a RadioTre Mondo ospite di Roberto Zicchitella

12 Maggio 2023

Radio Tre Mondo, conduce Roberto Zicchitella

  • nella prima Parte: Frontiera chiusa tra Messico e Usa

Si complica la situazione al confine tra Messico e Stati Uniti. A partire dal 13 maggio non viene più applicato il “Title 42”, una parte della legge sull’immigrazione che consentiva di effettuare rapidamente respingimenti, pur mantenendo qualche flessibilità. Nelle principali città di confine come El Paso in Texas, divisa da Ciudad Juárez in Messico dal Rio Grande, migliaia di persone sono state radunate in campi di accoglienza di fortuna in attesa di avere notizie sulle nuove regole. Le autorità locali hanno segnalato una situazione molto difficile, con un aumento dei flussi che potrebbe proseguire nelle prossime ore. Ne parliamo con Fausta Speranza, giornalista dell’Osservatore Romano e autrice del libro “Messico in bilico, viaggio da vertigine nel paese dei paradossi” (ed. Infinito, 2018) e di “Il senso della sete” (ed. Infinito, 2022, in ristampa). Ascolteremo inoltre la voce di Giovanni Lepri, rappresentante in Messico dell’UNHCR, l’alto commissariato della Nazioni Unite per i rifugiati.

https://www.raiplaysound.it/audio/2023/05/Radio3-Mondo-del-12052023-37936d86-0232-4310-9900-2961a4780a7d.html

 

Femminile Cinema Bellezza: con Rosario Tronnolone e Liliana Cantatore

11 Maggio 2023

Femminile Cinema Bellezza

Sala Capitolare Basilica di San Lorenzo in Damaso, Piazza della Cancelleria

 

 

un’iniziativa dell’associazione Donne in vaticano D.VA

Affascinante spunto dal volume

Alfred Hitchcock Ritratti di signore (EdizioniSabinae)

particolare autobiografia artistica scritta da Rosario Tronnolone. A presentarlo Liliana Cantatore e Fausta Speranza. Con il saluto conclusivo della presidente di D.VA Margherita Maria Romanelli.

A poco più di quaranta anni dalla scomparsa del celeberrimo regista, la visione ragionata e appassionata dei suoi film offerta dall’autore facendo focus sui ruoli femminili più affascinanti, aiuta a parlare di Bellezza. Le opere di Hitchcock nella rilettura di Tronnolone si presentano come «un’autobiografia dell’anima, spesso ironica, a volte dolorosa, sempre avvincente». Come sottolinea Cantatore, Hitchcock, geniale inventore di forme, ha saputo coniugare il cinema d’autore con il successo commerciale, la ricerca e la sperimentazione stilistica con la riconoscibilità rassicurante del cinema di genere, l’angoscia con l’umorismo. Tronnolone mette in luce come abbia guidato «le attrici più affascinanti del grande schermo chiamandole di volta in volta a reiterare un vago ideale, a dar vita ad un fantasma d’amore».

La magia dell’invenzione cinematografica e la bellezza scenica – afferma Speranza – suggerisce una modalità elegante per ricordare il contributo vero delle donne alla Bellezza. L’obiettivo è quello di individuare valori profondi con la fantastica leggerezza di Hitchcock che diceva: «I miei film non sono fette di vita, sono fette di torta!».

D.VA ha l’obiettivo di creare una rete di conoscenza, di amicizia e di solidarietà fra tutte le socie, per promuovere una crescita umana e professionale sempre più costruttiva e fruttuosa. Nella convinzione che – come ha detto Papa Francesco – «quando le donne hanno la possibilità di trasmettere in pienezza i loro doni all’intera comunità, la stessa modalità con cui la società si comprende e si organizza ne risulta positivamente trasformata», l’Associazione promuove iniziative culturali come questa felice di “dialogare” con artisti e autori uomini.


10 maggio 2023

“Il cinema è immaginazione e storia, emozione e cultura. E’ anche svago, sogno, libertà. Ha impresso segni indelebili nella memoria di ciascuno e appartiene alla nostra civiltà come uno dei suoi tratti identitari” 

Così il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della cerimonia al Quirinale il 10 maggio 2023 per la presentazione dei candidati ai premi ‘David di Donatello’.

