presentate al PE dall’Europarlamentare Salvatore De Meo (Ppe)
“Le sens de la soif”
“The sense of thirst”
Mentre laCorte Europea dei diritti dell’uomo condannava nel pomeriggio del 9 aprile 2024 la Svizzera in una sentenza in cui per la prima volta lega la tutela dei diritti umani al rispetto degli obblighi sul clima, al Parlamento Europeo a Bruxelles si discuteva di come l’Europa combatte con la doppia sfida della carenza idrica e delle inondazioni urbane: Pechino sta costruendo “citta’ spugne”; i Paesi europei che fanno? L’Italia spendera’ i 900 milioni del Pnrr stanziati da Bruxelles per i sistemi idrici colabrodo? In questi anni ha ricevuto centinaia di multe per infrazioni nel sistema idrico.
Se ne è parlato alla presentazione delle versioni (aggiornate e appena pubblicate) in lingua francese e inglese del libro “Il senso della sete” di Fausta Speranza (prima edizione in italiano nel 2021).
A presentare il libro nelle sue versioni in lingua è stato l’Onorevole Salvatore De Meo (Ppe) che ha sottolineato l’importanza di un approccio culturale teso a promuovere una “transizione giusta”: “il Partito Popolare Europeo porta avanti la sua battaglia per far capire che la sostenibilità ambientale deve essere accompagnata anche da una sostenibilità economica, sociale e produttiva”. Nel Sahel nell’ultimo anno il prezzo dell’acqua in bottiglia è aumentato di 400 volte, mentre “ormai tutto il mondo ha sete”, documenta Speranza. Ma non è solo storia di conflitti: Speranza racconta di iniziative di condivisione, perfino nel contesto del Vicino Oriente: esattamente tra israeliani, palestinesi e giordani. E non è solo storia di mercificazione: Speranza racconta di Paesi in America latina in cui fiumi e laghi hanno personalità giuridica.
In definitiva, non c’è pace per un mondo che ha sete. Il messaggio, trasversalmente internazionale, è argomentato dal libro che uno sguardo a 360 gradi su risorse idriche e relative dinamiche, appena pubblicato in francese oltre che in inglese (dopo la prima edizione in italiano nel 2021).
Il libro:
Titolo: Il senso della sete. L’acqua tra geopolitica, diritti, arte e spiritualità
Autrice: Fausta Speranza
Con una lettera all’autrice di Papa Francesco
Prefazioni di Vandana Shiva e Pasquale Ferrara
Introduzioni di Francesco Profumo e Leonardo Becchetti
Postfazione di Stefano Ceccanti
(€ 17,00 – pag. 256)
Il libro ha ispirato una Mis En Scène curata dall’attore Paolo Minnielli con la partecipazione di tre leader religiosi: il rabbino Ariel Di Porto, il segretario generale della Grande Moschea di Roma Abdellah Redouane, la teologa Linda Pocher dell’Auxilium. (https://www.meridianoitalia.tv/index.php/ambiente/570-se-l-acqua-e-sacra).
Fausta Speranza partecipa al progetto AQUAE, lanciato il 22 marzo scorso nella Giornata mondiale dell’acqua 2024 che coinvolge 1.000 studenti delle scuole di secondo grado di Roma, promosso dall’Università di Roma Foro Italico, con l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino Centrale e con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica; Ministero dell’Agricoltura della Sovranità Alimentare e delle Foreste; Ministero per lo Sport e i Giovani; Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale; Istituto Superiore di Sanità; Regione Lazio e Comune di Roma.
Autorità di Bacino distrettuale dell’Appenino Centrale e Università del Foro Italico al Teatro Olimpico con 1000 studenti
sul tema: acqua, prosperità e pace
Roma, 22 marzo 2024 – In occasione del World Water Day 2024 è tornata – in terza edizione – l’iniziativa AQUAE!: al Teatro Olimpico si è parlato questa mattina dei legami tra acqua, prosperità e pace, alla presenza di oltre 1000 studenti delle scuole secondarie di secondo grado di Roma.
A offrire spunti di riflessione tra attualità e cultura è stata Fausta Speranza giornalista e scrittrice, autrice del libro “Il senso della Sete” che, commentando il rapporto ONU Water for Peace, ha parlato del ruolo dei media e di una corretta informazione, di quello delle società civili e delle culture locali, facendo riferimento a situazioni in tutto il mondo.
L’evento di divulgazione scientifica dedicato alle risorse idriche e ai cambiamenti climatici e pensato per i giovani è promosso dall’Università di Roma Foro Italico, quest’anno in collaborazione con l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino Centrale e con il patrocinio di: Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica; Ministero dell’Agricoltura della Sovranità Alimentare e delle Foreste; Ministero per lo Sport e i Giovani; Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale; Istituto Superiore di Sanità; SItI – Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica; d Regione Lazio; Comune di Roma, Comitato Nazionale Italiano Fair Play; Federazione Ginnastica d’Italia.
A dare il via Marco Casini, Segretario Generale dell’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino Centrale, che innanzitutto ha annunciato che “l’Autorità investirà nei prossimi anni importanti risorse nella divulgazione scientifica e nell’organizzazione di iniziative come Aquae”. Casini ha sottolineato che l’Autorità ha “il dovere di coinvolgere le nuove generazioni, di informarle e formarle su temi di estrema rilevanza come quelli della gestione e della tutela delle risorse idriche con l’obiettivo di sensibilizzarle su comportamenti virtuosi che possano indirizzare lo sviluppo del territorio verso una sempre maggiore sostenibilità”.
Ad aprire il dibattito Sabrina Alfonsi, Assessora all’Ambiente e alle Politiche Agricole del Comune di Roma; Attilio Parisi, Rettore dell’Università di Roma Foro Italico, unico ateneo italiano specializzato in sport, scienza e salute; Vincenzo Romano Spica, coordinatore scientifico di AQUAE e direttore del Laboratorio di Epidemiologia e Biotecnologie dell’Università di Roma Foro Italico; Beatrice Covassi, europarlamentare della commissione per l’Ambiente e Sanità Pubblica ha sottolineato il legame profondo tra diritti ambientali e salute.
Claudio Barbaro, Sottosegretario al Ministero dell’Ambiente e sicurezza Energetica, ha inviato ai ragazzi un messaggio, in cui ha lanciato un appello alla “cultura della salvaguardia” ribadendo “l’impegno del Ministero attraverso un programma di educazione ambientale con l’obiettivo di diffondere una vera cultura della tutela ambientale e del rispetto delle risorse naturali”.
L’urgente tema della sicurezza dell’acqua alla luce della nuova normativa europea è emerso negli incontri con Enrico Veschetti ricercatore dell’ISS, Cristian Carboni membro del Water Europe, e Alberto Spotti di Aquaitalia.
Diretto il video di Richard Connor Editor in Chief UNESCO World Water Assessment Programme (WWAP).
Presentato inoltre agli studenti lo spettacolo itinerante del divulgatore scientifico Fabio Cappa, “Non c’è più tempo”, che si propone di diffondere tra i giovani una consapevolezza critica su come le scelte finanziarie possano influenzare positivamente il pianeta, promuovendo al contempo pratiche di investimento responsabile che tengano conto degli standard ESG.
