Vertice UE Marzo 2004

24 ORE NEL MONDO

19 marzo 2004

●  A Bruxelles primo consulto tra i ministri degli interni e della giustizia di 5 grandi Paesi, su come rafforzare gli strumenti comuni nella lotta al terrorismo. Sugli incontri indetti in via straordinaria dopo le bombe di Madrid, il servizio di Fausta Speranza:

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I ministri di Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia e Spagna, sono riuniti da questa mattina a margine del Consiglio straordinario Affari Interni e Giustizia dell’Ue che si terrà nel pomeriggio. Ieri, nella riunione dei rappresentanti, i Quindici i sono detti d’accordo sull’istituzione di un coordinatore unico per la sicurezza, quello che è stato definito il super commissario per il terrorismo.

Adottata anche una clausola di solidarietà che impegna i Paesi ad agire ”congiuntamente e con spirito solidale” a fianco di uno Stato membro, vittima di un attacco. Punto centrale della strategia da mettere a punto è il rafforzamento della cooperazione nella raccolta ed elaborazione di tutte le informazioni utili ai fini della lotta al terrorismo. Dall’incontro di questa mattina sembra sia emerso un consenso sull’introduzione dell’obbligo di conservare i dati telefonici e del traffico Internet per facilitare le indagini  e sulla creazione di un registro europeo dei passaporti rubati.

A proposito della rete di informazioni europea, il ministro degli interni tedesco, Schily, chiede ”incontri regolari dei capi dei servizi di intelligence a Bruxelles”, ma al di fuori della struttura Europol, che è piuttosto ”una struttura di polizia”. Sembra, quindi, tramontata l’ipotesi di una sorta di Cia europea.  In ogni caso, dopo l’incontro di queste ore dei ministri dei 5 Paesi, lunedì si riuniranno a Madrid anche i capi dei rispettivi servizi di Intelligence. Questi gli appuntamenti del gruppo ristretto, ma non bisogna dimenticare il vertice straordinario del pomeriggio che riunisce i ministri di interni e giustizia di tutti gli Stati membri dell’Unione.
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Sugli allarmi terrorismo, è intervenuto in Italia il presidente della Repubblica, Ciampi, affermando che tutta Europa è sotto attacco e che i morti di Madrid sono i morti di tutti gli europei. “Dobbiamo avanzare sulla via dell’unificazione politica dell’Europa – ha detto Ciampi – ed è più che mai urgente approvare una nuova Costituzione che consenta alle nazioni europee di dare una risposta forte alla sfida di questo barbaro terrorismo”.
Restano in carcere i primi cinque fermati dalla polizia spagnola per le stragi di Madrid. Si tratta di tre marocchini e due indiani che hanno negato ogni legame con al Qaeda. I tre marocchini, Jamal Zougam, Mohamed Bekkali e Mohamed Chaui, sono sospettati di appartenere a una organizzazione terroristica e di essere responsabili di  190 omicidi e 1.400 tentati omicidi, oltre a danni e furto di  auto. Nel caso dei due indiani, Vinay Kohly e Surech Kumar, il giudice ha motivato la sua decisione di tenerli in detenzione  con il sospetto di collaborazione con organizzazione terroristica e falsificazione di documenti.

24 ORE NEL MONDO

22 marzo 2004

Il Consiglio dei ministri dell’Ue, così come la Commissione, condanna “l’uccisione extragiudiziaria” del leader di Hamas e di altri otto palestinesi da parte delle forze israeliane questa mattina. E’ quanto si legge nelle conclusioni del Consiglio dei ministri europei. Le crisi internazionali incombono, dunque, sulla riunione dei ministri degli Esteri dei Quindici che si è aperta questa mattina a Bruxelles sui temi della lotta al terrorismo e del rilancio della strategia economica messa a punto nel vertice di Lisbona del 2000. Il servizio di Fausta Speranza:

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I capi delle diplomazie europee sono riuniti in preparazione del Consiglio di giovedì e venerdì prossimo. Gli argomenti in agenda sono quelli che attendono i leader per questo vertice di primavera e cioè cooperazione per la sicurezza e rilancio dell’economia. Ma è forte l’eco di quanto avviene in Medio Oriente, in Afghanistan e nei Balcani. In tema di terrorismo, il dibattito è aperto da giorni: ci sono stati gli incontri a livello di ministri di interni e giustizia e c’è proprio in queste ore a Madrid la riunione dei servizi di intelligence di Regno Unito, Francia, Germania, Italia e Spagna, i cosiddetti Grandi. E’ una riunione a porte chiuse in una sede non rivelata, visto il coinvolgimento dei servizi segreti e il carattere operativo della discussione. Va detto che l’Unione non vorrebbe parlare di terrorismo solo in termini di prevenzione poliziesca ma anche affrontando le motivazioni profonde del fenomeno. Lo sottolinea il ministro italiano, Frattini, a margine dell’incontro a Bruxelles, spiegando che l’Italia sostiene un progetto di ricerca delle cause profonde che alimentano il terrore. E un documento comune dei Quindici in tema di terrorismo ci sarà presto: sarà presentato al vertice dei leader di giovedì e venerdì. In termini di impegno politico, il dibattito è aperto su come possa essere più attivo il ruolo dell’Unione europea nei Balcani, dove ancora regna l’instabilità. Su questo tema ci sono consultazioni in corso tra i maggiori Paesi europei impegnati nell’area e gli Stati Uniti. E non si esclude in prospettiva una consultazione del Gruppo di Contatto.
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24 ORE NEL MONDO

25 marzo 2004

Conferenza intergovernativa e dunque costituzione, terrorismo e questioni economiche: queste le direttrici su cui l’Unione Europea tenta di pronunciare parole chiave per il prossimo futuro. È l’attesa per il vertice dei capi di Stato e di governo che si apre nel pomeriggio a Bruxelles. Nella sua presentazione, il presidente della Commissione europea, Romano Prodi, ha definito il terrorismo la più grave minaccia per il mondo libero, dopo la Seconda Guerra Mondiale e ha poi annunciato di essere ottimista per quanto riguarda il trattato costituzionale. Il servizio dalla nostra inviata a Bruxelles, Fausta Speranza:

