Nutrire di pensiero la fede

«IL PAPA VUOLE UNA TEOLOGIA CHE SAPPIA

NUTRIRE DI PENSIERO LA FEDE»

03/11/2023

di Fausta Speranza

Il teologo Bruno Forte e monsignor Antonio Staglianò commentano la Lettera apostolica “Ad theologiam promovendam” con la quale papa Francesco ha rinnovato gli statuti della Pontificia Accademia di Teologia: «Una “riforma” in linea con il magistero di Benedetto XVI e di Giovanni Paolo II che sollecitava tutti i cattolici a pensare la fede altrimenti si rischia una concezione magica della religiosità» 

“Un grande atto di fiducia e di incoraggiamento”: così il teologo e arcivescovo di Chieti – Vasto Bruno Forte commenta la Lettera apostolica in forma di Motu Proprio di papa Francesco Ad theologiam promovendam, firmata il 1° novembre e con la quale vengono approvati i nuovi statuti della Pontificia Accademia Teologica. Si concepisce – dice con soddisfazione Forte – “la teologia come coscienza critica del vissuto ecclesiale, ma anche come fermento e luce provocante, sfidante, illuminante della Parola di Dio”. Si chiede “ascolto e interlocuzione davvero con tutti, perché la teologia non sia astratta ma vitalmente inserita nella comunità ecclesiale e nelle vicende del mondo”.

Non sono solo raccomandazioni a parole, sottolinea monsignor Antonio Staglianò (nella foto in alto con papa Francesco, ndr), presidente della Pontificia Accademia di Teologia, spiegando che i rinnovati Statuti prevedono strutturalmente delle novità. Innanzitutto, si amplia il ventaglio degli accademici: verranno accolti professori di altre confessioni religiose per un dialogo ecumenico e interreligioso. Inoltre, Staglianò precisa che si prevedono una “segreteria operativa” e “interlocutori referenti”, sottolineando che saranno non solo fedeli di parrocchie o diocesi, ma “persone scelte in tanti ambiti della realtà: nel campo della medicina, del diritto, della finanza…”.

L’obiettivo è “avere spazi di riflessione che attraversano sapere e praxis umana”. Nelle parole del vescovo teologo Staglianò i livelli di riflessione sono molteplici. In generale, si sollecita la teologia a un ripensamento epistemologico e metodologico che – assicura il presidente dell’Accademia – è “in profonda continuità con gli insegnamenti di Benedetto XVI che chiedeva di “allargare i confini della ragione in maniera sapienziale”; con Giovanni Paolo II, che sollecitava tutti i cattolici a “pensare la fede altrimenti si rischia una concezione magica della religiosità”. Ma i richiami – spiega Staglianò – sono ben più antichi, come l’avvertimento di Sant’Agostino: “La fede che non si pensa è nulla”. Inoltre, Staglianò aggiunge che nella Lettera apostolica del Papa c’è anche un richiamo a Antonio Rosmini, alla sua idea di “sapienza come verità e carità”, perché l’una contiene l’altra: “Non si può pensare la verità del Vangelo senza il pensiero ai poveri e alla carità e pensare la carità è verità”.

Tutto questo sollecita il credente a maturare una fede adulta, ma – spiega il presidente dell’Accademia di Teologia – chiede anche ai teologi “un linguaggio che non sia solo concettuale ma che sappia intercettare registri importanti, come quello del sentimento, dell’intelligenza emotiva, perfino dell’immaginazione, con i quali si vive nella propria umanità la fede”.

Si tratta – suggerisce – di recuperare il valore etimologico della parola ‘sapere’ che lo lega al concetto di ‘sapore’ per riscoprire una conoscenza esperienziale che contiene il gusto della vita”. E si tratta anche di scoprire una teologia “in uscita e in ginocchio: che riscopre una ragione critica ma che non parte dall’orgoglio della ragione ma dall’umiltà della ragione”.