A moderare Savino Zaba. Tanti gli artisti, gli ospiti e personaggi dello spettacolo che hanno partecipato o rilanciato l’iniziativa. Tra questi, Eleonora Vallone Presidente dell’AQUA Film Festival gemellato da quest’anno con AQUAE nel coinvolgimento delle scuole; Antonio Mezzancella showman, imitatore e cantante; Salvatore Masucci chitarrista; la cantante Santa Fè; il “violinista Jedi Andrea Casta – tra le star musicali più seguite sui social – che affianca l’iniziativaA istituzionale sin dal primo anno, aprendo ogni edizione di AQUAE con la sua musica in grado di far viaggiare gli spettatori con effetti immersivi tra natura e futuro, spaziando tra pop, elettronica e dance music.
“Celebrare la Giornata mondiale dell’acqua sensibilizzando con questo appuntamento centinaia di studenti è un modo davvero efficace per trasmettere la cultura della salvaguardia di questo bene vitale per l’essere umano. Educare i giovani, e non solo, su questo argomento, è di prioritaria importanza ed è per questo che al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica è in atto un programma di educazione ambientale, attraverso il quale siamo convinti di centrare l’obiettivo di diffondere una vera cultura della tutela ambientale e del rispetto delle risorse naturali”, così il Sen. Claudio Barbaro, Sottosegretario di Stato al MASE”
“Nella ricorrenza del World Water Day occorre ribadire che l’accesso equo e sostenibile all’acqua per tutti è un tema di primaria urgenza che richiede l’attivazione di sinergie a livello locale, nazionale ed internazionale ponendolo al centro dell’agenda mondiale. Si tratta di affermare un diritto umano essenziale e universale che anche Roma Capitale ha introdotto come principio cardine nel suo Statuto. Ma il problema dell’accesso all’acqua e della tutela di questa risorsa fondamentale è anche una questione educativa e culturale per stimolare la consapevolezza dell’importanza dei nostri comportamenti proprio a partire dalle giovani generazioni. L’evento Aquae, per il quale voglio ringraziare gli organizzatori Prof. Attilio Parisi Rettore Università di Roma Foro Italico, il Prof. Marco Casini Segretario Generale dell’Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Centrale, il Prof. Vincenzo Romano Spica Direttore Scientifico di AQUAE e gli studenti presenti, è un’occasione preziosa per diffondere i principi della responsabilità etica, morale e politica sulla tutela dell’acqua come bene comune universale” dichiara Sabrina Alfonsi, Assessora all’Agricoltura, Ambiente Ciclo dei rifiuti di Roma Capitale
“Abbiamo il dovere di coinvolgere le nuove generazioni, di informarle e formarle su temi di estrema rilevanza come quelli della gestione e della tutela delle risorse idriche. L’Autorità di bacino dell’Appennino centrale investirà’ nei prossimi anni importanti risorse nella divulgazione scientifica e nella organizzazione di iniziative come Aquae, al fine di sensibilizzare le nuove generazioni verso comportamenti virtuosi che possano indirizzare lo sviluppo del territorio verso sempre una maggiore sostenibilità” commenta Marco Casini, Segretario Generale dell’Autorità di Bacino distrettuale dell’Appennino Centrale.
“In questa iniziativa che portiamo avanti da 20 anni, presentiamo scoperte, norme, su acque a partire da quelle per lo sport e piscine, per arrivare a una prospettiva a 360 gradi. Promossa dal laboratorio di Epidemiologia e Biotecnologie, che studia acqua in diverse linee di ricerca, è una azione di III MISSIONE aperta a scuole, giovani, popolazione, in cui diffondere conoscenze e i risultati nostre ricerche” dichiara Attilio Parisi, Rettore Università di Roma Foro Italico.
“Abbiamo previsto un flash hub, dedicato alle scuole per conoscere il DNA delle acque, la biodiversità e con loro fare ricerca per un domani sostenibile! Faremo una mappa italiana del microbiota delle acque, un esercizio per educare al valore dell’acqua e coinvolgere giovani a fare scienza anche con le ultime tecnologie della genetica molecolare. A ottobre condivideremo i risultati, oggi è solo l’inizio di un nuovo scambio tra giovani e università, uniti dall’acqua” conclude Vincenzo Romano Spica, Direttore Scientifico di AQUAE Università Foro Italico
Il 28 aprile Papa Francesco si recherà alla 60esima Esposizione Internazionale d’Arte. Si tratta della prima volta che un Papa visita la Biennale di Venezia, che quest’anno si svolgerà, sul tema Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere, dal 20 aprile al 24 novembre 2024 e ospiterà il Padiglione della Santa Sede intitolato With My Eyes. L’allestimento della Santa Sede, installazione fisica e concettuale, ha coinvolto artisti internazionali e si svolgerà all’interno della Casa di reclusione femminile Venezia Giudecca, offrendo una declinazione particolare della questione dei diritti umani e della figura degli ultimi. Significati e valori che accompagnano l’iniziativa sono stati presentati questa mattina in Sala Stampa Vaticana.
Rispondendo alle domande dei giornalisti, il prefetto del Dicastero per la Cultura e l’educazione, cardinale José Tolentino de Mendonça, ha chiarito che «la Chiesa si attende un vero dialogo con gli artisti e non che siano cassa di risonanza». Ha ricordato che «Papa Francesco riconosce l’importanza del senso critico degli artisti che aiuta a pensare», per poi parlare di una polifonia che contiene qualcosa di inatteso o diverso che, anche nelle sue espressioni radicali, può offrire interrogativi o suggestioni utili a rintracciare, ricostruire una visione del sacro. Ha ribadito, dunque, che «la Chiesa si attende un dialogo vero con il mondo e le dinamiche degli artisti».
In conferenza stampa, oltre alla riflessione del porporato pubblicata in questa pagina, sono intervenuti Giovanni Russo, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia della Repubblica italiana; i curatori del Padiglione della Santa Sede, Chiara Parisi e Bruno Racine, che si distinguono tra i curatori più importanti nel panorama artistico internazionale; e il Chief governance officer di Intesa Sanpaolo Paolo Maria Vittorio Grandi. Ha moderato l’incontro Cristiane Murray, vicedirettore della Sala Stampa Vaticana.
Giovanni Russo ha raccontato della profonda emozione provata nel rispondere alla proposta di ospitare in carcere la mostra voluta dalla Santa Sede, ricordando che «trasformare l’attesa in speranza è lo scopo degli istituti penitenziari: l’attesa di tornare a vita diversa da quella che ha portato a subire una condanna». Si tratta del «compito difficile di produrre una revisione critica dell’agito che ha condotto alla condanna e alla reclusione». Sono tante le iniziative che avvicinano le persone detenute all’arte, ha detto Russo per poi sottolineare però che nessuna è comparabile con quella voluta dalla Santa Sede per il coinvolgimento relazionale, per lo spessore in termini artistici nonché mediatici. Inoltre, «la partecipazione delle detenute ha raggiunto livelli mai visti».
Gli artisti coinvolti sono otto: Maurizio Cattelan, Bintou Dembélé, Simone Fattal, Claire Fontaine, Sonia Gomes, Corita Kent, Marco Perego & Zoe Saldana e Claire Tabouret. Il punto è che le detenute, di età intorno ai 40 anni, “ospitano” l’evento negli spazi comuni dell’Istituto penitenziario e contribuiscono alle creazioni artistiche. Il catalogo sarà curato da Irma Boom e pubblicato da Marsilio.
