su Famiglia Cristiana: Terra Santa, a Gerusalemme un museo che “racconta” la convivenza delle fedi

Terra Santa, a Gerusalemme un museo che “racconta” la convivenza delle fedi

 

 

07/02/2025  I lavori sono avviati 
e sarà ospitato nel complesso della Chiesa del Salvatore a Gerusalemme. Il superiore della Basilica del Santo Sepolcro, fratel Stefan Milosevich: «L’obiettivo è di raccontare attraverso documenti storici e opere d’arte della Custodia lo spessore storico della convivenza possibile di questa terra dove, nonostante tutto, da otto secoli i cristiani convivono con ebrei e musulmani. Questa non è la città che divide ma dove si vive insieme»

di Fausta Speranza

“Nessuna ricerca identitaria, piuttosto una ricca rappresentazione della condivisione che vive da secoli Gerusalemme, anche quando si racconta solo altro”: nelle parole del Superiore della Basilica del Santo Sepolcro, fratel Stefan Milosevich, è questo l’obiettivo del secondo grande polo espositivo che sta nascendo grazie ai frati della Custodia di Terra Santa nel cuore più antico della città.

Arte e Storia in un Museo

Si tratta del Museo dedicato ad Arte e Storia ospitato nel complesso della Chiesa del Salvatore, mentre quello archeologico, fondato nel 1902 e modernizzato di recente, si trova attiguo alla Chiesa della Flagellazione. “E’ un’operazione culturale nel senso più autentico perché racconta l’incrocio delle culture”, ci dice fratel Stefan, mentre ci apre la porta su sale che avvertiamo piene di significati anche se si presentano appena pitturate e ancora vuote. Ci preannuncia l’arrivo “a breve” del “maestoso bassorilievo di risurrezione” per l’ingresso del Museo. Per l’apertura del Museo invece non c’è certezza.

La promessa è coinvolgente:

Chi viene in Terra Santa ritrova luoghi originari della propria fede ed è la straordinaria ricchezza che ognuno si aspetta, ma c’è anche una dinamica opposta: nelle opere che conserviamo in Terra Santa si ritrovano radici occidentali”. Testimonianze uniche di vari periodi storici che altrove sono state travolte da conflitti e distruzioni mentre “qui, nella terra considerata troppo spesso solo come luogo emblematico di conflittualità, sono preservate e conservate”.

L’impressione è di trovarsi all’interno di uno scrigno dove le preziosità tradiscono lo splendore della cura nella provvisorietà di un trasloco, mentre il valore della memoria illumina tutto.

Opere ed oggetti sono stati catalogati come i quadri, o restaurati come le ceramiche.

Attese e speranze

Manca il passo decisivo dell’allestimento vero e proprio. Fratel Stefan ci confida: “Abbiamo avuto una battuta d’arresto per l’escalation delle violenze dal 7 ottobre 2023 perché “la Custodia ha deciso di devolvere le risorse per l’assistenza di civili, in particolare di donne e bambini”, vittime di conflitti che in questa regione hanno diversi fronti. La priorità sono sempre le persone ed è proprio quello che ci racconta la ricca collezione di brocche, vasi, orci da speziale, farmacopee, ricettari e registri di medicinali della Farmacia del monastero di San Salvatore.

La cura per tutti

Fratel Stefan lo sottolinea: “I francescani hanno curato a partire dal XV secolo tutti coloro che ne avevano bisogno: locali o pellegrini, ebrei e musulmani di qualunque nazionalità”. E’ accaduto anche mentre si inasprivano o scoppiavano conflitti e ha permesso di intessere “tele di rapporti”.

Con un’espressione velata da amarezza fratel Stefan sottolinea: “Quante volte si dice dei rapporti difficili con ebrei ma noi conserviamo attestati di benevolenza e di stima e lo viviamo anche oggi”. Ci fa un esempio concreto e simpatico: “Moltissimi ebrei vengono in visita nelle nostre cantine che conservano botti e strumenti di un tempo”.

Vino e culture

L’antica terra di Canaan è stata culla e luogo di diffusione della coltivazione della vite ben due millenni prima che la cultura del vino arrivasse in Europa e durante il periodo romano e bizantino, la Giudea e le città portuali di Ashkelon e Gaza erano considerati centri vitali per la produzione, ma durante il dominio musulmano, poiché la legge proibisce ai credenti musulmani di bere, era possibile coltivare solo uva da cibo. Tra il XII e il XIII secolo, i crociati provarono a reimpiantare le viti ma era più semplice importare il prodotto finito dall’Europa. Il rinnovamento della vinificazione in Israele è del XIX secolo: da qui tanta curiosità per pezzi di storia mancanti.