 

11 maggio 2923

In tema di beni artistici e valori, l’auspicio del Segretario di Stato cardinale Parolin (nel messaggio alla conferenza European Cathedrals Malta 2023. The Equilibrium between Conservation and Spirituality a Malta):

«che l’arte sia un mezzo sempre più efficace per avvicinare quanti sono alla ricerca di senso al messaggio evangelico e susciti in ogni persona di buona volontà quell’amore di bellezza che apre lo spirito alla verità e al bene»

 

Preservare arte e significati dalla tecnocrazia

11 maggio 2023

Preservare il patrimonio culturale conservando «la profondissima relazione tra arte e spiritualità» e contrastando l’orizzonte limitato del «paradigma tecnocratico»: è questo, in estrema sintesi, l’appello che il Segretario di Stato cardinale Pietro Parolin rivolge a tutti e in particolare ai «decisori politici» nel messaggio inaugurale indirizzato all’arcivescovo Savio Hon Tai-Fai, nunzio apostolico a Malta, in occasione della conferenza European Cathedrals Malta 2023. The Equilibrium between Conservation and Spirituality, in corso oggi e domani (11 e 12 maggio), a Malta, presso la Concattedrale di San Giovanni.

Il cardinale Parolin ricorda che tutti gli sforzi in termini di restauro e preservazione di oggetti artistici non possono prescindere dalla «conservazione dei significati e dei valori storici, culturali e religiosi che quegli oggetti esprimono». Citando Michelangelo e Kandinsky, sottolinea come da sempre gli artisti parlino dell’arte in relazione alla sacralità, di «necessità interiore», di «impulso spirituale», di risposta alla «fame spirituale» dell’essere umano. E ricorda che «tutti i maggiori movimenti spirituali compreso quelli non credenti hanno esercitato una grande influenza nell’arte nei secoli».

Emerge un primo punto fermo concettuale: «Gli artisti hanno aiutato la Chiesa a tradurre il suo messaggio divino nel linguaggio delle forme e delle figure, rendendo palpabile il mondo invisibile», «il culto ha sempre trovato nell’arte un naturale alleato». Per poi spiegare che «non è quindi esagerato affermare che una scienza della conservazione basata sui valori è per sua stessa natura una forma di spiritualità poiché mira a estendere nel tempo i valori attribuiti sia alla dimensione tangibile che a quella immateriale del nostro patrimonio culturale». Innanzitutto in queste considerazioni, dunque, si inquadra l’impegno della Chiesa «promotrice e guardiana dell’arte sacra» e della Santa Sede di cui il cardinale Parolin ripercorre tappe estremamente significative. Cita l’adesione della Santa Sede nel 1962 alla Convenzione Culturale Europea, la firma della Dichiarazione Europea sugli Obiettivi Culturali a Berlino nel 1984, la nascita della Pontificia Commissione per la Conservazione del Patrimonio Artistico e Storico della Chiesa nel 1993. Di san Paolo VI ricorda le parole rivolte agli artisti nel 1964 nella Cappella Sistina: «Il tuo mestiere, la tua missione, la tua arte è proprio quella di cogliere i tesori del celeste regno dello spirito e di rivestirli di parole, colori, forma e accessibilità» per «conservare l’ineffabilità di un tale mondo, il senso della sua trascendenza, la sua aura di mistero, questa esigenza di raggiungerlo con facilità e fatica insieme». Di san Giovanni Paolo II riporta un’espressione ricorrente: «Gli artisti partecipano all’artigianato creativo di Dio attraverso le loro opere d’arte». Della Pontifica Commissione in particolare ricorda l’invito a «“rileggere” il patrimonio culturale della Chiesa dalle maestose cattedrali agli oggetti più piccoli; dalle meravigliose opere d’arte dei grandi maestri alle minori espressioni delle arti più povere».

E c’è poi l’invito di Papa Francesco a ragionare in termini di «incontro» e di necessario cambiamento di mentalità e di azioni che — suggerisce il cardinale Parolin — si traduce su questi temi in una raccomandazione precisa: «L’incontro tra chi si occupa di conservazione e il patrimonio culturale non dovrebbe essere condizionato dal paradigma tecnocratico che promuove atteggiamenti, approcci e preoccupazioni sbagliati limitati alla sola conservazione del tessuto fisico di oggetti artistici. Restauratori e custodi d’arte si prendono cura sia della dimensione fisica ed esteriore del nostro patrimonio culturale sia della sua realtà immateriale e soprasensibile».

Il richiamo è forte anche nell’enciclica Laudato si’, dove — ricorda il Segretario di Stato — «Papa Francesco lamenta come l’attuale orizzonte della tecnocrazia riduce tutti gli oggetti all’efficienza, alla ricerca del profitto e al consumismo». Francesco sottolinea che al contrario «quando la saggezza prevale sull’arroganza tecnocratica, allora il processo di conservazione culturale diventa un incontro con la realtà sacra che si manifesta oltre l’apparenza superficiale» e «il processo di conservazione diventa un’esperienza spirituale di incontro con il mistero». L’obiettivo — chiarisce il cardinale Parolin — è «garantire una comune consapevolezza e sensibilità morale tra i decisori politici», così come — sottolinea — ha ribadito Papa Francesco il 20 dicembre 2013 ai diplomatici italiani incoraggiandoli precisamente a «mettere in campo il patrimonio culturale dell’arte per diffondere una cultura dell’incontro».

