L’intenso dibattito politico intorno ai risultati delle elezioni amministrative cade in un anniversario d’eccezione per la Repubblica italiana: 50 anni dalla liberazione dall ‘occupazione tedesca. E’ passato, infatti, mezzo secolo dal 25 aprile del 1945, data-simbolo della vittoria della Resistenza e della conclusione, per l’Italia, della II guerra mondiale. Il servizio di Fausta Speranza:
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Il 25 aprile del 1945, Milano e Genova insorgono, cacciando i tedeschi; con la liberazione, il 28, di Torino da parte delle forze alleate, la vittoria sugli occupanti è sancita, dopo 20 mesi di resistenza, vissuti diversamente nelle varie regioni d’Italia. Gli alleati, infatti, sbarcano in Sicilia nell’estate del 1943. Nel settembre dello stesso anno c’è la firma dell’armistizio da parte di re e governo, la dichiarazione ufficiale di guerra contro i tedeschi, lo sbarco degli americani a Salerno. Il sud. dunque, viene in tempi relativamente rapidi strappato dalle mani dei nazisti .
Più lunga la lotta al centro: solo il 4 giugno del 1944, viene liberata Roma. Straziante, poi, l’agonia nella parte settentrionale della penisola che, prima dello sfondamento della linea gotica, negli ultimi mesi del ’44 e nei primi del ’45 è teatro delle più feroci rappresaglie dei nazisti, ormai sulla via della disfatta.
La storia della resistenza, dunque, è la storia delle diverse esperienze vissute sul territorio italiano. ma è anche e soprattutto storia di unità, quell ‘unità che le più diverse forze politiche trovano nel combattere il nazismo e la dittatura e nel fondare, poi, la Repubblica. Come spiega il professor Pietro Scoppola, docente di storia contemporanea all ‘Università “La Sapienza” di Roma, e autore del volumetto: “25 aprile. Liberazione”, pubblicato di recente da Einaudi:
Il modo in cui la guerra si è conclusa ha contribuito ad accentuare differenze già esistenti nel nostro Paese. Ma al di sotto di questo, c’è da scoprire e valorizzare un elemento unitario, che è quello di un coinvolgimento profondo e vitale di tutti gli italiani. E bisogna soprattutto rileggere il passsato secondo la grande intuizione di don Giuseppe Dossetti, uomo che ha fatto la resistenza ed è stato fra gli esponenti più significativi dell’assemblea costituente, oggi monaco. Il quale, ripensando a quel passato, ha individuato e ha indicato il nesso stretto tra liberazione e costituzione repubblicana, fra evento epocale rappresentato dalla guerra e la rifondazione della convivenza sui grandi valori della Costituzione, alla quale – come noto – i cattolici hanno dato un contributo decisivo.
A questo proposito, a mezzo secolo di distanza, nuove letture storiografiche sembrano superare le polemiche sull’attendismo della Chiesa e dei cattolici. Ancora il Prof. Scoppola:
Un grande storico di formazione laica crociana, Federico Chabod, ha paragonato il ruolo che la Chiesa svolge in particolare a Roma negli anni dell’occupazione tedesca a quello che svolse al tempo delle invasioni barbariche, nei primi secoli cristiani, negli anni del disfacimento dell’Impero romano. Questo per dirle quanto anche in una cultura di ispirazione laica ci sia stato di sensibilità a questo ruolo della Chiesa. Non dobbiamo andare a misurare quanto si è sparato, quanti sono stati i corpi militari di estrazione cattolica o di estrazione della sinistra. Dobbiamo chiederci, piuttosto, e capire quale sia il contributo qualitativo che la presenza cattolica e cristiano ha portato a questo grande movimento della resistenza morale di tutto il popolo. Ha contribuito a ricostituire il tessuto etico della convivenza. E senza convivenza non c’è democrazia, non c’è possibilità di ricostruire la democrazia. La democrazia, infatti, non si ricostruisce semplicemente sparando, partendo dalle armi. Si icostruisce con uno sforzo in positivo.