In questo impegno rinnovato ad una “educazione sapienziale della Parola di Dio”, la teologia acquista un volto nuovo che – ribadisce Staglianò – risponde alla sfida di sempre della Chiesa: far arrivare a tutti il Vangelo, credenti e non credenti, “anche a persone che sentono di essere lontane o arrabbiate con la Chiesa”. Nel percorso rinnovato per “teologare”, il dialogo e il giudizio critico hanno un posto di rilievo, aggiunge, anche perché tutti comprendano davvero e ribadiscano a gran voce che non può esserci un Dio che concepisca violenza e guerra.

https://www.famigliacristiana.it/articolo/il-papa-vuole-una-teologia-che-sappia-nutrire-la-fede-di-pensiero.aspx

Il valore della testimonianza oltre il dramma della storia

Un volume ripercorre la vita di Arminio Wachsberger, uno dei pochi sopravvissuti

16 Ottobre 2023

di FAUSTA SPERANZA

Il dramma della Shoah, declinato a Roma in particolare con “il sabato nero”, per tanto tempo è stato accompagnato da una sorta di afasia collettiva. Per anni i testimoni diretti non sono riusciti a trovare le parole adatte a riferire quello che nell’immaginario anche verbale non sembrava essere stato concepito. Nessun termine poteva essere all’altezza del vissuto e nessuno sembrava davvero interessato ad ascoltare narrazioni dall’abisso di disumanità che era stato raggiunto. Una voce ha fatto eccezione proprio in riferimento al 16 ottobre 1943, quella di Arminio Wachsberger, uno dei pochi sopravvissuti tra gli arrestati nel quartiere ebraico. Conosceva il tedesco e ha fatto da interprete e forse proprio questo paradossale avvicendarsi di traduzioni lo ha aiutato a trovare anche il linguaggio comprensibile per un’esperienza al limite della comunicabilità.

«Un testimone d’eccezione della deportazione degli ebrei di Roma», si legge nel sottotitolo del volume dello storico Gabriele Rigano, intitolato L’interprete di Auschwitz (Milano, Edizioni Guerini e Associati 2015, p. 254). È il lavoro scientifico di uno studioso e ha tutte le caratteristiche di un saggio rigoroso che ricostruisce dettagli e risvolti della vicenda di Arminio Wachsberger attraverso un minuzioso esame delle carte e dei documenti, ma trasuda l’emotività di una presa diretta.

Rigano lo definisce «un testimone loquace e appassionato di buona memoria», che ha lasciato varie testimonianze scrivendo e parlando sin da subito dopo la fine della guerra, pur avendo un carattere riservato. «A suo modo un protagonista delle vicende che ha vissuto, senza lasciarsi mai schiacciare dal senso di impotenza, che doveva essere un macigno sulla vita degli ebrei perseguitati». La conoscenza delle lingue e la sua intraprendenza gli hanno conquistato il ruolo di intermediario tra i deportati e le autorità naziste, anche con Mengele ad Auschwitz e poi in tutti i luoghi di detenzione dove si è trovato tra il 1943 e il 1945. Successivamente, nella Germania liberata tra il 1946 e il ‘49 ha testimoniato nelle aule dei tribunali. «Io, naturalmente, come al solito, fungevo anche da interprete», racconta Arminio.

Dal confronto con gli strumenti dello storico emerge un quadro in cui Arminio ha cercato di ritrovare sempre il linguaggio dell’umanità. Nato nel 1913 a Fiume, figlio del rabbino capo di questa città cosmopolita e aperta dove era normale parlare diverse lingue, si trasferisce a Roma nel 1936 dove sposa Regina Polacco da cui avrà, poco dopo, una figlia. Viene sorpreso dalla razzia di quel sabato 16 ottobre con la sua famiglia. Durante il trasferimento al Collegio militare e nei due giorni successivi prima della partenza del treno dalla stazione Tiburtina verso Auschwitz, da subito tenta di salvare più vite possibile. Consegna un bimbo a una donna non ebrea che, intercettato lo sguardo della mamma ebrea sul camion, chiede di riavere «suo figlio». Arminio convince le SS confermando la versione delle due donne. Dichiara, sotto la sua responsabilità, che alcuni dal nome non prettamente ebraico sono stati presi per errore. Portato ad Auschwitz, scampa alle selezioni ma non riesce a salvare invece la moglie e la figlia. Lavorando per il famigerato Mengele, riesce invece a salvare altri procacciando medicine e viveri. Porta conforto ai malati. Trasferito a Varsavia insieme con altri ebrei romani, per lavorare allo sgombero delle macerie del ghetto distrutto dai tedeschi dopo la rivolta, nell’estate del 1944 è tra quanti vengono trasferiti con una terribile marcia al campo di Dachau. Nell’aprile del 1945 viene liberato. Continuerà a collaborare nella ricerca dei sopravvissuti e a testimoniare nei processi contro gli aguzzini. Tornerà in Italia nel 1949, dove morirà nel 2002.

