono ospiti di una struttura nel paese di Monteprandone. Appena si sono resi conto che nella vicina cittadina di Amandola c’era bisogno di soccorsi, hanno chiesto e ottenuto di recarsi a prestare aiuto. Sono seguiti dalla protezione civile comunale. Amandola è un altro dei centri che non si citano perché i danni non sono paragonabili alle quattro comunità colpite al cuore, ma che presenta, come altri, ferite, tra gli edifici e tra la popolazione. In generale, il direttore delle comunicazioni sociali della diocesi di Rieti, David Fabrizi, che raggiungiamo al telefono mentre cerca disperatamente di arrivare ad Accumoli, afferma che «ancora non è stata scattata la vera fotografia di quanto accaduto». Ancora «non ci può essere piena consapevolezza. Ci potrà essere solo nelle prossime ore». Fabrizi riferisce dell’apprensione di monsignor Domenico Pompili, vescovo di Rieti che, appena arrivato a Lourdes martedì, dopo pochissime ore, ha ripreso il primo volo a disposizione per essere già nel primo pomeriggio tra la gente della sua diocesi. Trovandosi in vescovado, arrivare nei centri più colpiti di Pescara del Tronto e di Arquata è quello che ha fatto monsignor Giovanni D’Ercole, vescovo di Ascoli Piceno. Intanto, i vescovi italiani hanno stanziato un milione di euro dei fondi dell’otto per mille. È la prima immediata risposta della Conferenza episcopale. Inoltre la Cei ha promosso una colletta nazionale per il 18 settembre. La raccolta avverrà in concomitanza del ventiseiesimo Congresso eucaristico nazionale. Coinvolgendo parrocchie, istituti religiosi e aggregazioni laicali, si vuole assicurare un contributo nell’immediato, e poi si vuole raccogliere offerte da inviare alla Caritas italiana. Osservatore Romano 24 Agosto |