Il pensiero va alle prossime generazioni, afferma il cardinale Parolin citando l’impegno dell’Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Unesco a promuovere la convinzione che «gli approcci alla conservazione non dovrebbero solo cercare di preservare il mondo dell’arte come portatore di bellezza, ma anche, e soprattutto, come sintesi di valori religiosi e spirituali che non possono prescindere dall’incontro con la comunità di appartenenza e con i suoi contesti storici, geografici e architettonici».

In conclusione, si legge l’auspicio del cardinale Parolin che «l’arte sia un mezzo sempre più efficace per avvicinare quanti sono alla ricerca di senso al messaggio evangelico e susciti in ogni persona di buona volontà quell’amore di bellezza che apre lo spirito alla verità e al bene».

di FAUSTA SPERANZA

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2023-05/quo-109/preservare-l-arte-dalla-tecnocrazia.html

alla Società Geografica Italiana per parlare di Sviluppo Sostenibile

8 Maggio 2023

presso la Società Geografica Italiana

nell’ambito dell’Edizione 2023 del Festival dello Sviluppo Sostenibile

“Forum permanente sulle sfide che ci attendono verso la transizione ecologica” 

dibattito su Acqua e sfide della transizione ecologica

Tema dell’intervento di Fausta Speranza La liquidità dei diritti

Locandina 8 maggio 2023_finale

8 maggio 2023

giornata di confronto sui temi della sostenibilità, cambiamenti climatici e transizione giusta per il futuro del Mediterraneo  da titolo organizzato dal CREA – Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria – Centro di ricerca Politiche e Bioeconomia (CREA-PB) e dal Forum Permanente del Mediterraneo e Mar Nero – Lion, costituito dai Lions e Leo Clubs aderenti

Obiettivo dell’evento l’attivazione e la creazione di una rete costituita da vari attori (istituzioni, università, scuole, giornalisti, ricercatori, associazioni, società civile) e unita da varie tematiche di comune interesse quali lotta al cambiamento climatico, transizione giusta, tutela delle risorse naturali, transizione energetica e circolarità della cultura.

http://www.pianetapsr.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/2929/UT/systemPrint

 

 

Centre international de Formation européenne e «Fortezza Libano»

Fortezza Libano è testo citato nell’ambito del corso 
Études méditerranéennes  
Centre international de Formation européenne (CIFE)
un’intervista a Fausta Speranza è pubblicata nella tesi
 di Ylenia Romanazzi  (Directeur du Mémoire: Matthias Waechter; Deuxième Directeur de Mémoire: Claude Nigoul, anno accademico  2021/2022)
sul tema:

La diplomatie du Saint-Siège au Liban

di seguito l'intervista a Fausta Speranza riportata nella tesi:

1. Dans la préface de votre livre “Fortezza Liban”, l’historien Massimo Campanini considère le système confessionnel libanais comme l’une des principales causes de l’équilibre précaire du “pays des cèdres”. Fausta Speranza,quel est votre point de vue à ce sujet?

Tout d’abord, je voudrais rappeler l’exquise compétence du professeur Campanini et combien sa perte est douloureuse. Sa préface n’est en fait pas en désaccord avec l’analyse que je présente dans le texte. Si le professeur se disait moins optimiste. Je clarifie ma pensée : il ne fait aucun doute qu’aujourd’hui, au Liban, est en jeu un nouveau projet de pays qui implique en quelque sorte la perspective d’un nouveau pacte national, plus centré sur l’idée et la pratique de la citoyenneté que sur la répartition des charges institutionnelles sur la base du confessionnalisme. Je crois moi aussi que l’enjeu n’est pas seulement un changement de gouvernement ou de politique, mais plutôt un changement de système. Le système politique confessionnel qui a certainement représenté pendant des années une ancre de stabilité a cependant montré ses limites. Il a reflété les humeurs des patrons étrangers et a été marqué par la difficulté de mener à bien des réformes vers un modèle plus durable. En effet, le système politique au nom du confessionnalisme est dominé par des alliances électorales ad hoc, constituées par des négociations et étudiées sur des compromis autour de certaines personnalités. De cette façon, des listes qui n’ont pas de base idéologique partagée apparaissent et, par conséquent, des groupes parlementaires bien identifiables font défaut.

À ce stade, je considère qu’il est nécessaire de développer une véritable conscience de la citoyenneté, c’est-à-dire la conscience d’être libanais avec le courage d’aller au-delà des appartenances confessionnelles. Jusqu’à présent, cela n’a pas été possible et je pense aussi qu’il est très délicat de penser ce qui devrait venir après une éventuelle déconfessionnalisation, comme l’introduction hypothétique du fédéralisme, d’un système électoral proportionnel.