«Grazie al suo instancabile ruolo di testimone, Arminio Wachsberger — scrive Rigano — ci restituisce con precisione l’ambiente ebraico di Fiume, la Roma fascista durante le leggi razziali, Auschwitz, le marce della morte, la liberazione dei campi». Lo storico definisce i suoi racconti «fondamentali perché tra i 16 sopravvissuti del 16 ottobre è stato l’unico a parlare subito» e perché «il suo è un punto di vista particolare, diremmo pure “privilegiato”, rispetto a quello degli altri prigionieri, essendo in continuo contatto con i nazisti». Inoltre, «dopo la guerra la sua testimonianza fu importantissima per determinare il destino di tanti ebrei italiani deportati e morti che aveva incontrato».

A 80 anni da quei tragici eventi, restano pagine di storia da finire di ricomporre e, come sottolinea Rigano, «sono gli eredi che spesso si fanno promotori di ricerche, ma c’è la difficoltà per i testimoni — diretti o indiretti come gli eredi — di accettare di sottoporre le loro memorie ai meccanismi della verificabilità storica: lo vivono come una profanazione». Proviamo a immaginare di quanto tatto e sensibilità ci sia bisogno, mentre Rigano aggiunge una sorta di appello: «Oggi come oggi la contrapposizione tra storici e testimoni va superata: senza le storie individuali il lavoro degli storici perde la “carne”, si deumanizza, ma senza l’impegno degli studiosi le testimonianze possono essere svilite dai negatori della Shoah che si attaccano ai normali errori di memoria per delegittimare tutto il patrimonio di testimonianza sulla deportazione e lo sterminio». Lo storico li definisce «gli Eichmann di carta».

Incontrare di persona Rigano ci permette di ascoltare l’eco particolare del suo lavoro oltre le pagine del libro: «Spesso noi storici ci occupiamo di grandi numeri e eventi collettivi, soffermarsi sulle vicende di una singola persona ci permette di addentrarci nella quotidianità, nelle passioni, paure, speranze delle persone che vivendo fanno la storia». Confrontarsi con le narrazioni dei deportati è sempre «destabilizzante» — ci confida — perché «ci richiama alla tragica capacità di odio di cui è capace l’uomo». Ma non finisce tutto lì: «Ci mette anche di fronte alla capacità di opporsi al male, che ci richiama alla possibilità di poter fare sempre qualcosa, anche nelle situazioni più estreme».

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2023-10/quo-238/il-valore-della-testimonianza-oltre-il-dramma-della-storia.html

al festival di Spello “Quel sabato nero” docufilm di Fausta Speranza regia Stefano Gabriele

Quel sabato nero

al Festival di Spello edizione  2024 https://www.festivalcinemaspello.com/fcs/index.php/it/features/documentari

docufilm di Fausta Speranza con la regia di Stefano Gabriele (FrameXS)

Dagli appartamenti di Mussolini alle stanze di Pio XII: la storia inedita della famiglia Terracina, scampata alla retata nazista al quartiere ebraico di Roma del 16 ottobre 1943, rivive con i protagonisti nel docufilm  

 alla Camera dei Deputati

presentazione il 9 Ottobre 2023

Fausta Speranza con Stefano Gabriele

On. Fabio Porta (Deputato, Commissione esteri) Matteo Luigi Napolitano – Storico, Università degli Studi del Molise Daniele De Luca – Storico, Università del Salento Fernando Terracina – Ebreo scampato alla retata nazista  Fausta Speranza – Autrice del docufilm “Quel sabato nero” Gianni Lattanzio – Segretario Generale Istituto Cooperazione Paesi Esteri (ICPE) Tra i presenti, Padre Norbert Hofmann – Segretario della Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo della Santa Sede