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Terrorismo, Iraq, Medio Oriente reclamano un’Unione in grado di prendere decisioni politiche, che significa un’Europa che ha fatto le riforme costituzionali. Ne sono consapevoli i leader che si ritroveranno alle 18.00 per la prima riunione di questo vertice di primavera, che fa seguito a quello segnato dal fallimento sulla Costituzione. Nelle ultime ore si sono moltiplicate le dichiarazioni di disponibilità per un accordo sul nodo del sistema di voto e si intravede la svolta entro giugno. E’ possibile, se oggi si gettano le basi, e promettente la dichiarazione di poco fa del capo della diplomazia polacca. Varsavia non esclude più un compromesso sulla doppia maggioranza, cioè 50 per cento degli Stati più uno, che rappresentino il 60 per cento della popolazione. Dopo le aperture del futuro premier spagnolo, dunque, non c’è più il veto né di Spagna, né di Polonia, che ha bloccato la discussione a dicembre scorso. L’ipotesi degli ultimi giorni è di ritoccare la percentuale, portandola a 55 e 65, ma Prodi avverte: “Se si alza troppo sarà sempre blocco decisionale, come per l’unanimità”. Qualcuno ipotizza anche che il compromesso possa essere sulla data dell’entrata in vigore del nuovo sistema, piuttosto che sulla percentuale. In ogni caso poter decidere è il vero nodo da sciogliere, perché l’Europa risponda al terrorismo con un progetto politico che vada oltre le misure prese in questi giorni per lo scambio di informazioni sul piano operativo. E nel documento sul terrorismo, il più atteso di questo vertice, ci aspettiamo di leggere idee chiave. Tra le decisioni che attendono i Paesi europei e sulle quali dunque l’appuntamento di oggi e domani doveva pronunciarsi, ma probabilmente non ce la farà, ci sono anche le questioni dell’economia. Dalle parole dell’agenda di Lisbona del 2000 infatti si deve ancora passare ai fatti.

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24 ORE NEL MONDO

26 marzo 2004

Dopo la dichiarazione comune contro il terrorismo e l’annuncio di un accordo di ieri sera sulla Costituzione entro giugno, le questioni economiche e l’Iraq impegnano oggi i leader europei riuniti nella giornata conclusiva del vertice del Consiglio a Bruxelles. Dei lavori di questa mattina ha riferito in conferenza stampa il presidente del parlamento europeo Pat Cox. La parola alla nostra inviata a Bruxelles Fausta Speranza:

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Il 40 per cento delle direttive economiche dell’agenda di Lisbona del 2000 non sono state ancora recepite dagli Stati. Chiarisce così il lavoro che resta da fare il Presidente del Parlamento che ricorda gli obiettivi di competitività e sviluppo da rispettare entro il 2010. Punti deboli: la crescita e l’occupazione. Una priorità: gli investimenti nella ricerca. Ormai alla vigilia dell’allargamento a 25 non sono più ammessi ritardi per un mercato unico. Il progresso fatto nell’incontro di questa mattina  Pat Cox lo riassume dicendo: “l’impasse è superata”. E’ la stessa espressione usata ieri dal presidente di turno irlandese del Consiglio, Ahern, e sembra l’espressione chiave per questo Vertice al quale i leader sono giunti scossi dai fatti di Madrid. “L’Europa non si ferma”, è stato ieri il messaggio del presidente della Commissione, Prodi. Lo slancio decisionale segna la lotta al terrorismo: con il documento presentato ieri si chiede di mettere in atto senza più ritardi le misure studiate dopo l’11 settembre del 2001, in particolare il mandato di arresto europeo. Novità: il commissario antiterrorismo e la clausola di solidarietà.

Ma soprattutto c’è il balzo in avanti sulla via della Carta costituzionale: l’impegno di tutti a giungere ad un accordo entro il prossimo Vertice del 17 e 18 giugno, forse anche prima delle elezioni europee del 12 e 13. Ahern spiega che resta la prospettiva della doppia maggioranza per il discusso sistema di voto, cioè una percentuale di Stati che rappresenti una certa percentuale di popolazione, ma non si sa le cifre ipotizzate di 50 per cento + 1 per gli Stati e 60 per cento  per la popolazione verranno ritoccate. Si sa solo che c’è l’intenzione di tutti di arrivare a un compromesso. Dalle ultime riunioni di lavoro, con il conclusivo pranzo, ci si attende un pronunciamento significativo sull’Iraq: la richiesta formale di una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza perché l’Onu torni ad avere un ruolo centrale nel Paese.

Ma è evidente che per l’Europa il presupposto di ogni scelta politica incisiva  è la Costituzione. Fondamentale, dunque, l’annuncio della ripresa del negoziato. Ma in definitiva, è emersa un’intesa o la conferma di buoni propositi? Lo abbiamo chiesto a Andrea Bonanni, esperto di questioni europee del quotidiano La Repubblica:

R. – Possiamo dire che siamo per il momento al livello dei buoni propositi, anche se c’è un’intesa nell’andare avanti, nel riaprire e chiudere addirittura il negoziato entro il termine della presidenza irlandese, cioè entro giugno. I problemi rimangono ancora tutti sul tappeto. C’è però la volontà di tutti di fare concessioni e di trovare un’intesa.

D. – Quanto possono avere pesato i fatti di Madrid?

R. – I fatti di Madrid sono stati indubbiamente l’elemento di svolta di tutto, perché hanno reso tutti consapevoli che l’unica risposta politica alta che si può dare alla sfida del terrorismo è quella di dimostrare che l’Europa è in grado di darsi una costituzione, di iscrivere in questa costituzione una serie di valori democratici e anche di darsi gli strumenti, sempre con la costituzione, per una più stretta cooperazione in materia di lotta alla criminalità e lotta al terrorismo.

200 anni dalla morte di Immanuel Kant

A 200 anni dalla morte di Immanuel Kant, dibattiti e cerimonie rievocative ripercorrono il bagaglio di pensiero che il massimo filosofo tedesco ha lasciato. In particolare nella città dove Kant è nato, nel 1724, le iniziative culturali sono accompagnate anche da una scelta politica: proprio oggi nella cittadina, che allora si chiamava Koeningsberg e apparteneva alla Prussia orientale e che oggi si chiama Kaliningrad e appartiene alla Russia, viene inaugurata, alla presenza del ministro degli esteri Fischer, la prima rappresentanza diplomatica tedesca, dopo dieci anni di trattative tra Germania e Russia. Nella stessa cittadina Kant ha sempre vissuto, ha insegnato, ha scritto le sue opere e il 12 febbraio del 1804 è morto. Ma la profondità della sua riflessione ha valicato confini ben più ampi, segnando profondamente la cultura dell’Occidente. Di tanti, lunghi, articolati scritti tentiamo di focalizzare un aspetto di quanto rimane di più significativo per il sentire moderno. Scegliendo il tema kantiano dell’imperativo categorico Fausta Speranza ha chiesto aiuto al prof. Giuseppe Modica, ordinario di filosofia morale e presidente del Corso di laurea in filosofia e scienze etiche all’Università di Palermo.