Chiara Parisi ha parlato di «serbatoi di doppia creatività», di «moltiplicata energia creativa degli artisti nutrita dalla forza delle detenute». Una forza che in alcuni casi ha significato condividere foto dell’infanzia o di figli, in altri casi è stata veicolata dai componimenti poetici scritti per gli artisti dalle detenute stesse. In sostanza si mette in contatto il vissuto con i valori universali di solidarietà, di coraggio, di pace veicolati attraverso la bellezza. Si declinano in modi molto diversi: dai workshop alla danza, dalle performance ai dipinti.
Dell’esperienza dei visitatori ha parlato Bruno Racine, mettendo in luce come nell’arte contemporanea si possa cercare e individuare «una dimensione spirituale al di là della materialità dell’opera». Si tratta — ha spiegato — di un’esperienza di visita in un luogo particolare per accedere al quale bisogna lasciare documenti e telefonino. «L’unicità della Santa Sede, Stato unico e senza scena artistica nazionale, ha spinto a sperimentare una nuova formula», ha confidato Racine aggiungendo che «la scelta della location è un manifesto, una dichiarazione di attenzione per percorsi particolari di vita mentre la scelta di coinvolgere artisti provenienti da diversi Paesi e senza distinzione di fede testimonia un messaggio universale di inclusione».
È stato ricordato che il carcere femminile Venezia Giudetta è un luogo storico dalla metà dell’Ottocento: è stato un convento al quale venivano affidate donne che la Repubblica di Venezia riteneva dovessero essere “convertite” a vita più degna. In seguito è stato trasformato in una casa di reclusione senza perdere il target femminile. Oggi si trova al centro di una iniziativa che non lo coinvolge solo come luogo di esposizione ma anche come microcosmo relazionale in cui il lavoro artistico si offre nella consapevolezza del contesto.
Parole di ringraziamento per l’invito a partecipare seppure a diverso titolo sono state espresse da Paolo Maria Vittorio Grandi, che ha ricordato che sono varie le iniziative di Intesa San Paolo in altri istituti penitenziari, come a Caserta, Bari, Foggia, con un’attenzione alle famiglie dei detenuti, in particolare ai figli. Grandi ha ricordato l’invito di Papa Francesco a creare modelli di sviluppo in grado di generare soluzioni nuove per aiutare individui e comunità, e ha affermato che si deve parlare di piani di impresa e non di isolati gesti caritatevoli.
Emerge l’idea di andare oltre ogni desiderio di voyeurismo o di giudizio, assottigliando i confini tra osservatore e osservato, tra chi giudica e chi viene giudicato. E nella convinzione che l’arte sia in grado di esplorare il linguaggio delle emozioni in tutte le sue sfumature facendosi mezzo di comunicazione sociale, la soglia da attraversare è anche quella tra bellezza e speranza.
Alla ricerca delle radici d’autore ne «La cetra e la penna»
23 febbraio 2024
Non sono tutte «solo canzonette», come diceva, ironizzando, un autore del calibro di Edoardo Bennato. Anche se è difficile definire confini e stabilire il livello di “nobiltà intellettuale”, la poesia, quando c’è, si impone. È con questa consapevolezza che ormai dagli anni Cinquanta siamo abituati a fare distinzioni tra prodotti diversi che rientrano in ogni caso nella cosiddetta popular music, che era e resta strettamente connessa all’industria dell’intrattenimento e della comunicazione. L’obiettivo è intravedere la poesia, viva ma nascosta in luoghi da cui è sempre più difficile estrapolarla, anche perché in sostanza gli strumenti tradizionali con cui veniva analizzata e giudicata non funzionano più. In questo contesto offre spunti di riflessione il libro di Marco Testi La cetra e la penna (Roma, Àncora, 2024, pagine 206, euro 19) che mette in luce tracce del filo rosso che ci porta «dalla letteratura alla canzone d’autore», come si legge nel sottotitolo.
Anche nell’ambito del fenomeno di massa, le canzoni possono regalare più di quello che un suggestivo passaggio sonoro o una strofa riuscita o un ritornello efficace siano in grado di offrire. L’esplorazione del significato per così dire autentico di un brano pop passa però attraverso la sensibilità o insensibilità di critici e tempi. E troppo spesso, ad esempio, si è cercato tra le note e tra le righe la valenza politica, mettendo l’accento esclusivamente sui cantautori impegnati sul piano sociale. È stato fatto non senza forzature o pregiudizi, come ha messo in luce lo storico Eugenio Capozzi nel volume Innocenti evasioni. Uso e abuso politico della musica pop (2013), che ha aperto a un’operazione di tipo diversa: ricercare, liberi dalla lente della politica, quello che può essere riconosciuto in termini di significati e cultura. Meno soggettiva, nonché molto interessante, può essere, dunque, l’individuazione di radici o spunti di quel ricchissimo bagaglio culturale che l’Occidente offre dall’Ecclesiaste in giù.
Indubbiamente l’intreccio tra note e parole di alcune canzoni che si sono imposte nella cultura contemporanea tradisce l’eco di espressioni e immagini “d’autore”. In La cetra e la penna i richiami vengono proposti in chiave tematica, cioè in capitoli dedicati a grandi orizzonti esistenziali come il viaggio, la noia, la solitudine, la morte, la follia. C’è anche il tema della risposta a meccanismi imperanti pure nell’ambito culturale: le famose leggi del mercato, secondo le quali, come affermava Oscar Wilde «tutti conoscono il prezzo delle cose ma pochi ne conoscono il valore».
Come illustra l’autore, considerando l’ambito italiano, tra i testi di artisti come Battiato, Dalla, De André, De Gregori, Vecchioni ritroviamo impronte letterarie di tutti i tempi, da Dante a Joice, da Omero a Baudelaire. E c’è anche il «grande codice dell’Occidente», come il cardinale Gianfranco Ravasi ha definito la Bibbia, ricordando che ha insegnato «a intrecciare nel pensare, scrivere e cantare, spirito e corpo, mito e storia, mistica e amore, sacro e profano, ma soprattutto Dio e uomo».
Nei secoli sono diverse e affascinanti le variabili della declinazione musicale dell’agone poetico, di cui la cetra e la penna sono gli emblemi. Ad esempio, la studiosa Ester Pietrobon nel libro intitolato proprio La penna interprete della cetra (2019) si è soffermata sugli anni del Rinascimento, cruciali per la storia della cristianità occidentale e per la letteratura italiana. Si tratta degli anni dei “volgarizzamenti” biblici, e dunque anche della riproposizione in lingua volgare della poesia dei Salmi, e meglio che in altri contesti si avverte la ricchezza del rapporto dinamico tra metrica, sintassi, ipotesto. Una ricchezza da non dimenticare.