 

RASSEGNA STAMPA

A Radio Anch’io (RadioRai) con Giorgio Zanchini e Alessandro Forlani:  https://www.raiplaysound.it/player/audio/2023/10/RADIO-ANCHIO-b7221f42-b184-4038-b2c0-5f893f15182d.html

su RaiNews: citato il documentario https://www.rainews.it/articoli/2023/10/il-16-ottobre-di-80-anni-fa-il-rastrellamento-del-ghetto-di-roma-la-ricorrenza-della-tragedia-38c563fa-5685-4207-8469-a46207bc2261.html 

su Rsi Radio Televisione Svizzera: https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/ghetto-rastrellamento-ebrei-100.html

su Libero: https://www.liberoquotidiano.it/news/esteri/37187219/israele-chi-cita-shoah-ma-dimentica-ebrei-oggi.html

VaticanNews: https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2023-10/il-sabato-nero-80-anni-fa-il-dramma-del-ghetto-di-roma.html

Osservatore Romano: https://www.osservatoreromano.va/it/news/2023-10/quo-238/il-fattore-k-cronaca-di-un-epidemia-inventata.html

su Avvenire di Calabria: https://www.avveniredicalabria.it/tv2000-quel-sabato-nero-il-16-ottobre-in-onda-un-documentario-a-80-anni-dal-rastrellamento-del-ghetto-di-roma/

su Fai Informazione: https://fai.informazione.it/CC594ECA-5532-4003-9390-49919BEDA392/Quel-sabato-nero-documentario-di-Fausta-Speranza#

Agenzia Internazionale Stampa Estero AISE: https://www.aise.it/anno/quel-sabato-nero-fabio-porta-pd-presenta-alla-camera-il-docufilm-sul-rastrellamento-del-quartiere-ebraico-di-roma/195771/1

Agenzia SIR: https://www.agensir.it/quotidiano/2023/10/7/shoah-roma-mercoledi-11-ottobre-si-presenta-il-documentario-quel-sabato-nero/

INFORM: https://comunicazioneinform.it/verra-presentato-alla-camera-dei-deputati-l11-ottobre-il-documentario-quel-sabato-nero-di-fausta-speranza/

 

Archeologia di fratellanza

04 ottobre 2023

«Percorsi di pace»

per la sesta Giornata delle Catacombe

«Percorsi di Pace» è il titolo dell’iniziativa voluta il 7 ottobre prossimo dalla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra nella VI Giornata delle Catacombe-Edizione d’Autunno. Saranno gratuitamente visitabili, su prenotazione, alcuni siti che generalmente sono chiusi al pubblico dislocati a Roma e in varie regioni d’Italia. In un momento storico segnato da drammatiche conflittualità, si guarda a quelle immagini catacombali che ancora a distanza di secoli suscitano una riflessione sulla fratellanza e la pace.

Dopo il successo dell’apertura il 18 marzo scorso di sette catacombe romane, per questa Edizione d’Autunno si offre la possibilità di visitare sei complessi ipogei della Roma sotterranea: Santa Tecla, San Lorenzo, Pretestato, Vigna Chiaraviglio, l’ipogeo degli Aureli e Generosa.

In alcuni casi avranno luogo conferenze, come quella organizzata sulla figura di Sant’Antioco nel Palazzo del Capitolo dell’omonimo comune, un’isoletta nell’estremo sud ovest della Sardegna. Ci sono anche laboratori dedicati ai bambini, come quello sulle epigrafi cristiane nel Comprensorio callistiano a via Appia Antica a Roma, o quello sui simboli cristiani presso le Catacombe di S. Savinilla nel comune laziale diNepi. Le iniziative si chiuderanno con una messa presieduta da monsignor Pasquale Iacobone, presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, ad Albano Laziale.