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R. – Si capisce l’imperativo categorico ricordando sempre un assunto chiave di tutto il pensiero kantiano: il rapporto tra moralità e libertà. Kant rivendica un rapporto intrinseco tra moralità e libertà perché non c’è l’una senza l’altra. Le due categorie si richiamano a vicenda a conferma del fatto che l’imperativo categorico è certamente assoluto e perentorio proprio perché ha dinanzi a sé una libertà che in qualsiasi momento può disfarne l’imperatività. E’ quindi importante capire che l’appello kantiano è un appello rivolto alla capacità dell’uomo di realizzare la legge morale nella sua assolutezza e nella sua universalità, senza cedimenti a forme di utilitarismo o di sentimentalismo che possono inquinarne la purezza. Credo che questo sia importante considerando la ricaduta che può avere il messaggio kantiano sul mondo contemporaneo.

D. – Oggi è molto difficile parlare di “morale”, eppure c’è profondità di pensiero e di sensibilità dietro a questo termine. Che cosa impariamo da Kant, che ha saputo parlarne tanto?

R. – Con un’espressione assolutamente generalista ma anche metaforica possiamo definire il mondo di oggi come il mondo variegato dell’industria e del commercio. E vi siamo tutti immersi e sommersi. Ci porta a considerare le persone come mezzi, come mezzi utilizzabili per il raggiungimento di scopi, che in genere riguardano direttamente noi. Spesso, quindi, la persona è asservita a questo intendimento. L’appello kantiano, anche qui posto sotto forma di imperativo categorico, è quello per cui nessuno deve mai trattare se stesso o gli altri semplicemente come mezzo ma sempre ed anche come fine. Questo è fondamentale. La distinzione che Kant fa tra il valore inteso come prezzo e il valore inteso come dignità è essenziale, anche per comprendere non solo l’attualità di Kant ma anche l’esemplarità. Quando una cosa ha un prezzo possiede un valore relativo e perciò è commerciabile e può essere comprata, costasse pure tutto l’oro dell’universo. Quando, invece, una cosa ha dignità, non è commerciabile, non può essere comprata ma ha un valore assoluto e incondizionato. E’ proprio la dignità e non il prezzo ciò che contraddistingue la personale morale, secondo Kant.

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Romano Prodi 2003

OGGI IN PRIMO PIANO

L’ALLARGAMENTO AD EST, L’UNIONE PER LA PACE, L’EREDITA’ DEL CRISTIANESIMO:
LE NUOVE SFIDE PER L’EUROPA
– Intervista con Romano Prodi, presidente della Commissione Europea –

Le prospettive di un’Europa a 25, le sfide in tema di pace, le radici cristiane del Vecchio continente. Sono alcuni dei temi affrontati questa mattina da Romano Prodi nell’intervista alla nostra emittente. Ascoltiamo innanzitutto la riflessione del presidente della Commissione Europea, Romano prodi, a proposito dell’allargamento dell’Unione. L’intervista è di Fausta Speranza.

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R. – Ritengo che l’Europa non sia completa se non comprende i Paesi che entrano adesso, più gli altri Paesi che stanno negoziando, e in un futuro i Paesi Balcani. Quindi, io vedo questo come necessario per la pace, ma lo vedo anche necessario per la prosperità futura di tutto il continente. Diventiamo un mercato unico, grande, solidale, il più grande mercato interno del mondo. Quindi, noi possiamo veramente avere una parola nella politica di domani, una parola di saggezza che mi sembra necessaria.

D. – In tutto questo, che peso hanno e potranno avere le divisioni emerse di recente all’interno dell’Unione, in particolare in tema di pace?

R. – Sono delle divisioni dei governi, ma sono una grande unità dei popoli. In tutta Europa i popoli hanno, in modo del tutto straordinario, del tutto imprevisto, dato il loro consenso ad una politica di pace. Non è una divisione profonda che abbiamo su questi temi, è una divisione tattica, una divisione politica, che quindi in un futuro può essere componibile. Bisogna tenere in Europa, non solo il futuro della nostra ricchezza, il futuro della nostra economia, ma anche il futuro della nostra sicurezza.

D. – Quale può essere e quale deve essere l’impegno dell’Italia nel prossimo semestre di Presidenza?

R. – Io credo che il compito fondamentale sia quello di coadiuviare alla messa in atto, alla conclusione della Convenzione, in modo da poter firmare il nuovo trattato nel semestre italiano. Spingere la nuova politica per il Mediterraneo e per i Balcani. Io credo che si siano fatti dei passi enormi, come abbiamo visto, verso i Paesi al di là della cortina di ferro. Adesso dobbiamo svolgere uno sguardo al Mediterraneo, che è sempre più povero, che è sempre in tensione crescente, e che si allontana da noi.

D. – Presidente Prodi, il Papa dalla Spagna ha lanciato di nuovo un appello, perché non siano abbandonate le radici cristiane dell’Europa. Da presidente della Commissione Europea che cosa risponde?

R. – Io ritengo che queste radici cristiane d’Europa siano fondamentali non solo per il nostro passato, ma siano fondamentali anche per il nostro futuro. Non vi può essere un’Europa che non tenga conto di che cosa il Cristianesimo rappresenti per il nostro continente. Ma la Commissione Europea, che è un organo politico, ha interpretato ancor prima della riforma dei Trattati questa necessità, impostando un dialogo permanente con le Chiese – dialogo che era stato richiesto dalle Chiese stesse – e che vede la Chiesa cattolica protagonista attiva, attraverso la Comece. E poi abbiamo deciso una consultazione preliminare con le Chiese, ogni volta che si debba prendere una decisione che riguardi l’ambito di interesse dell’attività delle Chiese. Quindi il dialogo strutturato con le Chiese da molti anni noi lo abbiamo già fatto. Inoltre lavoriamo per inserire il nuovo Trattato anche rispetto agli accordi delle Chiese con gli Stati nazionali, in modo da rispettare non solo le esigenze della riunione, delle libertà di riunione, delle libertà di associazione, ma anche le scelte delle singole Chiese nazionali nei diversi Stati membri. Noi riteniamo – io ritengo personalmente – che i valori a cui ha fatto appello il Papa siano veramente fondamentali per costruire e conservare l’unità del nostro continente.
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D. – Presidente Prodi, innanzitutto l’incontro con il Papa: a conclusione, in qualche modo – comunque, siamo vicini alla conclusione – del suo mandato alla presidenza della Commissione europea, e il giorno prima della firma del Trattato costituzionale. Che significato e che valore ha avuto?