Tornando a tempi più recenti, si può dire che, pur tra diversi limiti e distinguo da fare, a partire dalla seconda metà del Novecento, la canzone ha progressivamente occupato gran parte del ruolo sociale che prima spettava alla poesia. È difficile per le nuove generazioni immaginare come agli inizi del secolo scorso un liceale, ovviamente della minoranza che aveva accesso allo studio, cercasse nei libri di contemporanei, da D’Annunzio a Montale, quello che il suo equivalente moderno cerca oggi nei testi di cantanti preferiti. Il punto è che con il tempo, ci piaccia o non ci piaccia, i confini fra cultura “alta” e “bassa” si sono fatti più sfumati. Si usa il termine middlebrow per individuare un tipo di produzione culturale e artistica che si situa subito al di sotto della tradizionale cultura “alta” e che però è adatta all’intrattenimento delle grandi masse alle quali si dice che, a seconda dei punti di vista, fornisca la possibilità o l’illusione di accedere facilmente a prodotti culturali socialmente prestigiosi. Secondo gli studiosi, il middlebrow comprende anche la fascia più “nobile” che si è creata nell’ambito della musica leggera e che per quanto riguarda l’Italia si identifica proprio con i cantautori “storici” del secondo Novecento. Anche per questo può essere importante individuare tracce del bagaglio culturale del passato di cui si sono “nutriti” questi cantautori, sperando che continui a essere fonte di ispirazione per quell’affascinante magia che in tutti i tempi fonde parole, note, pause e intervalli.
Per il Giornalismo Roberto Rossi, Manuela Biancospino, Fausta Speranza, Manuela Lucchini e Margerita Romaniello in qualità di Presidente della Lucana …
La guerra di per sé è un crimine contro l’umanità, la pace è sempre possibile: sono parole di Pasquale Ferrara, direttore generale degli Affari politici e della sicurezza del ministero degli Esteri, intervenuto al dibattito voluto in vista della Giornata della Memoria da padre Davide Carbonaro, parroco di Santa Maria in Portico in Campitelli, nel pomeriggio del 18 gennaio. Ferrara parla dell’importanza di «costruire rapporti di fiducia proprio là dove prevalgono le logiche del conflitto, non limitandosi a stringere i legami tra Paesi già alleati e amici». Ricorda il ruolo e le potenzialità degli strumenti della diplomazia sottolineando l’urgenza di «un’agenda positiva» per i leader internazionali.
«Riuscire a trasformare i nemici in amici è uno dei compiti della diplomazia», afferma Ferrara, spiegando che «alla base delle relazioni internazionali c’è la fiducia: se manca, non ci sono relazioni internazionali in grado di assicurare la pace». Parlando dei conflitti in corso in Ucraina e nello scenario israelo-palestinese, spiega che «ci troviamo a confrontarci con delle negazioni: Putin nega l’esistenza dell’Ucraina come Paese indipendente, Hamas nega l’esistenza stessa di Israele che a sua volta ha negato per lungo tempo ai palestinesi il diritto di costituirsi come Stato». Il punto è che «con le negazioni non si arriva a nulla: bisogna dare corpo a un’agenda positiva, cioè occorre non cancellare Stati ma inserire più Stati possibili nella carta geografica, per garantire loro un’esistenza pacifica».
«Non esiste una guerra giusta — afferma l’ambasciatore —. Oltre a parlare di crimini di guerra si dovrebbe riconoscere che la guerra in sé stessa è un crimine. Solo riconoscendo il dolore dell’altro si può evitare il rischio della disumanizzazione del nemico: riconoscersi nella comune umanità, come dice Papa Francesco, è un punto fondamentale anche per la diplomazia. C’è sempre un giorno dopo».
Antonello Blasi, docente di diritto Ecclesiastico e concordatario alla Pontificia Università Lateranense, offre spunti di riflessione sull’evoluzione dell’istituto concordatario e delle conventionesdal punto di vista della Santa Sede, sottolineando come «dal Vaticano II viene elaborato un nuovo sistema di dialogo, fino all’attuale politica ecclesiastica che coinvolge anche interlocutori normalmente non legittimati a condividere tavoli di trattative». Nella consapevolezza che «sono importanti le dinamiche del dialogo e della cooperazione proprio dove c’è distanza di posizioni e che l’attività di pace deve essere presa “insieme” e non separatamente». Ribadisce che il principio di buona fede attua il pacta servanda sunt e che «preliminare a qualsiasi tipo di accordo è l’educazione ai valori di ogni singolo attore che solo così diventa strumento di pace» .
Per comprendere l’attualità è sempre prezioso lo sguardo al passato, ai fatti accaduti, alle scelte dei grandi ma anche dei piccoli personaggi che fanno la storia. E il pensiero va alla Shoah. «Di fronte a qualcosa di così ingiusto i cristiani hanno saputo prendere posizione»: così Grazia Loparco, salesiana ordinaria di storia della Chiesa alla Facoltà di Scienze dell’educazione Auxilium, descrive l’impegno delle case e degli istituti religiosi romani nel salvare gli ebrei durante la Seconda guerra mondiale. Cita Primo Levi che ha conosciuto di persona: «La testimonianza è un dovere nei confronti delle giovani generazioni. Le parole hanno un peso». Come cristiani, «non si poteva restare indifferenti», dice Loparco sottolineando che «molti familiari di ebrei soccorsi raccontano di una solidarietà espressa da parte di religiose nel profondo rispetto del credo altrui». Quanti hanno salvato ebrei avevano capito che erano innanzitutto persone: «Non avrebbero rischiato così tanto se non avessero creduto nella dignità della persona umana». Nelle case religiose così come in una famiglia non rischiava solo una persona, ma l’intera comunità. «Oggi, invece, si è perso il senso del noi». Si tratta di tutte storie che hanno trovato conferma attraverso precisi riscontri, assicura Loparco, parlando di documentazione scritta ma anche di interviste ai superstiti. E proprio «l’approccio orale ha dischiuso, in alcuni casi dopo anni, la memoria preziosa di fatti taciuti per varie ragioni, tra cui il dolore e il pudore».
È lo storico Matteo Luigi Napolitano, dell’Università degli Studi del Molise e consulente del Pontificio Istituto di Scienze Storiche, a mettere in luce il contributo importante, per la ricostruzione del periodo della Seconda guerra mondiale, assicurato dall’apertura, il 2 marzo del 2020, degli Archivi vaticani. Spiega, ad esempio, che proprio l’accesso in particolare all’Archivio Storico della Segreteria di Stato ha permesso di “scoprire” che il Vaticano in occasione del processo di Norimberga aveva ragguagliato i giudici inviando materiale “segreto”, documenti e dispacci, sullo stato dei rapporti tra Santa Sede e Germania. Sottolinea che attualmente il sistema di digitalizzazione di questo archivio consente agli studiosi di entrare contemporaneamente sulla stessa pagina o documento, senza attese per la consultazione, parlando di «una garantita capacità di accesso rara». L’obiettivo resta quello di fare memoria storica degli orrori ma anche dell’umana fratellanza che ad essi sopravvive.
perché non sia solo memoria dei tragici fatti della Shoah ma anche delle mani tese
In vista della Giornata della Memoria 2024
storie vere di ieri e di oggi: se ne è parlato il 18 gennaio al dibattito organizzato alla Sala Baldini di Santa Maria in Portico in Campitelli
A tessere le fila di un pomeriggio denso di contributi costruttivi è stata la giornalista Cristiana Caricato, vaticanista di Tv2000, che ha sottolineato la responsabilità dei media nel contrastare fake news e narrative di odio dando spazio alla ricerca della verità e del bene condiviso.