Alcuni simboli nelle decorazioni nelle catacombe, che rappresentano episodi e personaggi dell’Antico e del Nuovo Testamento, o scenari bucolici e paradisiaci, o momenti di vita quotidiana, sono molto noti, ma si possono scoprire sfumature interessanti. L’immagine dell’agnello, ad esempio, vittima sacrificale per eccellenza, viene utilizzata per rappresentare il Cristo, ma anche gli apostoli e i fedeli e può figurare anche, più semplicemente, una estrema sintesi del mondo pastorale. C’è poi la colomba che simboleggia l’anima che ha raggiunto la pace divina, nonché l’intervento salvifico di Dio, lo Spirito santo, e, se rappresentata con un ramoscello di ulivo, riporta alla pace dopo il diluvio universale. C’è poi l’àncora che suggerisce immediatamente l’idea della sicurezza di una nave nel porto, ma che può essere vista insieme con il faro, che con la sua luce indica l’approdo finale della navigazione: la salvezza. Meno conosciuta la rappresentazione della lepre, simbolo del fedele che fugge dalle insidie del mondo.

Se sono tanti i significati delle decorazioni, non meno importante è il messaggio stesso delle catacombe. La comunità cristiana ha ben presto avvertito la necessità di uno spazio destinato ad accogliere i fedeli in un riposo comune e in particolare si desiderava garantire a tutti i suoi membri, anche a quelli più poveri, una sepoltura dignitosa, esprimendo dunque un forte richiamo all’uguaglianza e alla fratellanza. È con questo spirito che nascono e si sviluppano le prime catacombe, composte da reti di gallerie sotterranee scavate talvolta riutilizzando spazi preesistenti. Garantivano l’apertura di più pile di loculi sovrapposti oppure forme di deposizione più articolate, come le tombe a mensa, gli arcosoli e i cubicoli. Sono spazi definiti cimiteri con un termine che deriva dal greco e indica «il luogo del riposo, che rispecchiano con esattezza la concezione cristiana della morte come tempo sospeso in attesa della Risurrezione.

Il valore delle Giornate delle Catacombe, che hanno preso il via nel 2018, è quello di offrire un percorso di visita e conoscenza che introduca alle fonti monumentali, testi diretti, ma anche alle fonti letterarie. «trascrizioni indirette». Fra le risorse più comuni si ricordano le Sacre Scritture, ma ci sono anche altri scritti, come quelli dei padri apostolici, coloro che ebbero rapporti con gli apostoli; o quelli degli apologisti greci del II secolo; o alcuni scritti antieretici dello stesso secolo e quelli degli scrittori cristiani del III IV secolo, tra cui si distingue Tertulliano con i suoi Ad Nationes e Apologeticum. D’altra parte, la Commissione di Archeologia Sacra istituita per un’idea dell’archeologo romano Giovanni Battista de Rossi venne riconosciuta come istituzione da Pio IX il 6 gennaio 1852 con la finalità di «custodire i sacri cemeteri antichi, per curarne preventivamente la conservazione, le ulteriori esplorazioni, le investigazioni, lo studio, per tutelare inoltre le più vetuste memorie dei primi secoli cristiani».

di FAUSTA SPERANZA

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2023-10/quo-228/archeologia-di-fratellanza.html

al Seminario di studi promosso dalla Santa Sede sull’acqua con esperti Fao e Ifad

Preservare e gestire l’acqua

per il bene di tutti

18 Ottobre 2023,  15:30-18:30

Presso l’Università santa Croce  Seminario di Studi

per offrire  una visione ampia delle risorse idriche: la prospettiva ecclesiale e quella di scienziati e di funzionari degli Organismi del polo romano  delle Nazioni Unite

Saluto Prof. Luis Navarro
Rettore magnifico della
Pontificia Università della Santa Croce

Conclusioni Mons. Fernando Chica Arellano, Osservatore Permanente della Santa Sede presso la FAO, l’IFAD e il PAM