R. – Due aspetti. Uno, evidentemente di commozione personale, e su quello non voglio dire nient’altro. Poi, c’è un aspetto politico che anche nel colloquio si è sentito molto: il grande momento dell’Europa che respira a due polmoni e che – anche se con problemi che tutti condividiamo, che tutti abbiamo sentito – si da veramente una regola per il futuro. E’ un’Europa stabile, è un’Europa che ha chiuso con Yalta, che ha finito con le tensioni … si è parlato proprio tanto di pace, di come i nuovi Paesi stanno arrivando, non solo la Polonia ma tutti; del clima che si deve creare, per la nuova Europa …

D. – Presidente, ci aiuti ad interpretare il voto di ieri al Parlamento …

R. – Ma … l’interpretazione seria, politica è una sola. Il Parlamento europeo ha voluto affermare la sua forza di fronte a quello che è il governo europeo, anche se i termini non sono precisi: si parla di Commissione, non di governo … Ma è un classico della democrazia: il Parlamento cresce, diventa consapevole della sua forza, e va considerato non per i poteri formali che ha, ma per il fatto che è un Parlamento! E d’ora in poi, il Parlamento europeo sarà un protagonista molto più forte, insieme alla Commissione, della vita europea. E quindi, gli Stati membri che in molti casi avevano sempre controllato il voto dei loro parlamentari, si sono trovati adesso di fronte ad un’evoluzione di straordinaria importanza nelle istituzioni europee.

D. – “L’Europa è aperta a tutti gli Stati che rispettano i suoi valori”: questo è il principio. Secondo lei, il Trattato costituzionale aiuterà a rendere più concreto il rispetto di questi valori?

R. – Sì, molto. Perché i valori sono ben chiari nel Trattato costituzionale. Certamente, anch’io avrei preferito, e ho lavorato attivamente perché ci fosse nel preambolo il riconoscimento delle radici storiche del cristianesimo e del giudaismo: questo non è stato possibile. Ma i valori di questa nostra religione sono veramente contenuti nella Carta costituzionale. Possiamo veramente pensare ad un’Europa – se legge l’articolo 1,4 – che ha questi principi come strumento di pace, come una nuova entità che si mette a servizio di un concetto molto diverso da quello tradizionale, del rapporto di forza tra Paesi, ma che regola i conflitti con un atteggiamento multilaterale, con l’uguaglianza tra i diversi Paesi che partecipano alla nuova Unione … è un superamento del concetto di “Stato moderno”!

D. – Dunque, le sembra che il Trattato costituzionale possa essere una scommessa di pace?

R. – Sì! E’ una scommessa di pace. E non è una scommessa: finora abbiamo mantenuto! Nel ’57 è stato firmato il primo Trattato di Roma; ci siamo allargati, successivamente. Mai, mai un conflitto all’interno dei confini dell’Unione. Tragedie, subito fuori dalla nostra porta. In questo senso, l’unificazione dell’Europa con l’allargamento, e quella già progettata verso Bulgaria e Romania e verso i Balcani, sono un’ulteriore garanzia di pace.

D. – Ecco, però lei spesso ha ricordato che l’Europa deve guardare anche oltre i propri confini. Dunque, questo Trattato costituzionale potrà aiutare ad evitare una crisi di divisione, come quella che c’è stata in tema “Iraq”?

R. – Questo no, purtroppo, perché la competenza in politica estera non c’è ancora e quindi, se domani ci dovesse essere un conflitto come quello iracheno, non c’è nessuna garanzia che non ci siano le stesse divisioni. Ma l’Europa si fa con la pazienza, ci vorrà qualche decennio per avere una politica estera comune, ma la via è segnata.

D. – “L’Europa è un’unione di minoranze”: è un’espressione che le è cara. In che modo si coniuga con l’esigenza di un’Europa ad una sola voce?

R. – Si coniugano proprio perché ognuno è in minoranza. Non c’è nessuno che imponga la propria voce agli altri. In minoranza si discute, si decide insieme e ciascuno contribuisce alla decisione. Ma nessuno la impone agli altri. Ed è questo il concetto nuovo dell’Europa. Per questo non sono soddisfatto dei punti in cui – come nella politica estera – si è mantenuta l’unanimità delle decisioni, perché in 25 Paesi, con il principio dell’unanimità, è difficile prendere delle decisioni, anzi: è impossibile!

D. – Presidente: euro, allargamento, Trattato costituzionale sono le conquiste più evidenti di questi cinque anni. Ce ne racconta qualcuna invece meno evidente e magari più sofferta?

R. – Io esco con la tristezza di non vedere messi in atto i progetti che avevamo messo in cantiere nel 2000 in campo economico, il cosiddetto “processo di Lisbona”, in cui avevamo detto – anche con molta gioia comune, no? – che insieme avremmo fatto una strategia per aumentare il gruppo economico, la ricerca, le innovazioni per diventare – era il nostro slogan – “la società più innovativa del mondo”. Sono passati quattro anni e in questo campo, proprio la mancanza di processi decisionali, l’obbligo dell’unanimità hanno fatto sì che le decisioni prese – ce n’erano parecchie, di buone decisioni, ma si era ancora troppo, troppo scarsi rispetto all’obettivo. E quindi, non siamo la società più innovativa del mondo. Lo dobbiamo ancora divenire.

D. – Ecco, però, parliamo proprio di Europa nel mondo: ci parla dei rapporti di partenariato che l’Europa ha avviato?

R. – E’ il nuovo capitolo: abbiamo definito i confini dell’Europa, l’allargamento è già fatto, quello verso la Bulgaria e la Romania è prossimo, il caso della Turchia, quindi i Balcani e poi i confini si fermano. Ma se l’Europa è un segnale di pace, deve attuare la politica già approvata – intendiamoci: già approvata! –, la cosiddetta “politica di vicinato”, cioè tutti i Paesi, dalla Russia fino al Marocco che sono vicini potranno – se vogliono – concludere con l’Europa uno strettissimo accordo, condividendo con l’Unione tutto, senza però far parte delle istituzioni europee, cioè senza diventare membri dello stesso Parlamento e della stessa Commissione, ma condividere unione doganale, trattati commerciali, regole economiche, cooperazione di polizia, di giustizia, regole dell’immigrazione … tutto quanto concerne la collaborazione più profonda. Ecco, è importante questo perché vuol dire estendere questa “infezione di pace” anche a Paesi che ne hanno tanto bisogno – pensi a Israele, alla Palestina, l’Egitto, i Paesi del Maghreb, l’Ucraina: pensi all’Ucraina, che è questa grande anima europea … Ecco, questo è l’ulteriore passo ed il compito dei prossimi decenni.