“La guerra è un crimine in sé, la pace è sempre possibile”: così Pasquale Ferrara, Direttore generale degli Affari politici e della Sicurezza del ministero degli Esteri, all’evento
Antonello Blasi, docente di diritto alla Pontificia Università Lateranense, ha offerto spunti di riflessione sull’evoluzione del concetto di accordo e concordato dal punto di vista della Santa Sede
nella foto con padre Davide Carbonaro
e padre Luigi Piccolo rettore generale dell’Ordine Madre di Dio
suor Grazia Loparco, autrice dei più completi studi sugli ebrei salvati a Roma tra il ’43 e il ’44
E’ stato presentato il libro “Uccisero anche i bambini” (edizioni Ares)
di Manuela Tulli e Pawel Rytel Andrianik che racconta la toccante storia della famiglia Ulma, che in Polonia, durante l’occupazione tedesca, tentò di salvare famiglie ebree nascondendole in casa. Scoperti, vennero uccisi nel 1944 con i loro figli. I coniugi Ulma sono stati riconosciuti Giusti tra le nazioni in Israele e il 10 settembre 2023 sono stati proclamati beati insieme con i loro sette figli. Si scopre una famiglia gioiosa negli affetti che sceglie di rischiare la vita nell’impossibilità di accettare la logica della barbara persecuzione nazista.
E’ stato proiettato “Quel sabato nero”
docufilm di Fausta Speranza con la regia di Stefano Gabriele (produzione Framexs), che dagli appartamenti di Mussolini arriva alle stanze di Pio XII, passando proprio per la chiesa di Santa Maria in Portico in Campitelli. E’ la vicenda della famiglia ebrea Terracina nascosta il 16 ottobre 1943 dai coniugi Cencelli Luisa e Armando, stretto collaboratore del Papa.
***
Di seguito pubblichiamo il contributo/riflessione che con particolare simpatia e cortesia il professor Antonello Blasi ci ha consegnato alla fine dell’evento in cui ha parlato a braccio:
“L’evento per me ebbe inizio alle ore 11:06 del 31 dicembre 2023 mediante alcuni messaggi di whatsapp tra due neo-amici.
F. UN NEMICO PER AMICO era una bozza di titolo per l’evento odierno .
A. Il titolo è bello ma il contenuto? se parla di famiglie ebree salvate dai “vicini”, non è congruo perchè non c’è stata una guerra tra italiani ed ebrei peraltro anch’essi italiani almeno da 2100 anni, non stranieri, immigrati nè turisti. Ergo, non nemici. Andava bene se parliamo di italiani e americani o inglesi. Non conosco il contenuto globale quindi dal program che mi invierai posso dedurre la congruità o meno del titolo che mi hai “lanciato”.
F. Diciamo che con le leggi razziali gli ebrei erano nemici da annientare dei tedeschi e gli italiani erano loro alleati …tanto è vero che molti li hanno denunciati…
A. E’ una transitività che non condivido, premesso che il “molti” potrebbe essere “tanti” o “alcuni” dipende da quali parametri statistici si parte e da quale ottica politica si innesta nella statistica (come nei conteggi dei partecipanti ad un corteo, a una processione, o ad una piazza). Questo sillogismo (gli amici dei miei amici sono miei amici così i nemici dei miei amici sono miei nemici) non regge e, anzi, oggi rialimenta divisioni che non appoggio come sollecitazioni nè personali nè mediatiche, nè tantomeno strumentali o demagogiche da qualsiasi direzione provengano, dietro, davanti, sopra, sotto, di lato e dall’altro.
Se poi l’alimentatore è una politica con la p minuscola che usa o cavalca il sempre ammirevole et esemplare attivismo degli italiani di origine o meglio di religione ebraica e non ebrei italiani (al pari degli attivisti radicali veramente impegnati, assidui, sempre sul pezzo) in questo periodo di guerre comunicate e pubblicizzate spesso per contrapposizioni partitiche interne (e di esempi al momento c’è di che donde) riprendo il pensiero del Prof. Cacciari portandolo sulla mia strada che oggi qualsiasi, proprio qualsiasi, notizia si frammenta e scorre via nei migliaia di rivoli della Rete, dematerializzata dal fattore tempo così rapido che un pandoro non arriva neppure alla befana o epifania e quel che ci arriverà sarà ormai solo l’ennesima indiretta, voluta o meno, pubblicità.
L’altra conseguenza di questa transitività è la continua autodistruzione italiana e oggi anche europea (anche se io auspico l’utopistico Stati Uniti d’Europa o la giovane Europa di mazziniana memoria, con il rientro inglese ma abolendo la sterlina come è stata abolita la bimillenaria dracma greca, introducendo il sistema decimale e guidando come gli europei con lo stesso volante a sinistra e la corsia di destra), distruzione rectius declino eutanasia evidente della, stavolta si, vecchia Europa, a tutto vantaggio dei non più nuovi e giovani paesi emergenti !
Spero che mi sia fatto comprendere: le nostre italiche divisioni dalle più piccole in scala a salire favoriscono gli attuali forti poteri terzi che hanno potenza economica e materie prime.
Mi fai riflettere sulla transitività… Ovviamente è prezioso quello che dici… Provo a ragionare con te… forse possiamo salvare un’espressione spiegandola… intendo: non credi che a volte la percezione del nemico sia più importante delle dichiarazioni di guerra?
L’espressione è la sintesi che colpisce come dardo di balestra e resta dentro. La spiegazione è lenta come una delibera di un parlamento democratico, o una relazione di una conferenza, utile al saggio ma inutile alla moltitudine che è stata trafitta dal dardo; come il titolo rispetto l’articolo, è lo stesso prodotto.
E la percezione dell’espressione, spesso e purtroppo, è pregiudizio; dunque resto ai fatti e anche il solo “molti” o “tanti” o “alcuni” può tradire un pregiudizio anziché una raccolta di fonti e di dati che, se non è direttamente eseguita, lascia amplissimi margini di strumentalizzazione .
Per esempio la mia percezione e non pregiudizio: è che Te sei una donna interessantissima. Parlo della ‘nostra’ Fausta Speranza con cui intavoliamo messaggi di tal fatta.
Ora permettetemi di entrare dalla questione pregiudiziale a quella di merito, con due episodi storici, reali, testimoni viventi e diretti.
Il primo : Una signora di Monteverde che attraversava Roma in bicicletta per andare a cucire vestiti per bambini, di ritorno vide a viale del Re (viale trastevere oggi) camion di tedeschi fermi. Chiese e gli dissero che stavano prendendo le famiglie ebree. Corse a casa davanti all’ospedale San Camillo/Forlanini e avvisò le due famiglie ebree, i Di Porto al piano di sopra e i Montani all’ultimo piano.
Queste riuscirono a fuggire verso via del Casaletto che allora era aperta campagna era il 1943. Gli uomini si nascosero per l’intero anno in quella zona, le donne tornavano la sera e Nonna Mafalda le riceveva di nascosto per mangiare e dormire finché la portiera, all’epoca sempre accorte, gli disse che qualcuno aveva notato e stava avvisando i tedeschi del rientro notturno delle donne mamme e figlie ebree nelle loro case. Così le stesse rassicurarono la signora Mafalda e restarono per alcuni mesi con gli uomini in campagna. Nel 1944 come entrarono gli americani tornarono nelle loro case e rimasero amiche per anni e anni con Mafalda e la piccola Gabriella che aveva 10 anni e che mi ha narrato la storia perchè da grande si frequentò con la figlia di una delle famiglie.