Moderatore Dott. Alessadro Gisotti Dicastero per la Comunicazione

Oratori

“Il senso della sete. L’acqua tra diritti non scontati e urgenze geopolitiche”.
Dott.ssa Fausta Speranza, Giornalista Inviato Esteri e Cultura

Esperienze sul terreno

“Bringing land back to life”. Caritas Ethiopia and Caritas Eritrea. Dott.
Alistair Dutton, Secretary General of Caritas Internationalis.
“Sorella acqua e la giustizia ambientale”. Dott.ssa Ivana Borsotto,
Presidente della Federazione Organismi Cristiani di Servizio Internazionale
Volontario (FOCSIV)

Rassegna stampa

https://www.ansa.it/vaticano/notizie/cristiani_mondo/2023/10/18/vaticano-lacqua-non-e-merce-quotazione-in-borsa-e-immorale_f177c78b-a0b2-4a90-a020-569413926237.html

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2023-10/seminario-acqua-universita-santa-croce.html

Su Radio Marconi

15 Settembre 2023

su Radio Marconi https://www.radiomarconi.info/palinsesto-2

rubrica Radio Aperta, Approfondimenti sulle notizie del giorno (10.30-12:00)

si parla del “Tempo del creato” e della questione acqua

il collega Bruno Cadelli intervista Fausta Speranza

autrice del volume Il senso della sete (Infinito Edizioni, ristampa aggiornata luglio 2023)

Si parla delle più recenti questioni legate alle risorse idriche:

 

 

 

Nella mappa interiore

 Nella mappa interiore QUO-186
12 agosto 2023

«Senza nessuna commissione ecclesiale»: è quanto sottolinea suor Linda Pocher parlando di come sono nate le tre diverse iniziative cinematografiche dedicate a Maria che l’hanno colpita e stimolata a tal punto da scrivere Immagini di Maria. Immagini della donna dedicato, come recita il sottotitolo, a Cinema e mariologia in dialogo (Cinisello Balsamo, Edizioni Paoline, 2023, pagine 176, euro 14). Tre film che nella penna dell’autrice, docente all’Auxilium e membro del Consiglio della Pontificia Academia Mariana Internationalis, diventano uno strumento della sua appassionante ricerca sulla mariologia contemporanea.

Se non si possono individuare committenze precise per i film o per il volume, ci sono invece almeno tre punti fermi che risuonano come ideali ciak di incoraggiamento: la costituzione pastorale Gaudium et spes del Concilio vaticano II che, come sottolinea l’autrice, «incoraggia a fare alleanza con la “settima arte” e la sua potenza comunicativa»; l’esortazione apostolica di Paolo VI Marialis cultus che «invita a rinnovare l’immagine di Maria incrociando la Scrittura, le scienze umane e le esigenze degli uomini e delle donne di oggi»; e il libro di Papa Francesco Ave Maria (Rizzoli-Lev 2019) in cui si racconta Maria come «una ragazza normale» incoraggiando a non rimanere ingabbiati nell’immaginario miracoloso del dogma.

«Quando Maria viene rappresentata come troppo diversa, separata e distante dall’esperienza umana — spiega Pocher —, si rischia di favorire processi di idealizzazione religiosa che allontanano dalla realtà quotidiana». Non si tratta di sminuire il linguaggio che opportunamente esprime i fondamentali aspetti della potenza divina, della liberazione dal male, della felicità promessa, ma di illuminare maggiormente le esperienze di Maria che meglio aiutano a comprendere le umane difficoltà, come i momenti di ansietà, di sofferenza, di oscurità, di impotenza, «di contrasto», afferma l’autrice. Il punto essenziale è non perdere il contatto con la situazione personale in cui di fatto ognuno attua il proprio percorso di vita e il proprio cammino di fede.