Tout doit être en ligne avec les exigences les plus vraies de la population et au service du bien commun. La question vraiment brûlante est qu’actuellement le Liban est comme un échiquier après que d’autres jouent des matchs internationaux. Toute transformation risque d’être dictée par des stratégies étrangères et non dans l’intérêt des Libanais. Le dépassement du confessionnalisme est donc le bienvenu s’il ne devient pas un affaiblissement supplémentaire du pouvoir des citoyens sur leur destin. Il faut le faire mais en évitant les risques et surtout en conservant les meilleures inspirations qui ont conduit au confessionnalisme.

2. En juillet 2019, Raya al Hassan est entrée dans l’histoire en tant que première femme dans le monde arabe à être ministre de l’intérieur et des municipalités du Liban. Quels ont été, selon vous, les facteurs qui ont rendu le Liban unique dans le scénario méditerranéen?

Al-Hassan a également fait les gros titres en 2009, lorsqu’elle est devenue la première femme de la région à être nommée ministre des finances. Auparavant, il avait travaillé sur des programmes administratifs sous les auspices du Programme de développement des Nations unies et de la Banque mondiale. Sans aucun doute, dans le contexte des événements du Proche-Orient, les Libanais ont joué un rôle important dans la renaissance culturelle et politique du monde arabe grâce à l’épaisseur culturelle qui plonge ses racines dans les influences d’origine phénicienne, grecque, romano-égyptienne et française en plus d’être fortement influencé par une matrice islamique. Aujourd’hui, seule une saine planification de la paix, partagée à l’intérieur et à l’extérieur du territoire, peut endiguer de nombreuses logiques de domination et de nombreux risques. Et il est beau de penser que cette épaisseur culturelle est une ressource et que le féminin peut incarner précisément cette ressource en alternative idéale avec des logiques de pouvoir et de conflictualité.

3. La spécificité libanaise dérive de l’importance démographique des communautés chrétiennes sur l’ensemble de la population, en particulier l’Église maronite. Selon vous, quelle contribution cela peut-il apporter à la stabilité du pays?

La question ne se pose plus en termes numériques. Au-delà des mises à jour sur les pourcentages de chaque confession religieuse, je crois que le véritable potentiel des chrétiens est comme toujours la force du message. J’aime penser symboliquement à l’imposante statue au Sanctuaire de Notre-Dame du Liban ou Sanctuaire de Harissa, lieu riche de souvenirs et de tradition qui – caractéristique très particulière et émouvante – tient beaucoup à cœur non seulement aux catholiques.

On se retrouve musulman ou athée en prière et en recueillement. Harissa est une petite ville située à environ vingt-cinq kilomètres de Beyrouth, sur une colline surplombant la ville côtière de Jounieh à six cents mètres d’altitude.
La grande statue blanche de la Vierge apparaît du haut de la colline : elle a les bras ouverts et est tournée vers la mer. Sur le flanc de la colline on voit le siège patriarcal de l’Eglise d’Antioche des maronites à Bkerké; au sommet, le couvent des pères missionnaires de Saint Paul, appartenant à l’Eglise grecque melkite catholique; un peu plus haut, à quelques centaines de mètres, le siège de la Nonciature apostolique au Liban et à proximité du couvent des Franciscains; plus loin, celui de Chargé, siège du Patriarcat syro-catholique, tandis que sur la colline de Bzommar se trouve le Patriarcat arménien-catholique.

La vallée ci-dessous est spectaculaire et la vue de nombreux pèlerins, chrétiens et musulmans, est touchante. Voilà, je crois que c’est dans cette étreinte idéale qu’il faut imaginer la contribution des Maronites.

Le pape François, lors de l’audience aux évêques de l’Église d’Antioche des maronites, libanais et de la diaspora, en visite ad limina le 20 novembre 2018, a déclaré: “Merci à la communauté libanaise pour maintenir l’équilibre créatif – fort comme les cèdres – entre chrétiens et musulmans, sunnites et chiites; un équilibre de patriotes, de frères”. On ne peut pas mieux s’exprimer sur la contribution que l’Eglise maronite peut apporter.

4. Au cours de l’histoire, plusieurs papes se sont successivement rendus dans le pays des cèdres. Comment ont changé, selon vous, les relations diplomatiques entre le Saint-Siège et le Liban?

Je ne pense pas être en mesure de répondre correctement à cette question. Je peux seulement dire que le message de paix est toujours le même, mais le paysage de toute la région a changé: le Liban est un petit pays qu’il faut regarder en tenant compte du contexte régional. Au cours des dernières années, en particulier des dix dernières années, les chrétiens y sont de plus en plus persécutés, des communautés entières ont dû quitter leurs maisons, même de manière brutale. C’est un élément qui, je crois, a dû être pris en compte dans le temps.