Il secondo : nel cuore di Trastevere a via della Luce angolo Vicolo del buco il ragazzetto Ennio di 15 anni, in finestra vide arrivare un camion di tedeschi. Subito gli uomini e i giovani fuggirono sui tetti e scesero dal suo palazzo per darsi alla fuga, le donne pensavano che loro non fossero portate via ma non era così. Un ragazzo roscio scese tranquillo tra i tedeschi con in spalla la bicicletta e si allontanò indisturbato. Era ebreo ma nessun tedesco pensò lo fosse tanto era roscio ! Due ragazzini vennero presi da un tedesco ma mentre li trascinava uno dei due si calò i pantaloni e mostrò che non era circonciso; in quel momento il macellaio uscì dal negozio e il tedesco pensando fossero suoi figli gli diede un ceffone e li strattonò verso il macellaio che li prese e li nascose in bottega. E si salvarono.
La prima testimonianza me l’ha riferita .. Gabriella mia suocera di 88, la seconda Ennio … mio suocero, di 92 anni ! Bisognerebbe intervistarli per non perdere queste e ulteriori testimonianze.
Nel discorso del Papa Francesco dell’otto gennaio 2024 al Corpo diplomatico nelle pieghe delle parole dove guerra è quella che emerge a macchia di leopardo, ricaviamo tutto il filone del diritto (civile, internazionale e umanitario) che ha utilizzato. Invito a rileggere il discorso e troverete i diritti umani della persona, il principio della convivenza internazionale, il diritto alla legittima difesa, la tutela degli immigrati, il diritto di asilo, la detenzione arbitraria, il diritto alla vita umana, il principio della responsabilità democratica, la cartina tornasole di tutte le libertà, ovvero la libertà religiosa. E anche la persecuzione violenta e anche quella sottile, subdola, dei cristiani nel mondo attuale (ben maggiore di quella dei primi secoli, dati letti alla metà di gennaio del 2024 sul quotidiano Avvenire: ben 360 milioni di cristiani perseguitati attualmente e questo emerge sempre pochissimo nei media), il diritto/dovere all’educazione e all’istruzione, alla proprietà intellettuale diffusa e non appannaggio di oligarchie pseudodemocratiche ed infine anche il diritto a quella libertas ecclesiae che permette di portare avanti tutti questi valori formati da doveri/diritti nei vari ordinamenti locali, nazionali, statali, sovranazionali e internazionali.
Sono questi doveri/diritti che aiutano a crescere, maturare il senso di rispetto per la costruzione di una civiltà dell’amicizia e quindi dell’amore, quello con la A maiuscola conosciuto ancora da pochissimi per buona pace di Raoul Follereau.
L’amicizia quella con la A maiuscola non fa differenze di età, sesso, religione. Vive si di sentimento ed emozioni ma si fonda sull’educazione ai valori, ai valori fondamentali irrinunciabili, imprescrittibili, inalienabili, quelli che nessuna democrazia (nè dittatura) può permettersi di cancellare dalla sua carta fondamentale, e tantomeno disattendere nei fatti.
Non è la cittadinanza a formare l’amicizia (semmai ne è un effetto non causa) ma l’applicazione serrata e quotidiana dei valori fondamentali dei diritti fondamentali della persona umana, non del “solo” uomo ma anche della donna mediante il diritto all’educazione, alla sua educazione, che prende linfa anche dal diritto all’istruzione. Una istruzione fondata su questi valori applicandoli come integrazione per una reale inclusione e non come solo rispetto delle culture ma come conoscenza tra le persone e quindi tra le culture.
La lingua è un primo passo, la comunicazione passa per la lingua. Istruzione verso l’educazione con l’intransigenza che i diritti fondamentali sono per tutti, almeno nei paesi dove sono recepiti e vissuti, bene o male che sia, ma se non si conoscono non possono essere compresi e se lo desidero, vissuti.
Amicizia, questa si, evita le guerre perchè si è prima amici e poi tifosi, prima amici e poi appartenenti alle proprie credenze e culture di ogni tipo e natura, prima amici e poi ideologicamente posizionati: il parroco Don Camillo e il sindaco comunista ateo Peppone sono paradigmatici e rinvio alla loro umanità condivisa nei momenti fondamentali delle persone umane a loro affidate, come fedeli per l’uno e come cittadini per l’altro. L’amicizia di svolge anche nel scrivere libri e film dove vale anche la storia di amore di un ragazzo occidentale con una ragazza di altra tradizione culturale e non sempre il contrario come si vede oggi nei media. E sempre per amicizia che si rispetta più naturalmente il diritto alla libertà religiosa che include (vedi la dichiarazione ONU già dal 1948) il diritto di poter liberamente cambiare credo o non credo senza sanzioni civili penali amministrative che violino i diritti fondamentali della persona (vita, integrità fisica, di pensiero, di movimento, e di proprietà tra i primari).
Anche la Chiesa si muove nel solco dell’amicizia: negli stessi accordi postconciliari va oltre il messaggio cristiano nei rapporti tra le nazioni per l’ordine internazionale. Leggete gli accordi-quadro con i paesi africani e ve ne renderete conto. Valori e diplomazia sono interconnessi, l’azione diplomatica deve basarsi sui valori condivisi per emarginare l’uso della forza, per aumentare i deterrenti “mediante comportamenti coerenti e concreti diventando costruttori di pace” (S.E. Parolin 12 gennaio all’Accademia dei Lincei). La Pace è un traguardo è vero ma è prima ancora un metodo, non un meccanismo di ipocrisia ragionata e velata da falsi sorrisi e finte promesse. La bona fides del diritto romano è concreto impegno a mantenere i patti: pacta servanda sunt. I Romani erano di parola. E la politica e la diplomazia di oggi ?
La novità più recente della diplomazia vaticana per la pace è il dialogo anche con chi secondo il diritto non ha i titoli o la legittimazione al dialogo. E’ una azione coinvolgente non di scarto. La legittimità ad esser parte nel dialogo è inclusione e non pregiudiziale esclusione. E’ realismo non pragmatismo per un maggio dialogo per il bene comune della famiglia umana (Sempre il Segretario di Stato la settimana scorsa).
Concludo ? No nessun nemico per amico, amici da sempre e basta senza distinguo e divisioni se non quelle solite umane comuni e diffuse che poi finiscono pure con etichette ma è così ovunque e da sempre. Anche se oggi si mettono mine antiuomo con leggi per ogni parola che viene tolta cambiata vietata sanzionata. Non si migliora con le mine: per costringere bisogna educare. E insieme non ognuno col suo gruppetto, spesso fondato su interessi-altro !
Non valgono i discorsi che dividono le persone in livelli più alti o più bassi: il problema è chi sta in alto e in basso, se è o meno educato; questa coerenza di comportamento aiuta a migliorare tutti sia come esempio sia se si è “in alto” che “in basso”. In diritto si traduce nel principio di bona fides , fondata proprio sul preliminare essere amici, ovvero conoscersi e rispettarsi, quel che poi porta al naturale pacta servanda sunt.