D. – Presidente Prodi, io avei voluto chiederle oggi, una volta fatta la valigia, se ci raccontava così, sottovoce, la sua voglia, l’intenzione di tornare indietro e di fare, altrettanto sottovoce, a qualche leader europeo qualche raccomandazione per il bene dell’Europa: non so se lei ha voglia adesso che ha fatto la valigia, ma l’ha anche disfatta …

R. – Sì, ieri è stata proprio una giornata incredibile, perché ho fatto proprio la valigia, ho chiuso casa – come si dice in termini popolari – ho disdetto i contratti della luce, del gas, l’abbonamento alla televisione, tutte le cose che si fanno normalmente; e poi come sono arrivato in ufficio è incominciato questo strano momento in cui siamo dovuti ritornare indietro, e adesso per qualche settimana dovrò rimanere a custodia delle istituzioni. Lo faccio volentieri, perché ci vuole continuità. Ma non ho proprio molti consigli da dare, salvo quello di prendere una lezione comune, che tutti dobbiamo prendere da questi avvenimenti, e cioè di considerare la nuova forza del Parlamento europeo.

D. – Ecco, anche qui: ancora presidente in carica della Commissione europea, ho un po’ più di difficoltà a chiederle se vuole commentare i grandissimi passi indietro – come lei stesso ha riconosciuto – che ha fatto l’Italia nella sua spinta europeista …

R. – Ma … sono cose che ho detto, e anche se dovrò rimanere ancora un po’ di tempo a Bruxelles, credo di non violare nessuno dei miei doveri se ripeto che in parecchi momenti è mancata una forte spinta europeistica che era nella tradizione italiana, secondo cui l’Europa ha sempre fatto parte del nostro DNA, ha sempre accompagnato i nostri successi … A volte sembra come mancare fede in questa realtà, sembra che qualcuno possa pensare che l’Italia possa fare da sola. Ecco, io credo, sono convinto che siano stati soltanto momenti passeggeri e che ritorni la grande politica italiana, di essere la spinta dell’Europa. Anche perché poi è difficile vedere guadagno e ricompensa da una politica diversa: è molto difficile. Io non ne vedo e non ne ho visti!

D. – Un esempio concreto?

R. – Un esempio concreto … ce ne sono … i più evidenti sono nel campo della cooperazione giudiziaria, sono nella spinta verso il multilateralismo, sono anche nello spingere nel campo della cooperazione economica che è interesse dell’Italia vedere più stretta, più forte, proprio perché altrimenti noi perdiamo contatto con il nuovo, con il nucleo forte del progresso del nostro continente. L’Italia, nella sua storia, ha sempre avuto due aspetti: uno, di essere parte dell’Europa più avanzata, del nocciolo duro dell’Europa, e l’altra, della difficoltà di essere periferica. Ecco, noi non possiamo assolutamente permetterci di diventare un Paese periferico, dobbiamo fare in modo che anche la periferia, soprattutto il nostro Mezzogiorno, diventi un punto centrale della politica europea. E ne abbiamo le possibilità, perché con lo sviluppo dell’Asia, il Mediterraneo è tornato – dopo quattro, cinque secoli – centrale e, se non siamo matti, dobbiamo capire che si possono rovesciare tante cose. I punti di arrivo del mondo che si sviluppava, che erano Amsterdam, Londra, adesso, attraverso Schulz, dall’Asia vengono verso il nostro Mezzogiorno. E allora, dobbiamo prendere noi l’iniziativa di legare l’Europa all’Asia. Questo è il nuovo, grande compito dell’Italia.
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6 maggio 2003

Corte Penale Internazionale

Con il giuramento di 18 giudici di 4 continenti, oggi, 11 marzo 2003, nasce all’Aja il gruppo di lavoro della Corte penale internazionale. Alla presenza del segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, e della regina d’Olanda, i giudici, che resteranno in carica nove anni, giurano solennemente nella “Sala dei Cavalieri” del Parlamento olandese che ospita la sede della Cpi. Dal 1998, anno in cui la Corte veniva istituita, con il Trattato di Roma, finora 89 Stati ne hanno ratificato lo Statuto. Proprio oggi il Consiglio d’Europa ha lanciato un appello a tutti i governi del Pianeta che ancora non vi hanno aderito a farlo “senza indugio”. La Corte si ocuperà espressamente di crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidi, rispondendo a un’esigenza di giustizia sovranazionale che già che nel 1948 era stata sottolineata da una Risoluzione dell’ONU. Un cammino importante, dunque, è stato compiuto ma restano alcuni interrogativi. Lo sottolinea, nell’intervista di Fausta Speranza, il prof. Luigi Bonanate, docente di relazioni internazionali all’Università di Torino.

11 marzo 2003

 

La poesia universale di Dante ha cantato in …..

La poesia universale di Dante ha cantato in persiano, ungherese, spagnolo di Fausta Speranza