 

Bibliographie

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Ricucire il tessuto dei significati

Le opere di Sidival Fila accanto a codici, volumi e monete

L’ago di un contemporaneo e manoscritti secolari si intrecciano offrendo una riflessione profonda sul tema del riscatto e del riuso. Accade nella dimensione artistica della particolarissima mostra inaugurata il 28 aprile alla Biblioteca apostolica vaticana dell’opera di Sidival Fila; l’esposizione (visitabile fino al 15 luglio) è realizzata in collaborazione con l’omonima Fondazione filantropica. Immediato il richiamo a «uno dei passaggi più significativi del magistero di Papa Francesco», sottolinea il Bibliotecario di Santa Romana Chiesa, l’arcivescovo Angelo Zani, ricordando l’intuizione del Pontefice sulla necessità di combattere la cultura dello scarto.

A intrecciarsi negli spazi espositivi sono raffinatezza e significati. Sidival Fila, frate minore francescano (nato nel 1962 nello Stato del Paraná in Brasile), da tempo esprime la sua arte, riconosciuta a livello mondiale, servendosi di ago, tessuti, oggetti di recupero, fili che cuciono e ritessono tele di ieri e di oggi. Il vissuto di materiali come lino, cotone, seta, canapa, broccati, che in alcuni casi hanno da raccontare secoli di storia, rivive nel recupero del frammento o dello scarto e i significati possono essere diversi: nel riuso, la valorizzazione passa attraverso il nuovo scopo immaginato, mentre, parlando di riscatto, si percepisce il tentativo di una valorizzazione quasi ontologica, cioè a prescindere da una eventuale nuova utilità. In ogni caso, l’elemento costante nel percorso di Fila è la ricerca del contatto con la materia alla quale l’opera d’arte vuole restituire una voce. Nell’intervista all’artista realizzata da Enrica Riera per l’inserto del nostro giornale  «Quattro pagine», parlando della vendita delle sue opere, Fila confidava: «Faccio fatica a liberarmene se non quando capisco che chi vuole acquistarne una la ama».

«L’incontro con Sidival Fila ci ha ispirato un viaggio nelle trame della nostra stessa storia», spiega don Giacomo Cardinali, commissario dello spazio espositivo e curatore della mostra insieme con Simona De Crescenzo e Delio Proverbio della Vaticana. Cardinali aggiunge che è stata l’occasione per recuperare personaggi geniali sebbene quasi sconosciuti, come Antonio Piaggio, collezionisti “furiosi”, come il marchese Capponi, pittori e decoratori minori tra xviii e xix secolo, come Biagio Cicchi e Filippo Cretoni, e poi lacche vietnamite, rotoli magici etiopici, monete ribattute o trasformate in gioielli, amuleti cinesi e molti altri casi di riuso, attraverso i quali antichi frammenti della nostra storia sono sopravvissuti alla fine della loro epoca.

Tra le preziosità della Biblioteca in mostra accanto alle opere di Fila, ricordiamo il frontespizio di un volume a stampa della seconda metà del Cinquecento ricostruito a pennino e inchiostro da un calligrafo romano del Settecento che ne imita la versione originale nei minimi dettagli; due pannelli lignei (visibili per la prima volta) che rappresentano, assieme ad altri due, quel che resta della decorazione degli sportelli del Salone Sistino della Vaticana terminata da Cicchi tra 1758 e 1759. Tra il materiale numismatico, si trova un esemplare delle monete coniate nel 1527 per liberare Clemente vii dalla prigionia dei Lanzichenecchi durante il sacco di Roma.

Il nuovo prefetto della Biblioteca Apostolica, monsignor Mauro Mantovani, ricorda che con questa esposizione la Biblioteca taglia il traguardo delle quattro mostre dedicate al dialogo e al confronto con la cultura e con l’arte contemporanea. «Si tratta di speciali occasioni di studio e di conoscenza sia del mondo che ci circonda, che è anche il nostro, sia di promozione e valorizzazione del nostro stesso patrimonio, di cui ogni artista ci aiuta a cogliere ed evidenziare uno o più aspetti ancora nascosti o addirittura sconosciuti». (fausta speranza)

29 Aprile 2023

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2023-04/quo-100/riscatto-e-riuso-per-superare-la-cultura-dello-scarto.html

Storie di vita impresse nella pietra in tre dimensioni

17 aprile 2023

Il fascino dell’antichità più o meno celata e conservata si intreccia con storie eterne di amori e di potere, e l’archeologia si sposa con tecnologia e ipertesti. Accade nel libro intitolato Regilla. Luce della casa, a cura di Paolo Re e Tommaso Serafini (Roma, Arbor Sapientiae Editore, 2023, pagine 127, euro 18) che segue il filo logico della «strategia comunicativa» di Erode Attico percorrendo l’Appia antica.