Si parla di civiltà dell’amore ma la fragilità delle istituzioni di tutto il mondo dimostra che non ci si crede. Se i valori fossero pietre il miglioramento della civiltà umana sarebbe sensibile ed evidente. Mi vengono in mente le tre pietre di ravasiana memoria: quelle del muro del pianto, la pietra della resurrezione e quella nella moschea di Omar. Tre punti fermi per le tre religioni nate una dall’altra, sorelle e non nemiche. Chi le arma una contro l’altra lo fa per altri interessi non certamente religiosi perchè l’unico Dio vuole bene ai fedeli di tutte e tre le sorelle.
Ma le guerre e le paci non cesseranno mai. Ogni giorno gli uomini si sporcheranno di guerre e ripuliranno le loro coscienze con periodi di pace: è la parabola delle posate. Ogni giorno le usiamo e le sporchiamo inevitabilmente, poi però le laviamo e sono di nuovo pulite: nella nostra quotidianità sta a noi usarle tenendole più pulite possibile evitando che si lordino rendendole difficili da lavare. Ognuno di noi deve sperimentare quindi la tendenza alla pace evitando di vivere nella violenza reciproca di ogni natura e specie, educarsi ai valori significa muoversi verso una sempre maggior coerenza verso la pace, anche se comunque in qualsiasi momento capiterà di sporcarsi di violenza, ma poi servirà di nuovo rialzarsi e pulirsi di nuovo, proprio come le posate, ogni giorno.
Il mediterraneo è il mare tra le terre, dice Papa Francesco “Mare Nostrum, che non è quella di essere una tomba, ma un luogo di incontro e di arricchimento reciproco fra persone, popoli e culture. Ciò non toglie che la migrazione debba essere regolamentata per accogliere, promuovere, accompagnare e integrare i migranti, nel rispetto della cultura, della sensibilità e della sicurezza delle popolazioni che si fanno carico dell’accoglienza e dell’integrazione.”[1]
Concludo con una poesia che oggi dicono di inclusione, per me è aria pura ben oltre i vocaboli di tendenza e le leggi umane e anche oltre le leggi fisiche, è emozione nell’aria e nel Tempo:
VENTO DEL TEMPO
Tra le pieghe del vento
e nelle vele del tempo
girano foglie di ricordi
di cuori caldi, senza veli sparsi
di prue curiose ad alberi spiegati
srotolando nostalgia
di rimorsi dovuti e rimpianti finiti.
Il tempo volge pagine del vento
o il contrario, anche, forse,
domani sconta imprevisto,
caso, destino, fato o dio.
Nessuna baia montana né baita marina,
rifugi di tempi materni
nessuna certezza nelle fedi né in opere
unica vera, presente, speranza
Che Vita s’aggrappa come vite al sostegno
al profumo di rose garanti.
Buona Salute e pura Vida a tutti Voi,
e con chi volete condividere questo messaggio in …
bottiglia.
Antonello Blasi
[1] Discorso del Santo Padre Francesco ai membri del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno Lunedì, 8 gennaio 2024.
di Fausta Speranza sul sito www.meridianoitalia.tv:
Negli ultimi quattro decenni le istanze pacifiste hanno dato vita a molte iniziative, ma in tanti si sono rassegnati all’ineluttabilità della guerra, vista come l’unica via per risolvere, pur dolorosamente, situazioni di ingiustizia. Eppure non solo le guerre mondiali della prima metà del Novecento, ma tutti i conflitti succedutisi dagli anni Ottanta ad oggi hanno dimostrato che la logica della violenza produce solo altra violenza, che la dinamica del riarmo innesca un meccanismo ad orologeria in cui la variabile riguarda solo il momento in cui scoppierà un’altra guerra e non la possibilità che ci sia o meno. Serve ragionare di pace. Pubblichiamo di seguito la prefazione di Fausta Speranza al libro di Alberto Zorloni «Pacifismo – Storia e analisi del caso italiano» (Infinito Edizioni)
«L’esasperazione dell’individualità è il primo degli atti di guerra». Questa considerazione del filosofo francese Emmanuel Mounier offre il migliore snodo concettuale per comprendere quanto possa essere fragile una pace pensata o propagandata in un mondo che svilendo il diritto internazionale perde il desiderio di difendere i diritti fondamentali; che assiste alla polarizzazione tra ricchissimi e poverissimi; che arretra di fronte alla necessità di una governance globale di beni materiali e immateriali essenziali per la vita. In una modalità tecnologicamente aggiornata, anche oggi «quasi tutte le nazioni si affannano nella gara febbrile degli armamenti», come denunciato nel 1902 da Leone XIII, nella Lettera apostolica Principibus populisque universi in cui parlava di «stato di pace armata divenuto intollerabile».
Nel proseguo della storia ci sono i due devastanti conflitti mondiali del secolo scorso e gli appelli per la pace di altri dodici papi, tra cui Francesco che, ben prima dell’invasione dell’Ucraina a febbraio 2022, ha cominciato a parlare di «guerra mondiale a pezzi» (o «a capitoli»), denunciando la gravità del fenomeno delle cosiddette proxy war, guerre per “procura”. Si tratta di combattimenti all’interno di Paesi ma per interessi esterni di attori che spesso riescono ad avere un controllo, proprio all’interno di quei Paesi o quelle aree, attraverso milizie locali: senza riferimento agli eserciti regolari. E’ la modalità che maggiormente accresce la mancanza di sicurezza a livello internazionale: una sorta di pace che è di fatto guerra senza veri interlocutori e senza regole.
Non si possono tralasciare i passi avanti fatti da parte della società globale negli ultimi sessant’anni, ma questa vera e propria architettura di pace va difesa. Si è solidificato un ampio consenso attorno ai diritti umani e alla difesa delle libertà personali; sono stati istituiti a livello internazionale diversi organismi per cooperare su tematiche come le pari opportunità, il rispetto delle minoranze, la tutela dei rifugiati. Torna in mente la considerazione sulla Grande guerra del protagonista de La coscienza di Zeno, il romanzo di Italo Svevo pubblicato nel 1923: «Io avevo vissuto in piena calma in un fabbricato di cui il pianoterra bruciava e non avevo previsto che prima o poi tutto il fabbricato con me si sarebbe sprofondato nelle fiamme». Lo scrittore è scomparso nel 1928, poco prima che il mondo riproponesse un copione di guerra perfino peggiore.