Dante in un’altra lingua per capire meglio la lingua di Dante. Alla terza edizione della manifestazione “La Divina Commedia nel mondo” non abbiamo più dubbi: la lettura comparata delle terzine sull’Inferno e sul Paradiso ci regala proprio una parola in più per esprimere quello che Dante ci dice. Non è solo un piacevolissimo gioco accademico o letterario ma è come una lettura indiretta che ci riporta più direttamente alle inesauribili suggestioni dei versi e dei significati. In particolare, la novità dell’edizione di settembre 2000, cioè la traduzione in dialetto romagnolo, ci ha richiamato quasi bruscamente al valore vivo e autentico della parola in rima dell’Alighieri. La traduzione del romagnolo Filippo Monti ha avuto la colpa o il privilegio di suscitare per la prima volta mormorii. Sussurrati, compiaciuti commenti hanno osato infrangere il religioso silenzio che si crea ad ogni lettura di quella che resta la “divina” commedia. Insomma, ha prevalso l’emozione di comprendere con tutta la forza, l’irriverenza, la spontaneità del proprio dialetto il racconto di Dante, che nell’Inferno è stato indubbiamente così forte, irriverente, spontaneo, nonostante tutto lo sforzo architettonicamente costruttivo della sua poesia.     Chi non conosceva il dialetto ha potuto constatare che di un’altra lingua si tratta,  lontana dall’italiano. Certamente chi ha studiato, anche superficialmente, francese o inglese, nelle precedenti edizioni ha potuto comprendere di più nella lettura della Prof.ssa Jaqueline Risset o del Prof. Allen Mandenbaum. Ma avvertire come la sala reagiva alle espressioni del dialetto, che in quanto tali appartengono al vissuto sempre intenso dell’infanzia e della famiglia, ha regalato un’emozione molto molto bella anche a chi  non possedeva il codice linguistico per capire.
Ancora una volta abbiamo goduto con Dante della bellezza delle emozioni e della fantasia ma anche della ricchezza del suo spessore concettuale. La suggestione della proposta interpretativa dell’idioma romagnolo ci ha ricordato quanto Dante, che  ha dettato legge in fatto di poesia, alle leggi della poesia si sia piegato. Il padre della lingua italiana, che ha viaggiato dall’Inferno al Paradiso rincorrendo la verità dell’uomo, voleva proporre una lingua aulica, curiale, cardinale ma ci ha regalato versi in cui irrompono i dialetti da lui conosciuti.  E’ riuscito nel suo intento di offrire il primo dialettale abbozzo dell’italiano futuro, secondo i propositi del De vulgari eloquentia,  ma forse proprio in fatto di lingua ha pagato il suo tributo più alto alla poesia che non è tale se non è viva. E, infatti, non ha potuto evitare che  l’umanità più autentica e spontanea, che amava raccontare, raccontasse se stessa  attraverso l’autenticità delle sue espressioni più primordiali. E quando il dialetto non irrompe con prepotenza tra le rime, Dante stesso ci suggerisce di non dimenticarlo, ad esempio quando scrive che Beatrice parla “in sua favella” o che Virgilio si esprime “in mantovano”.   In definitiva rigore concettuale e fantasia non ci deludono mai nella Divina Commedia.
D’altra parte, i precedenti nove appuntamenti, in cui si sono susseguiti anche studiosi di paesi molto lontani, ci hanno abituato proprio ad una fruizione musicale delle traduzioni ma anche al vezzo concettuale di  percepire il riverbero in altre culture della ricca proposta culturale di Dante. Troppo spesso si dimentica in Italia di accostarsi con la sensibilità di oggi alla poetica dell’Alighieri. Si resta ancorati ad una lettura scolastica  e nozionistica che non rispetta la vitalità dei versi. Ascoltare quanto intensamente Dante parli agli uomini di lingua diversa può essere perfino  un suggestivo, curioso,  sottile,  piacevole rimprovero.  Nelle due precedenti edizioni abbiamo avuto il privilegio di incontrare il cinese Huang Wenjie, il russo Aleksandr A. Iljusin, il turco Rekin Teksoy, il portoghese Vasco Graca Moura. Quest’anno, prima dell’originale lettura in dialetto, abbiamo ascoltato, nella prima serata, l’interpretazione del tedesco Hans Werner Sokop, che ha coraggiosamente e con competenza affrontato il XIX Canto del Paradiso, in cui la poetica dell’astrazione assume i toni severi e sprezzanti delle pagine più polemiche dell’ultima Cantica. Poi, sempre nella suggestiva Chiesa di San Francesco, ha letto la sua traduzione l’arabo Mahmoud Salem Elsheikh. Ha proposto il XXVIII Canto dell’Inferno in cui con più forza Dante sottolinea la durezza della pena per chi semina odio, vendetta, sangue. Più che le figure dei singoli dannati il poeta è concentrato a descrivere l’orrore di chi insanguina la pace e ferisce la giustizia. All’inizio Dante stesso ricorda i limiti di ogni parola scrivendo: “Chi poria mai pur con parole sciolte dicer …ogne lingua di certo verria meno…”. Forse l’ammissione del poeta, che riconosce il valore relativo della parola di fronte all’intensità della vita vissuta dell’uomo, ha incoraggiato lo studioso che si esprime in una lingua anche strutturalmente così lontana dall’italiano. E, ci piace pensare che tale espressione abbia già in precedenza incoraggiato l’ideatore della manifestazione, il colto e appassionato Walter Della Monica, che, con fantasia e coraggio, ha proposto di allargare, in questo modo,  gli orizzonti della comprensione e dell’interpretazione della parola di Dante a Ravenna, la città che lo ha accolto in esilio. E  a sottolineare il successo della manifestazione ci aiuta in particolare il ricordo della serata dedicata alla romena Adriana Mitescu che si è distinta per le personali doti comunicative.  Quest’ultima ha vinto una doppia scommessa, perché ha suscitato entusiasmo e partecipazione proponendo il Canto XXVIII del Purgatorio che, generalmente, è delle tre Cantiche la meno amata. E’ ricca di invenzioni allegoriche e la tensione emotiva e poetica è asservita al valore della purificazione ascetica che permette di fare il salto dall’Inferno al Paradiso. Ma la studiosa romena ha scelto il Canto in cui il pellegrino Dante giunge alla soglia del Paradiso terrestre e scopre le sensazioni nuove suggerite dalla natura felice del luogo. La descrizione del bosco, in cui possiamo riconoscere la particolare pineta di Classe fuori Ravenna, ben si presta ad una traduzione di respiro universale.  Infatti,  già  Dante nei suoi versi la tratteggia con un notevole grado di stilizzazione, suscitando una suggestione più musicale che descrittiva. Dante voleva ricreare l’immagine universale di una natura incontaminata, simbolo e luogo di accoglienza  delle virtù morali ed intellettuali. Forse proprio tale valore di universalità ha arricchito in modo particolare il lavoro della studiosa romena. E’ solo l’ennesima, piacevole conferma del prodigio della poesia che, quasi come in un contrappasso dantesco, si nutre dell’intimità più raccolta dei sentimenti ma rinnega ogni chiusura e non conosce confini.