Lo scenario è il cosiddetto Pago Triopio, l’area che potremmo definire adibita all’epoca a comprensorio, che si estendeva approssimativamente nella zona tra la chiesa del Quo Vadis e via dell’Almone. A ridosso c’era un imponente palazzo, di cui sono rimasti tra l’erba a testimoniarne l’importanza solo blocchetti di tufo per opera reticolata, mattoni triangolari, tegole, basoli isolati, selci, blocchi di travertino, lastrine di opus sectile marmoreum, tessere di mosaico, frammenti di intonaco colorato di rosso, azzurro o bianco.

Cinque epigrafi trovate, dette appunto iscrizioni triopee, forniscono notizie interessanti sull’origine e sull’organizzazione dell’area voluta da Tiberio Claudio Erode Attico, uomo molto ricco, nato tra il 100 e il 101 d.C., retore, filosofo, precettore degli imperatori Lucio Vero e Marco Aurelio, governatore di una parte dell’Asia e della Grecia. Aveva sposato Annia Regilla discendente dall’antica famiglia dei Regoli, che annoverava fra gli antenati il celebre Attilio morto durante la guerra punica. Fu lei a portare in dote al marito il fondo lungo il III miglio della via Appia. Su una colonna di marmo collocata originariamente all’ingresso del Triopio, ora ai Musei Capitolini, è scritto in latino e in greco: «Annia Regilla, moglie di Erode Attico, luce della casa, alla quale appartennero questi beni». La storia narra che quando morì, nel 160-161 d.C., Erode fu accusato dal cognato di averla assassinata, subì per questo un processo, da cui uscì assolto.

Le iscrizioni ci raccontano di campi di grano, olivi, vigne, prati, addirittura la stazione di “polizia”, il campo sacro a Nemesi e Minerva, il parco, il villaggio colonico che era dalle parti di Cecilia Metella e, nel luogo in cui successivamente fu costruito il Palazzo di Massenzio, la villa residenziale. È citato un tempio dedicato a Cerere, la dea romana corrispondente alla Demetra dei greci, e a Faustina moglie dell’imperatore Antonino Pio, morta poco tempo prima e “divinizzata”, al cui interno Erode collocò la statua della moglie.

In una delle due iscrizioni su grandi colonne di marmo cipollino, che si trovano ora al Museo Nazionale di Napoli, si legge: «Non è permesso ad alcuno di portarle via dal Triopio, che è situato al III [miglio] della via Appia, nel possedimento di Erode. Chi le rimuoverà non ne riceverà certo vantaggio. Ne è testimone la dea infernale (Hecate) e le colonne che sono dono a Cerere e a Proserpina e agli dei Mani e [a Regilla]». Due iscrizioni — le originali si trovano oggi al Louvre e una copia a villa Borghese — sono scolpite su cippi di marmo pentelico e contengono un lungo panegirico in versi, composto da Marcello Sideta, un poeta amico di Erode.

Tra le particolarità del libro c’è il fatto che vengono riproposte le traduzioni dei versi fatte da Giacomo Leopardi, mentre collegamenti multimediali spalancano opportunità di letture in metrica o letture espressive di brani, ricostruzioni in tre dimensioni di monumenti, riferimenti storici contestuali, storie e leggende di eroine e divinità. Ad esempio, la tecnologia aiuta a focalizzare le colonne e le varie epigrafi con movimenti visivi che permettono di comprendere come alcune iscrizioni sono state aggiunte in un altro pezzo di storia in cui le colonne sono state capovolte e praticamente “riciclate”. Reperti e passaggi storici mancano alle ricostruzioni degli studiosi, ma quello che sopravvive si arricchisce in modi diversi. È proprio quello che contribuisce a mettere in luce il libro, dedicato a epigrafi antiche e pensato per la dinamicità mentale delle nuove generazioni.

di FAUSTA SPERANZA

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2023-04/quo-089/storie-di-vita-impresse-nella-pietra-in-tre-dimensioni.html

Restaurare le sorprese

3 Aprile 2023

I lavori nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo

 Restaurare le sorprese

Un restauro divenuto scoperta promette altre sorprese. I lavori di recupero del Coro dei Laici della Basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo hanno regalato alla città, che quest’anno è capitale italiana della cultura, un affresco di una Madonna col Bambino del Trecento e un’inedita parte della tarsia dedicata a Caino e Abele, conservata intatta dal Cinquecento. È stato inoltre svelato l’antico sistema di “coperti” delle tarsie e il suo originale meccanismo a scomparsa. Ma non c’è solo la soddisfazione per il maggiore apprezzamento delle opere restaurate e per le scoperte fatte: c’è anche un’accresciuta attesa per quel che resta delle preziosità di cui ci si prenderà cura prossimamente. Oltre alla sezione dedicata ai laici, infatti, il Coro ligneo si compone di una seconda parte, il Coro dei Religiosi, il cui restauro sarà ultimato entro l’autunno 2023. In sostanza, l’intervento di restauro, ancora in corso, restituirà alla città l’intera sequenza di tarsie lignee raffiguranti immagini di storie bibliche e simboliche, la cui esecuzione si colloca tra il 1523 e il 1555. Il tutto accade a 500 anni dall’inizio dei lavori di costruzione.