Il libro illustra i frutti di un approccio interdisciplinare: tutto è partito infatti dal seminario organizzato dalla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium di Roma in cui tre film italiani che hanno come protagonista la Madre di Dio sono stati messi a confronto, in un vivace dibattito, con gli studi più recenti su Maria. Si tratta di Io sono con te (2010), del regista Guido Chiesa che si è valso della sceneggiatura di Nicoletta Micheli; Troppa grazia (2018) diretto da Gianni Zanasi e sceneggiato da Michele Pellegrini; Bar Giuseppe (2019) di Giulio Base. Ne è emersa una riflessione attualissima, anche perché i film sono recenti. Ed è stata “aggiornata” anche la lente di lettura del gesuita Nicolas Steeves, studioso di teologia; dell’esperta di scienze psicologiche suor Milena Stevani; di don Renato Butera, docente di Comunicazione sociale; di Katia Malatesta, relatrice e giurata a vari festival internazionali di cinema. Peraltro il passaggio dalla modalità cinematografica a quella di videoconferenza e poi alla scrittura aggiunge alla caratteristica dell’interdisciplinarietà quella della multimedialità. E il rimbalzo in realtà non finisce qui perché Pocher riferisce qualcosa nel libro anche dell’eco che queste tematiche hanno suscitato nei suoi studenti.

Tra i diversi punti di vista, una lettura in chiave psicologica si sofferma sulla peculiarità del rapporto di ognuno con i genitori e ancor più con la madre. Un rapporto con cui si deve fare i conti, nell’equilibrio tra lati positivi e lati negativi, se si vuole approcciare davvero la maturità. Si parte dalla consapevolezza dell’importanza dei processi di memoria e delle informazioni sensoriali e psicologiche ricevute nell’ambito delle relazioni familiari per poi indagare il ruolo dell’immaginazione e di quella che viene definita la «mappa interiore», la rete di rappresentazioni che sono alla base del senso di sé e dell’altro. Il punto è che è importante un’equilibrata elaborazione personale che porti a una percezione realistica in grado di accogliere la complessità delle relazioni, lasciando cadere aspettative illusorie di rapporti gratificanti e senza ombra di conflitto o resistendo a forme di rifiuto di limiti non accettati. Tutto ciò aiuta a comprendere proprio quell’adesione al percorso di vita e di fede di cui si parlava.

Nella scrittura intensa ma agile del libro emerge chiaramente il rischio di una idealizzazione della figura di Maria che non tenga conto degli aspetti di limite, del momento della frustrazione, dell’incontro con ostacoli e difficoltà. «Quando le dinamiche idealizzanti sono troppo accentuate — afferma Pocher — i modelli si ammirano e si esaltano, e si amplificano così i vissuti affettivi di entusiasmo, ma non avviene poi un passaggio ulteriore alla propria vita concreta».

In definitiva, la sintesi e la rielaborazione di Pocher offrono un contributo al rinnovamento contemporaneo della mariologia che è in atto.

Tutto concorre a rilanciare oggi quegli inviti del Concilio e di Paolo VI che secondo Pocher chiamano all’appello insegnanti e operatori pastorali perché «sfruttino maggiormente il cinema quale strumento per la formazione e l’evangelizzazione».

di FAUSTA SPERANZA

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2023-08/quo-186/nella-mappa-interiore.html

Sulla cima del silenzio

Restaurata la cappella di Saint-Michel de Brasparts in Bretagna

Al di là del cerchio di fuoco. È tornata a essere luogo di accoglienza e di preghiera la cappella di Saint-Michel de Brasparts nella suggestiva Bretagna. Siamo all’estremo nord-ovest della Francia, sulla sommità del colle omonimo, il più alto dei Monts d’Arrée, dove alla fine del XVII secolo la devozione locale diede vita alla piccola chiesa. Si può immaginare l’apprensione quando nell’estate 2022 i poderosi incendi che hanno colpito la costa occidentale della Francia sono arrivati a danneggiarla, dopo aver distrutto 2.200 ettari del bosco circostante. Nei giorni scorsi è stata riaperta al culto grazie al prezioso restauro effettuato in tempi di record e con una committenza d’eccezione: per il nuovo arredo liturgico è stato chiamato il disegnatore Ronan Bouroullec, originario proprio della Bretagna.