del 17 novembre 2001

La globalizzazione e le contraddizioni dell’informazione

pubblicato su TABLOID, n°8 Settembre-ottobre 2001 da Fausta Speranza

Un esame di coscienza sulla comunicazione in relazione al G8 prima ancora che il summit si tenesse. E’ stato anche questo il senso dell’incontro che ha riunito studiosi della comunicazione e giornalisti, a Genova, la settimana prima del fatidico vertice. L’incontro si inseriva nel ciclo di conferenze, dedicate ai vari aspetti della globalizzazione,promosse nell’ambito della Biennale Europea delle Riviste Culturali, che dal ’99 offre l’occasione di un confronto sulle diverse proposte culturali, perchè l’Europa unita non sia solo economica. Nelle varie giornate si è parlato di globalizzazione e cooperazione con i paesi poveri del mondo, di frontiere nazionali e conflitti, di diritti alla cultura e modelli di sviluppo. Un’intera giornata, poi, è stata dedicata ai sistemi informativi e di comunicazione di massa. L’esame di coscienza ha riguardato il clima di alta tensione che si era creato alla vigilia dell’appuntamento, prima ancora dell’inizio delle manifestazioni e del triste epilogo della prima giornata, chiusasi con la morte del giovane Carlo Giuliani. Diversi i contributi alla riflessione.
Il profesosr Anthony Delano, che è stato inviato di importanti quotidiani anglosassoni e che ora è insegnante della School of Media di Londra, ha parlato di un’esasperazione dei toni che tradisce i principi di oggettività e professionalità del buon giornalismo. I giornalisti Paola Pastacaldi, Gianni Minà e chi scrive hanno soprattutto denunciato il rischio di una progressiva perdita di contenuti. Allargando lo sguardo oltre l’evento, Delano ha messo in luce i rischi dell’informazione globalizzata che fa rima con digitalizzata. E’ innegabile che la tecnologia abbia rivoluzionato il modo di fare giornalismo, basta pensare alla quantità di siti web a disposizione che fa impallidire la rosa dei quotidiani esistenti al mondo. Fin qui, pochi rischi, anzi opportunità. Il punto – ha spiegato Delano – è che la globalizzazione delle agenzie di stampa fa sì che sempre meno giornalisti “producano” la notizia e sempre di più la “lavorino” semplicemente. Da autorevole veterano, Delano araccomanda ai giovani di conservare la curiosità e la grinta per andare a caccia delle notizie, ma si rende conto che la necessità di trovare un lavoro, in un campo che non offre neanche in Gran Bretagna larghi spazi, catalizza le energie dei novelli giornalisti. L’obiettivo diventa un posto al desk che facia guadagnare qualche cosa e che inserisca in una struttura. Con buona pace delle notizie da andare a scovare, ci si dedica a quelle già a disposizione sullo schermo, ricco di lanci di agenzie e di tutto il ben di Dio offerto da Internet. Ma – sottolinea Delano – si trova non ciò che si cerca ma quello che c’è. Su questo ha espresso il suo punto di vista Michele Mezza, giornalista Rai che ha curato l’avvio di Rainews24, esperimento pilota della Rai in tema di nuovi media. “Non era smepre verde la mia vale”, ha tenuto a ribadire, perchè la concentrazione nella produzione di n otizie non è cosa di oggi. Secondo Mezza non si ricorda abbastanza che trent’anni fa il 30% delle news passava attraverso il caporedattore della Reuters, autorevole e più antica agenzia di stampa. Mezza ha poi contribuito alla riflessione rispondendo idealmente ad alcune affermazioni attribuite al cosiddetto popolo di Seattle. Naturalmente anche di loro si è parlato o meglio di quello che avevano comunicato fino alla vigilia del vertice: molta confusione e inesattezze ma sicuramente la voglia di “disturbare” il lavoro dei compunti rappresentanti delle potenze più industrializzate.
Il G8 – ha spiegato Mezza – non è la celebrazione del potere assoluto dell’economia, che sicuramente produce anche situazioni più che discutibili nel mondo, ma al contrario è una sorta di democratica pubblicizzazione di quanto avviene nelle stanze dei bottoni. “L’ipotesi alternativa – fa presente Mezza- è che le decisioni vengano prese al 14esimo piano di un grattacielo finanziario”. Sicuramente senza foto di gruppo. E’ chiaro il messaggio: il potere della finanza e dell’economia non si può demolire impedendo un vertice, che nel regno delle decisioni resta il momento forse più democratico di “partecipazione” ai popoli. Sono le decisioni cui non “assistiamo”, di cui l’informazione non rende conto, come per gli appuntamenti ufficiali, quelle che dovrebbero inquietarci e, semmai, far scendere in piazza. Mantenendo forte il senso dell’autocritica, si dovrebbe dire, però, che si avverte quantomeno il rischio che questa democratica pubblicizzazione dei contenuti diventi il resoconto del menu, delle aree shopping frequentate più o meno dalle varie lady, quando non si debba discutere sull’eventuale assenza della consorte proprio del primo ministro del paese ospitante. D’altra parte, non si sta parlando di globalizzazione?
Il discorso non può che essere sempre allargato a trecentosessanta gradi sui vari livelli della società e spalmato a livello mondiale. E’ l’ottica che, seriamente, ha ispirato la relazione del professor Jo Groebel, direttore dell’European Institute for the Media, istituto di ricerca no profit fondato dall’ex direttore del Corriere della Sera, Alberto Cavallari. Jo Groebel ha voluto mettere in luce importanti potenzialità dell’informazione nel villaggio globale e digitale in relazione al singolo cittadino. La prospettiva più significativa sarà quella di personalizzare sempre di più il suo sempre più attivo rapporto con tutti i mezzi di comunicazione, che, peraltro, vanno verso la convergenza in un unico medium, annunciato da tempo da Negroponte. Significa, ad esempio, che con la televisione on demand potrà scegliere programma e orario, con il proprio telefonino potrà navigare in rete e seguire la Borsa. Inoltre, la realtà del singolo utente si fa metafora di una condizione soggettiva da salvaguardare in uno scenario sempre più virtuale.
La scommessa – afferma Groebel – resta quella, se vogliamo antica, di rispettare l’umanesimo e la cultura. Una scommessa che in particolare deve vivere l’Europa unita. Altrimenti la logica del profitto che regna nel mondo dell’economia, avrà campo di azione in qualunque ambito del villaggio della comunicazione globale in tempo reale. Più umanesimo – pensiamo – significa allora, senza tante implicazioni filosofiche, vita reale dei popoli: affetti e sentimenti, dignità e lavoro. Certamente qualcuno all’interno del popolo di Seattle approverebbe ma non è detto che ci si metterebbe d’accordo sul come mettere in pratica tutto questo. Anche al convegno l’atmosfera si è scaldata quando Gianni Minà, giornalista ben noto che ha assunto recentemente la direzione di una rivista che si chiama Latinomerica, ha parlato di lobby economiche , “poteri più o meno occulti”, “dittature moderne che affamano interi popoli con l’autorizzazione della comunità internazionale e di un’informazione a caccia di tette famose”. E’ tornato il problema spettacolarizzazione, davanti alla quale non ci tiriamo mai indietro se l’ambito di discussione gira intorno ai sistemi informativi perchè, altrimenti, certi temi invocano analisi geopolitiche ben più complesse.
Di informazione si è parlato non solo come comunicazione di notizie ma anche come trasmissione di dati, in relazione all’informatica, che non a caso condivide la stessa radice linguistica. Internet, dunque, può essere considerata non solo come uno dei media ma anche come metafora della comunicazione di oggi: globale e in tempo reale. La globalizzazione è anche copertura globale dell’informazione. E qui, conservando la lezione sui rischi di un eccesso di tecnologia ma anche sulle potenzialità nuove, vale la pena di chiedersi quale sia la reale diffusione della World Wide Web nel mondo. Va detto che rappresenta lo strumento di comunicazione a crescita più rapida della storia: il telefono per raggiungere il 30% della popolazione ha impiegato 38 anni e la televisione 17 mentre Internet lo ha fatto in soli 7 anni. Si può trionfalmente affermare che ha cambiato il concetto di spazio e di tempo ma non si può dimenticare che il mondo resta diviso tra ricchi e poveri, tra istruiti e analfabeti, tra informatizzati e non. Nel concreto un computer costa all’abitante medio del Bangladesh una cifra pari a otto anni del suo reddito, mentre l’amercnao medio lo acquista con lo stipendio di un mese. In Kenya occorrerebbero 12 anni e in Sud Sudan non si riesce a calcolare perchè c’è ancora il baratto, per non parlare del fatto che non c’è energia elettrica. Ma è sbagliato pensare che resti l’Africa il fanalino di coda perchè situazioni altrettanto difficili si trovano nelle regioni più povere d’Europa, della Russia, delle zone dell’ex Unione Sovietca. Per non parlare poi degli squilibri di casa nostra: in Italia Internet ha raddoppiato negli ultimi due anni il numero di utenti, ha conquistato un italiano su quattro raggiungendo quasi i progrediti livelli della Francia, ma se si individua l’identikit del 95% degli internauti si scopre che ha meno di 44 anni, è giovane, maschio e del nord.
A uno sguardo globale inoltre che l’88% degli utenti Internet vive nei paesi industrializzati che rappresentano, però, solo il 17% della popolazione mondiale. Non si tratta di mettere in dubbio la positività di Internet, che rappresenta la chiave di accesso al terzo millennio. Resta da chiarire però che la magia attraverso la quale lo spazio si restringe, il tempo si contrae, le frontiere scompaiono è affidata a una rete che connette sempre di più chi è connesso ma rischia di escludere sempre di più chi è escluso. Rischia di diventare una conversazione dai toni alti che tacita chi ha poca voce, un discorso compattato che fa a meno di tutti gli spazi per inserirsi, proprio come il sistema digitale che compatta i dati. Tutto ciò va tenuto presente insieme con la consapevolezza che le forze del mercato da sole non correggeranno squilibri e disuguaglianze.
L’illusione che il processo di globalizzazione potesse funzionare secondo il principio dei vasi comunicanti, livellando miracolosamente le differenze nella qualità di vita dei popoli, è ormai superata. All’inizio del secolo scorso la proporzione della ricchezza tra Nord e Sud del mondo era in rapporto di 8:1, oggi è di 70-80:1. D’altra parte, è ormai un concetto acquisito quello per cui si deve seguire e gestire la globalizzazione e non lasciarla a se stessa. Proprio in occasione del G8 questo è stato ribadito da autorevoli pulpiti. Resta un esame di coscienza sempre valido: l’informazione dà conto abbastanza di questi dati e soprattutto delle possibili vie di fuga da un mondo sempre più sbilanciato tra chi ha il problema di come mantenere la linea, dosando o dissolvendo calorie, e chi ha ancora l’incubo di come riempire la pancia.? E’ sempre difficile raccontarli nelle stesse pagine.
Infine, visto che ci permettiamo un esame di coscienza, ci concediamo anche una raccomandazione: lasciamo aperta la comunicazione e vigile l’informazione sulle ragioni, anche confuse o mescolate, del cosiddetto popolo di Seattle, nonché popolo di Genova. E questo sia che i vertici si tengano in Italia sia che siano ospitati in altri paesi con spazi più o meno aperti. Ci dovremmo chiedere cosa avrebbe fatto Carlo Giuliano, nel dopo Genova, se la scena dell’estintore non fosse stata girata, cosa fanno o non fanno tanti suoi compagni di piazza all’interno o ai margini della società civile.
C’è ancora da domandarsi chi organizza in vista degli eventi i black block, o da approfondire le ragioni dei missionari che, come suor Patrizia Pasini o Frei Betto, non hanno esitato ad esserci a Genova, nonostante il tam tam informativo sui rischi del vertice, sul rischio annunciato che tutto venisse comunicato in secondo piano rispetto alla voce della violenza.