Per quanto riguarda il Coro ligneo, è impreziosito da ventinove tarsie che rappresentano scene dell’Antico Testamento, disegnate dal Lotto e realizzate dal maestro intarsiatore Capoferri. È il coro più “recente” — realizzato tra il 1553 e il 1555 — e occupa l’area absidale della Basilica. Il nome di questa sezione del Coro fa riferimento alla posizione in cui sedevano durante le celebrazioni i congregati laici.

Il restauro, avviato ad aprile 2022 — a cura di Luciano Gritti dell’omonima Bottega di restauro con la supervisione della Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Bergamo e Brescia, con il sostegno della Fondazione Banca Popolare di Bergamo — è avvenuto con modalità innovative e partecipate, che permettono di coinvolgere non solo i numerosi turisti in visita in città, ma anche i bergamaschi, in particolare gli studenti. Quello allestito all’interno della Basilica di Santa Maria Maggiore, infatti, è un “cantiere vivo”, delimitato da pannelli trasparenti su cui sono riportati testi, immagini e QR code che permettono l’approfondimento di contenuti storici e artistici legati all’opera e al suo contesto. A oggi, oltre 500 mila persone hanno visitato il cantiere di restauro.

Grazie all’intervento, sono state scoperte opere inedite sia al pubblico che agli addetti ai lavori. La prima è un affresco di fine Trecento raffigurante una Madonna col Bambino, rimasta nascosta fino a oggi dietro a una tarsia del Coro. La seconda testimonianza è un’opera attribuita al pittore pavese del Cinquecento Francesco Rosso, intarsiata da Capoferri, raffigurante Caino e Abele. È oggi visibile per la prima volta dal Cinquecento.

La terza grande scoperta attiene all’antico sistema di “coperti” delle tarsie. Dalla metà del XIX secolo le tarsie sono state nascoste alla vista del pubblico da coperchi di legno e, prima del restauro, solo alcune erano osservabili durante le visite guidate. Smontando la parte presbiteriale del Coro, — raccontano i restauratori — la più antica e cioè il Coro dei Religiosi), si è scoperto che le tarsie con simbologie neoplatoniche lì disposte erano in origine pensate come coperchi, “coperti” appunto, delle tarsie a tema testamentario. Fino a oggi gli studiosi non erano riusciti a spiegare la funzione dei “coperti”. Stefano Marziali, docente alla Scuola di restauro dell’Accademia di Verona, spiega che è venuto alla luce un sistema unico e mai visto in un oggetto di questo tipo: le sedute del coro presbiteriale erano state predisposte per ospitare un originale sistema a scomparsa, ovvero la tarsia simbolica sarebbe sparita dietro l’alzata della seduta con un sistema a ghigliottina, lasciando scoperta la tarsia biblica.

Marziali precisa che le tarsie sono 36 coperti e 34 scene bibliche che formano un percorso propedeutico alla meditazione intellettuale e spirituale. Immagini simboliche che sintetizzano visivamente i temi attinti dagli eterogenei campi di ricerca del Rinascimento, una sintesi fra temi religiosi e archetipi pagani: alle storie bibliche, infatti, si sono aggiunte metafore dell’alchimia, figure care all’ermetismo, suggestioni della mitologia greco-romana e concetti della filosofia neoplatonica. Luciano Gritti, restauratore dell’omonima Bottega di Restauro sottolinea che le parti intagliate, dopo gli interventi di pulitura, tornano a mostrarsi nella loro tinta originaria: il bosso, il noce, la quercia affogata, che creano, insieme, «un effetto straordinario». Si tratta di immagini complesse, con una costruzione narrativa che spesso offre una molteplicità di interpretazioni, a volte anche in contraddizione l’una con l’altra. Racconti intensi, a volte anche violenti, come le tarsie dedicate all’uccisione di Abele, al martirio dei fratelli Maccabei con la madre o alla storia di Lot in fuga da Sodoma e Gomorra. Ma nell’insieme le tavole accompagnano nel racconto biblico con armonia ed immensa delicatezza e l’immagine della Madonna ritrovata catalizza e accompagna le emozioni.

di FAUSTA SPERANZA

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2023-04/quo-078/restaurare.html

Saperi di sabbia

01 Aprile 2023

Tornano i visitatori nelle Biblioteche del deserto

Saperi di sabbia

Chinguetti era uno ksar, un villaggio fortificato berbero diffuso nel Maghreb, uno dei tanti in Mauritania in cui si camminava tra abitazioni e granai e in cui si fermavano viandanti sulle vie carovaniere. Era più ricco di altri e, a dimostrazione della sua importanza, offriva spazi per la lettura in ben 24 biblioteche.