Dopo decenni di processi di disarmo, dal 2014 è corsa al riarmo. La spesa militare mondiale, secondo le stime del Sipra di Stoccolma, ha raggiunto nel 2022 la somma di 2.240 miliardi di dollari complessivi, che corrisponde ad una crescita del 3,7 per cento in termini reali rispetto all’anno precedente. Intanto si esaspera il gap economico: negli ultimi 10 anni l’1 per cento più ricco ha accumulato, in termini reali, un ammontare di ricchezza 74 volte superiore a quella del 50 per cento più povero. Inoltre dal 2020 la ricchezza dei miliardari è cresciuta al ritmo di 2,7 miliardi di dollari al giorno, in termini reali. Una situazione che si palesa come un investimento planetario sulla conflittualità, come polvere da sparo rilasciata nell’aria che aspetta l’innesco per deflagrare. Nel 1965 Paolo VI all’Onu lanciava il grido «mai più la guerra» chiarendo che «non c’è pace senza giustizia». Per tutte queste argomentazioni è davvero significativo, oltre che coraggioso, un libro dedicato al pacifismo. Nel testo si argomenta sui significati e sulle implicazioni di questa definizione con il pregio di offrire una chiave di lettura che storicizza. Indubbiamente si fa focus sulla situazione in Italia, ma sono tanti gli opportuni richiami impliciti o espliciti a contesti più larghi. L’autore invita a pensare – «oltre alle giuste scelte personali» – di organizzare «un’azione comune, incisiva e macroscopica, relativa a un argomento di importanza capitale nel quale si è tutti coinvolti». E’ di tutto rilievo l’invito contenuto nel libro a «superare la parcellizzazione delle associazioni competenti in materia di pacifismo». Con la consapevolezza che «ben difficilmente se ne libereranno», l’autore ribadisce l’importanza di «poter correre tutti insieme verso un obiettivo più grande». Ci permettiamo di allargare idealmente l’orizzonte dell’invito auspicando che qualunque leadership al mondo – che siano politici al potere o multinazionali che fatturano introiti superiori al Pil di alcune nazioni – comprendano che tutte le parcellizzazioni frutto di interessi particolaristici contribuiscono a disgregare il tessuto sociale e a incrinare la pace. Il mondo ha bisogno di multilateralismo che non è affatto scontato.
Approccio multilaterale significa bilanciamento degli equilibri di potere tra potenze attraverso il diritto internazionale, che è sempre più messo in discussione nei fatti. Inoltre significa saper guardare in modo sinergico ai sistemi naturali e ai sistemi sociali: non c’è cura dell’ambiente che possa pacificare la relazione tra esseri umani e risorse del pianeta senza un’adeguata cura delle sperequazioni che colpiscono le fasce più deboli delle popolazioni. Il primo esempio dovrebbe essere uno sguardo d’insieme a cambiamenti climatici e migrazioni. Concretamente dovrebbe significare concepire una politica in grado di cogliere la dimensione umana planetaria delle questioni.
Osiamo parlare di una sorta di costituzionalismo mondiale che metta l’umanità al centro, in cui l’umanità diventi soggetto di diritto al riparo da ottuse logiche nazionalistiche e statualistiche e in grado di contrastare dinamiche come quelle che permettono che l’acqua sia venduta da privati in terre aride a prezzi esponenziali: tra il 2021 e il 2022, secondo l’Oxfam, nel sud dell’Etiopia, nel nord del Kenya e in Somalia sono lievitati del 400 per cento.
Uscire a tanti livelli dai binari degli interessi particolaristici è l’obiettivo principale al quale si deve lavorare. In parallelo, vanno sostenute e incoraggiate tutte quelle dinamiche locali di pacificazione che possono fare la differenza nel “piccolo”. Si devono tenere a bada estremismi, estremizzazioni, esasperazioni relativistiche di tanti generi, che generano conflittualità, anche grazie al fenomeno, ancora troppo poco discusso rispetto all’entità, delle fake news.
Le nostre democrazie devono ancora imparare a fare i conti davvero con l’impatto della disintermediazione informativa sui processi di formazione dell’opinione pubblica, che tanti scherzi può giocare alla pace. Basti ricordare l’episodio alimentato dai social dell’assalto a Capitol Hill negli Stati Uniti d’America, impensabile prima del 6 gennaio 2021.
Il fenomeno della disinformazione non è nato oggi e non è orfano: è figlio della bramosia di manipolare le masse, evidente mutatis mutandis in tutte le epoche della storia umana. Ai nostri tempi si nutre dell’automatizzazione e delle sue «magnifiche sorti e progressive» – per dirla con Leopardi — che stanno sotto gli occhi di tutti: algoritmi che ci raggiungono in base a studi di mercato, notizie scritte da pc, sistemi di software che offrono pseudo relazioni con persone scomparse. Si parla di human enhancement, di “gemello digitale” dell’essere umano, di esternalizzazione delle nostre facoltà cognitive: non solo memoria e giudizio ma anche la coscienza fonte di auto-determinazione. Facile immaginare le conseguenze di un consenso “prodotto” a partire da conclusioni tratte da Big Data e Data Analytics.
Se multilateralismo si traduce con un’ottica di bene comune, in quest’ottica deve innanzitutto restare centrale la persona, con la sua interiorità da difendere, con il suo consenso da esprimere o da negare. C’è il rischio che guerre e conflitti, che da sempre vengono decisi dai pochi e vissuti dai tanti, siano sempre meno messi in discussione.
C’è il rischio di dimenticare la verità sulla differenza di punti di vista tra potenti e popoli che nell’interiorità di Bertolt Brecht ha preso la forma dei versi della poesia Chi sta in alto dice: pace e guerra.
«Sono di essenza diversa. La loro pace e la loro guerra son come vento e tempesta.0La guerra cresce dalla loro pace come il figlio dalla madre.
Ha in faccia i suoi lineamenti orridi. La loro guerra uccide quel che alla loro pace è sopravvissuto.»
Lo strumento del Concordato, la Santa Sede e l’Africa: questi i termini del dibattito che Fausta Speranza ha moderato
– mercoledì 13 dicembre, alle ore 19:00, presso la parrocchia romana di Santa Gemma Galgani in Monte Sacro Alto –
a partire dal volume del professor Antonello Blasi dal titolo Concordati Africani (Lev).
Sono intervenuti, oltre all’autore, don Enzo Ferraro, parroco della parrocchia cardinalizia di Santa Gemma Galgani, Marco Massoni, docente di African Politics and Society presso la LUISS e Marcellus Udubgor, docente di Storia e istituzioni dei Paesi Africani e del Diritto musulmano dei Paesi Islamici presso le Pontificie Università Lateranense e Urbaniana.
Tra i tanti spunti: si sono avute novità significative rispetto ai paradigmi tradizionali fissati dalla scuola romana dello Jus Publicum Externum e da un’esperienza negoziale che ha subito una grande evoluzione a partire dal Concordato Napoleonico del 1801- primo dei concordati moderni- fino a giungere a Benedetto XVI. Soprattutto c’è stato il superamento dell’antica consuetudine, divenuta vero e proprio assioma, secondo cui i concordati erano accordi internazionali della Sede Apostolica con gli Stati cattolici o di tradizione cattolica. Venuto meno il vecchio paradigma, lo spazio geo-politico nel quale la dinamica concordataria veniva ad inserirsi, originariamente limitata al Continente Europeo, si è allargata anche agli Stati non cattolici.
Per quanto riguarda i Paesi africani si è trattato da parte della Santa Sede di ricercare nuove forme di presenza in realtà mutate e mutanti con lo strumento antico del concordato utilizzato anche per le peculiari esigenze dei nuovi interlocutori.
Nonostante le difficoltà, i conflitti in essere e i molti problemi ancora aperti, ogni firma e ogni ratifica di accordo è un passo avanti verso il maggior bene dei fedeli e dei popoli ai quali essi appartengono. Al di là degli accordi di carattere diplomatico, fondati sul diritto internazionale, dal testo di Blasi traspare la vitalità delle Chiese particolari africane ed emerge la necessità di statuti giuridici che potessero proteggere le opere apostoliche, garantendo loro il contesto, i diritti e la libertà.