2001 G8 a Genova

Prima dei tragici sviluppi del G8 del 2001 a Genova, per approfondire alcuni dei tanti temi che faceva emergere, abbiamo realizzato una trasmissione speciale in diretta. Davvero speciale anche perchè frutto della collaborazione tra me e un altro collega italiano e rispettivamente altri due francesi e inglesi. Alcuni in studio, altri a Genova. Ne ripropongo qui la registrazione integrale:

21 luglio 2001

Romano Prodi 02/2001

La Carta dei diritti fondamentali e l’avvio dell’euro sono le più significative novità che l’inizio del Millennio ha portato all’Unione Europea. La moneta unica dei 15 Paesi membri per un anno affianca nelle operazioni finanziarie le monete locali. Da gennaio 2002 sarà moneta corrente ancora parallelamente a quelle tradizionali, ma solo fino a marzo dell’anno prossimo, quando diventerà l’unica valuta del vecchio continente. L’Euro è il simbolo di un’Unione che non può essere, però, solo economica ma anche culturale e istituzionale. E’ questo l’obiettivo della Carta dei diritti dei cittadini votata nell’ultimo vertice di Nizza, a dicembre scorso. Intende difendere i diritti fondamentali della persona, contro ogni forma di discriminazione, sfruttamento, abusi. Ma questa Carta si può considerare davvero la baseper la Costituzione dell’Europa unita? Risponde, nell’intervista di Fausta Speranza, Romano Prodi, presidente della Commissione Europea.

4/02/2001

Alessandro Forlani mi intervista sulla comunicazione

Tutti ricordiamo il G8 del 2001 a Genova, segnato dalla morte del giovane Giuliani in scontri con la polizia. Prima del vertice e dunque anche prima delle manifestazioni violente, avevo partecipato ad un convegno sulla comunicazione nella capitale ligure portando una relazione su comunicazione e globalizzazione. Mi ha raggiunto telefonicamente Alessandro Forlani, giornalista di Gr Parlamento. Qui c’è la registrazione di quel collegamento in diretta.

 

Arresti dopo rapina in banca

La mattina del 2 novembre 2005, andando a lavorare, mi sono ritrovata di fronte a una Banca di Via Leone IV a Roma nel momento in cui stavano uscendo tre rapinatori. Stavano anche arrivando uomini della Guardia di Finanza che con un’azione rapida e non cruenta ne acciuffano due. Il terzo scappa tra la tensione dei presenti. Vivo prima un momento di stupore, poi ringrazio Dio di non avere ancora con me mia figlia che ho appena lasciato a scuola… poi faccio un guizzo dietro una macchina e scatto le foto. E’ un giorno per me impegnativo di lavoro e solo sul tardi mando le foto a vari quotidiani. I principali mi snobbano. Pubblicano le foto Il Messaggero e L’Unità nelle pagine romane del giorno dopo:

3 nov. 2005

Sono appassionata di fotografia e non è una stranezza per un giornalista visto che il significato etimologico di fotografia è scrittura con la luce.