L’edificio è modesto, a pianta rettangolare, con abside inclinata. Le pareti, spesse più di un metro, sono il tratto fisico della profondità che si coglie. I muri in pietra intonacati a calce e il pavimento in terra battuta, leggermente rialzato nella zona del coro, richiamano la semplicità. La sensazione di una continuità tra la Cappella di Saint-Michel e il suo sito — tra architettura e natura — è forte. C’è il tetto in ardesia delle colline di Arrée, che poggia su un telaio di quercia.

L’impegno di Ronan Bouroullec si avverte proprio in linea con questa continuità, che è anche continuità con la tradizione del luogo e con l’impiego di maestranze locali. Nei materiali ha lasciato la sua impronta particolare anche scegliendo alcuni elementi particolari, come i residui minerari dell’altare in granito o il vetro smaltato per il contro rosone, che ben si armonizzano con la luce naturale e con quella delle candele, ospitate in essenziali ma eleganti supporti in ferro battuto. Si tratta di due gruppi di candelieri, uno formato dai tre grandi candelieri incastonati nella base in granito accanto all’altare, l’altro da ben quattordici candelieri incastonati nella consolle in granito. Sulla cima di ognuno c’è una coppa, che accoglie candele diverse per forma e dimensioni: da un grande cero a un modesto lumino.

Della cappella ci parla Martin Bethenod, impegnato da anni nel campo della cultura e dell’arte contemporanea in Francia, attualmente presidente del Crédac-Centre d’art contemporain di Ivry e presidente degli Archives de la Critique d’Art. «Progettare un oggetto, uno spazio — spiega —, è un tentativo di produrre, sulla base di pochi elementi selezionati e interconnessi, un effetto che vada oltre i materiali, gli oggetti e il luogo stesso, per suscitare la sensazione che qualcosa stia accadendo e metta in moto cambiamenti». Il progetto di Ronan Bouroullec «si basa su un triplice approccio: trovare un vocabolario di materiali ridotto all’essenziale; trovare un equilibrio tra un senso di massa e di leggerezza; trovare la vibrazione nelle cose attraverso il trattamento delle superfici e della luce». C’è poi «l’aspetto fondamentale» dell’intuizione che — afferma sempre Bethenod — «non riguarda tanto il fornire una risposta specifica a una domanda diretta quanto dare vita a un’esperienza».

A proposito della cappella restaurata, Martin Bethenod sottolinea che «fornisce il contesto ideale per questo tipo di processo: provocando una temporanea sospensione del movimento e del suono del mondo circostante»: il suo essere luogo di culto e di riflessione genera «particolarissime sfumature di silenzio, di concentrazione, di contemplazione, di attenzione al mondo e a se stessi». E c’è da dire che i moti dell’animo si intensificano quando si arriva in un posto dopo un’arrampicata, con il paesaggio e il cielo negli occhi.

Nella mente di Bouroullec — racconta lo stesso artista — «il ricordo degli incendi che avevano colpito la regione già negli anni Settanta e l’immagine impressa nella memoria del paesaggio annerito su cui spiccava in contrasto la forma più pallida della cappella fanno parte dell’esperienza che è sempre radicata in un’impressione che è tattile, uditiva, olfattiva». In effetti l’aspetto della sensazione fisica — la penombra, l’umidità, la sensazione della pietra, il rapporto del proprio corpo con gli spazi — indubbiamente si ritrovano nel progetto per Saint-Michel de Brasparts.

Un’esperienza è immediata per tutti. Mentre la porta della facciata principale della cappella è usata solo raramente, la porta esposta a sud è senza chiave: sempre aperta. Una scelta precisa per un luogo voluto come rifugio dell’anima per escursionisti, pellegrini, passanti. E infatti con il suo garbo di essenzialità, l’interno della cappella accoglie chiunque cerchi raccoglimento.

La gioia di vederla restaurata e restituita al culto è anche la gioia di vedere valorizzati luoghi per la preghiera, per il silenzio e per l’ascolto che hanno il privilegio di essere in dialogo con la storia e con la natura.

di FAUSTA SPERANZA

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2023-07/quo-168/sulla-cima-del-silenzio.html