Oggi la cittadina di Chinguetti si presenta divisa in due da un fiume di sabbia, parte vecchia e parte nuova. La desertificazione ha privato di ogni solennità l’accesso a quella che è stata la via principale, ma l’ingresso nelle stanze che conservano libri regala la meraviglia di circa 700 testi antichi e preziosi, rarissimi manoscritti, messi insieme a partire dal 1699.

Si tratta di un universo culturale contenuto all’interno della tipica area cinta da un muro con quattro torri e una sola entrata, ma nutrito da contributi provenienti da tanti Paesi del Nord Africa e del Vicino Oriente. Arrivano da tempi passati. Il più antico è di Ebi Hilal el—Askeri, un testo di teologia autografo, del 480 dell’Egira.

Al largo delle coste di Chinguetti si trova il giacimento petrolifero omonimo, segno evidente dello sviluppo che ha conosciuto il Paese dell’Africa occidentale e delle risorse divenute preziose nel secolo scorso. Nel dinamismo vorticoso dei processi industriali c’è stato chi ha lanciato il primo appello a salvare dalla distruzione le opere che erano custodite in scaffali del tutto inadeguati, invasi dalle termiti: nel 1949 lo studioso mauritano Mokhtar Ould Hamidoun ha pubblicato l’inventario che ha dato il via all’impegno di recupero e cura degli inestimabili testi che sono passati dalla gestione di privati senza mezzi alla protezione internazionale.

I volumi conservati a Cinguetti provengono da Egitto, Siria, Turchia, dal Maghreb. Alcuni sono identificabili per un genere di scrittura comune all’attuale Marocco, Algeria, Tunisia. Fra i pezzi davvero importanti viene messo in evidenza il testo del Corano di Buaïn çafra (colui che ha l’occhio giallo) ed è un manoscritto orientale miniato da Mohammed Ben Abou’l Qayym el-Qawwal e Tebrizi. Su questo testo il cadì di Chinguetti faceva giurare i testimoni. È conservata anche una produzione di eruditi locali, circa 240 volumi di autori legati ai centri di Ouadane, Oualata, Tichitt, Atar, Trarza e alla regione di Tagant con opere a volte in più volumi. Sono conservate anche una cinquantina di opere del mistico e politico sahrāwī Maa el Ainin stampate a Fez, in Marocco.

Un patrimonio eccezionale che, dopo tante vicende, sembrava felicemente approdato nel 1996 sotto l’ala protettrice dell’Unesco. Ma la dichiarazione di sito Patrimonio dell’umanità, che è stata decisiva per dare il via a tante iniziative di conservazione e tutela, non ha potuto nulla o quasi nulla di fronte all’imperversare del terrorismo a inizio secolo, quando sotto sigle diverse più o meno comunicanti, gruppi armati, dall’Iraq al Mali, dall’Afghanistan alla Somalia, dalla Siria alla Nigeria, e non solo, hanno portato orrore e distruzione. I manoscritti di Chinguetti fortunatamente non hanno subito attacchi, come purtroppo è successo, tra gli altri, al preziosissimo museo di Palmira in Siria, ma l’incombere delle azioni terroristiche sulla macroregione africana ha significato un doloroso isolamento e ha segnato un passo indietro nel percorso verso la tutela del patrimonio librario.

Attualmente Cinguetti si raggiunge in fuoristrada partendo da Atar, capoluogo della regione montana dell’Adrar a ridosso del Sahara occidentale. Grazie a varie misure prese da qualche tempo, in particolare su impulso dell’antropologo italiano Attilio Gaudio, il ricco patrimonio è sempre più protetto dall’avanzata delle sabbie.

Torna a crescere il numero dei visitatori a Cinguetti e anche in altre città nel centro sud della Mauritania come Ouadane, Tichitt, Oualata, depositarie di altri volumi antichi, altrettanti siti Patrimonio dell’umanità.

Si può provare a comprenderne il valore immergendosi in un tempo lontano, quando soprattutto Chinguetti ma anche Ouadane, Tichitt, Oualata erano considerate, secondo una remota tradizione locale, il settimo luogo santo dell’Islam. In ogni caso, erano tappe obbligate per le carovane che attraversavano il deserto collegando l’area mediterranea con l’Africa subsahariana e che qui potevano trovare non solo ristoro, ma anche un ambiente vivace dal punto di vista intellettuale e sociale. Una scia di saperi che dopo secoli continua a tenere vivo il fascino delle Biblioteche del deserto.

di FAUSTA SPERANZA

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2023-04/quo-077/saperi.html