In tema di radici

In realtà, fratel Stefan ci chiarisce di cosa stiamo effettivamente parlando discettando di vino: “Noi abbiamo le nostre radici nel giudaismo, ma loro in queste opere trovano le loro radici umane occidentali e le trovano paradossalmente nelle chiese”. Comprendiamo che la cultura occidentale che in questa terra non si avverte è viva nel patrimonio di questo museo in fieri. Peraltro, il vino racconta frammenti di dialogo anche con i musulmani: durante il dominio dei mamelucchi e poi in particolare sotto quello ottomano, i frati hanno dovuto acquistare permessi per produrre il vino necessario alla Messa. C’erano poi i lasciapassare o le autorizzazioni ad aprire e gestire scuole e tanti altri atti amministrativi.

Oltre le aspettative

Fratel Stefan accenna a “centinaia e centinaia di documenti di vari periodi”. Ad imporsi alla vista con tutta l’eleganza e la minuziosità che li contraddistingue ci sono i lavori in madreperla e argento. E anche in questo caso regalano pezzi di passato e di verità. Si tratta di manufatti in gran parte regalati da arabi musulmani che avevano imparato l’arte di questa lavorazione dai francescani stessi. L’obiettivo era insegnare un mestiere che permettesse di vivere e mantenere una famiglia e alcuni di loro, divenuti artisti affermati all’estero, non hanno mai dimenticato gli insegnanti. Un’opera parla per tutte: la riproduzione in miniatura del

Santo Sepolcro.

Il Superiore della Basilica ci mostra come si possa aprire e scoperchiare per mettere bene in luce le parti più significative. Condivide uno sguardo di ammirazione per tanta raffinatezza artistica e di felice stupore per “il rapporto di rispetto, cordialità e perfino di affetto che nasconde”.

Fili di unicità

La sensazione di scoprire tracce uniche di storia la proviamo ancora più decisamente di fronte ai paramenti sacri che fratel Stefan ci mostra estraendoli da un armadio che riesce a contenerne decine e decine. In particolare, colpisce la casula solenne ricamata a mano a Versailles a metà del XVIII secolo e inviata dal re ai frati a Gerusalemme, prima dei saccheggi sull’onda della rivoluzione. E’ intessuta di fili di seta e di oro della migliore qualità, come si addiceva al dono del sovrano di Francia. Con la finezza del disegno e la forza dei colori, che conserva vivissimi, è l’esempio più sorprendente di espressioni artistiche perdute in Occidente che si possono ritrovare nel cuore di Gerusalemme. Sono tutti doni che ricchi pellegrini portavano o che eminenti sovrani inviavano nell’impossibilità di venire in pellegrinaggio: “Era il massimo offrire quello che avevano di più bello”, sottolinea il Superiore con il sorriso del francescano e l’entusiasmo dello studioso.

Scrigni di speranza

“Anche in tutto questo si ritrovano semi della speranza alla quale siamo tutti sempre chiamati come cristiani ma che l’Anno Santo 2025 ci invita a rinnovare e a vivere in profondità di fede”. Così fratel Stefan ci incoraggia a parlare di questi tesori testimoniando che “la speranza è difficile ma non muore mai e tantomeno a Gerusalemme”.

I motivi di preoccupazione per la situazione nel Vicino e Medio Oriente non mancano e fratel Stefan prega perché “presto si possa trovare la via della pace, riaccogliere pellegrini e condividere con un pubblico da tutte le parti del mondo il patrimonio del Terra Sancta Museum.

Lo spessore ella convivenza possibile

Appare chiaro che il Museo non è solo una curiosità intellettuale ma è un messaggio: “Deve essere aperto come aperta è la Chiesa e deve raccontare tutto lo spessore storico della convivenza possibile”. In questa terra – ribadisce – “da otto secoli la Chiesa ha rapporti con comunità ebraiche e musulmane, con pellegrini cristiani e musulmani. Ed è quello che anche oggi noi viviamo nonostante tutto, anche se non viene adeguatamente raccontato”. Un’altra prospettiva ci appare rovesciata. Fratel Stefan riconosce che “la Terra Santa è motivo di preoccupazione perché non sono mancati e non mancano i momenti difficilissimi” ma poi ci regala una verità: “Nel quotidiano dei secoli si ritrovano rapporti piuttosto buoni”.

Nel Santo Sepolcro insieme

Ci parla del suo vivere giornaliero: “Da Superiore della Basilica del Santo Sepolcro io ho rapporti con tutti e quest’anno ad esempio sono docente al Seminario dei greci ortodossi, mentre secondo i mass media sembrerebbe che cattolici, ortodossi, greci, copti, siriaci, siano sempre in accesa lite tra loro”.

Fratel Stefan ci ricorda che “i cristiani non si sono divisi al Santo Sepolcro ma si sono divisi a Efeso, a Calcedonia, in Europa” e sottolinea che “il Santo Sepolcro è un luogo dove la gente lontana altrove si ritrova insieme”. Anche Gerusalemme – ci assicura salutandoci – “non è il luogo che divide, ma il luogo in cui si vive insieme”. Fausta Speranza

Famiglia Cristiana

https://www.famigliacristiana.it/articolo/terra-santa-a-gerusalemme-un-museo-che-racconta-la-storia-dei-francescani-della-custodia.aspx

 

 

Una mappatura mondiale dei santuari

Famiglia Cristiana

10 Novembre 2023

Una mappatura mondiale dei Santuari mariani

10/11/2023  È affidata alla mariologa Giustina Aceto, che l’ha presentata al II Incontro internazionale per rettori e operatori di luoghi mariani. Sarà pronta entro l’inizio del giubileo

Una tappa importante in vista di un vero e proprio censimento dei Santuari in Italia e nel mondo. Rappresenta anche questo il II Incontro internazionale per rettori e operatori di luoghi mariani in corso da ieri nell’Aula Paolo VI, che si chiude con l’intervento del Papa domani, sabato 11 novembre. Manca una mappatura completa dei Santuari e a compilarla è stata chiamata una donna.

Si chiama Giustina Aceto, insegna presso la Pontificia Facoltà Teologica Marianum, ed è membro della Pontificia Accademia Mariana Internazionale (Pami). Un Santuario è tale – ci spiega Aceto – se racchiude tre fattori determinanti: l’aspetto della pietà popolare; l’elemento del pellegrinaggio; il pronunciamento dell’autorità competente. A questo proposito, è chiamato a firmare il relativo decreto a livello diocesano il vescovo, mentre a livello internazionale dal 2017, dalla pubblicazione della Lettera apostolica in forma di Motu Proprio Sanctuarium in Ecclesia, è investito il Dicastero per l’evangelizzazione.

La professoressa Aceto ci spiega che il dicastero stesso è chiamato a decidere l’eventuale erezione di Santuari internazionali e l’approvazione dei rispettivi statuti; lo studio e l’attuazione di provvedimenti che favoriscano il ruolo evangelizzatore dei santuari; la promozione di “una pastorale organica dei santuari”. Si comprende che serve una mappatura completa. Aceto ci sta lavorando e al congresso di questi giorni illustra passi e sfide del suo impegno.

Si tratta di un lavoro iniziato prima del Giubileo del 2000: ha già portato ad una prima pubblicazione per quanto riguarda il territorio italiano che però è in corso di aggiornamento, mentre si prepara il censimento a livello mondiale.

Il punto è che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il censimento non è cosa facile. Basti pensare che in alcuni casi si è trattato di recuperare la documentazione dispersa in vari archivi, in altri casi si è dovuto richiedere dal nuovo un decreto di riconoscimento, con il lavoro di rigoroso discernimento che comporta. Inoltre, anche per la storia dei Santuari serve precisione, per mettere insieme, confrontare, emendare, completare dati storici e storiografici, racconti orali, documenti di archivio.

Non manca ormai tanto: la professoressa Aceto ci assicura che tutto il censimento sarà presentato entro l’inizio del nuovo giubileo del 2025. Sarà un’occasione preziosa anche per aiutare le Conferenze episcopali nel mondo a trovare forme similari per cercare di comprendere la presenza dei santuari nel proprio territorio.

Intanto, è molto importante un Incontro che, dopo la celebrazione eucaristica nella Basilica di San Pietro, riunisce per riflessioni e confronti rettori provenienti dai più importanti luoghi mariani d’Europa con rettori e operatori provenienti dalla Colombia, dal Burundi, dalla Costa d’Avorio, dal Brasile. Tra le riflessioni e le domande emerge l’esigenza di chiarire ai fedeli come approcciare alla devozione popolare centrata su reliquie e icone. Nel tempo cambia la sensibilita’, si oscilla tra un forte entusiasmo e una certa diffidenza – si dice – ed e’ sempre impegnativo il discernimento utile per guidare i fedeli. Il coordinamento dovrebbe aiutare anche al confronto in questo senso, risponde monsignor Rino Fisichella, pro-rettore al Dicastero per l’Evangelizzazione che guida i tre giorni di Incontro. Sottolinea che “il popolo di Dio va rispettato nelle modalita’ della sua fede, fatte salve palesi esagerazioni”. In generale Fisichella raccomanda di “non razionalizzare troppo la fede e di evitare di dare tanta importanza al livello intellettuale, come si e’ fatto in casi in cui si e’ negato il sacramento della Cresima a ragazzi con disabilita’”.

“Ritrovarsi da diversi punti del mondo con esperienze diverse rappresenta uno scambio di beni spirituali”, commenta madre Luisa Carminati, madre generale delle Figlie della Madonna del Divino Amore, che parlando con Famiglia Cristiana rivendica con un sorriso che già nel 1958 al Santuario del Divino Amore don Umberto Terenzi aveva organizzato un ufficio di coordinamento tra i Santuari. Il sorriso si illumina mentre sottolinea l’importanza di essere arrivati oggi al “riferimento autorevolissimo e concreto del Dicastero per l’Evangelizzazione”.

Per chi bussa alle soglie della Chiesa pellegrino in un Santuario, sentirsi a casa dovrebbe significare scoprire la consapevolezza della serietà del peccato e della certezza della misericordia infinita di Dio. E’ questo il cuore della riflessione che oggi padre Paul Brendan Murray, docente alla Pontificia Università San Tommaso d’Aquino, dedica alla “preghiera del peccatore”.

A sottolineare l’importanza di “sintonizzarsi” sulle note della bellezza, per aprire il cuore a una profonda esperienza di fede, è monsignor Marco Frisina, direttore del coro della Diocesi di Roma e rettore della Basilica di Santa Cecilia in Trastevere, chiamato a parlare di “come pregare con la musica e il canto”. E sul piano culturale c’è anche la testimonianza sulla “preghiera nell’arte” di David Lopez Ribes, artista contemporaneo che ha ricevuto il premio delle Pontificie Accademie della Scienza e delle Scienze sociali 2012. Sul concetto di “preghiera popolare” si sofferma padre Daniel Cuesta Gómez, della pastorale giovanile e universitaria di Santiago de Compostela. Sottolinea l’importanza di una specifica formazione degli operatori dei santuari e dei luoghi di pietà e promozione. E non si tratta solo del piano dell’assistenza spirituale che ovviamente è imprescindibile, perché – viene ribadito con convinzione – si deve essere in grado di valorizzare i santuari anche dal punto di vista culturale e artistico.

Sono sempre di più infatti quanti visitano i Santuari cercando arte e cultura e, sulla scia della crescente riscoperta di cammini a piedi, si moltiplicano quanti fanno tappa, in percorsi come la Via Francigena od altri, in luoghi di devozione. In molti casi, si tratta di persone lontane dalla fede o troppo distratte dal quotidiano, che possono scoprire o riscoprire tanti significati nella specificità del silenzio e dell’accoglienza nei Santuari.

https://www.famigliacristiana.it/articolo/una-mappatura-completa-dei-santuari-mariani.aspx

Santuari, “anima” del Giubileo del 2025

9/11/2023

L’incontro internazionale per rettori e operatori dei luoghi mariani in vista del grande evento ecclesiale. Diverranno centri di riferimento per le famiglie e le comunità parrocchiali, chiamate a riscoprire la “pedagogia di evangelizzazione” che caratterizza i luoghi sacri

di Fausta Speranza

 «Molti Santuari sono stati percepiti come parte della vita delle famiglie e delle comunità tanto da aver plasmato l’identità di intere generazioni, fino ad incidere sulla storia di alcune nazioni». È quanto dice monsignor Rino Fisichella, pro-prefetto della sezione per le questioni fondamentali dell’evangelizzazione, nel pomeriggio in cui, nell’Aula Paolo VI, dà il via al II Incontro internazionale per rettori e operatori di Santuari, che si chiuderà con l’intervento del Papa sabato 11 novembre. Hanno aderito circa 600 operatori da 43 Paesi del mondo. Sono cifre che «rendono l’idea del grande impegno pastorale che i Santuari svolgono nella comunità cristiana» – sottolinea Fisichella – e che suggeriscono «la grande responsabilità che hanno i Santuari di accogliere i pellegrini dando loro il grande senso della Speranza»Una responsabilità che ha un orizzonte: il Giubileo del 2025.

Dopo il primo incontro, svoltosi nel 2018 sul tema dell’accoglienza, questo secondo appuntamento è dedicato a “Il Santuario: casa di preghiera in cammino verso il Giubileo 2025”.

Monsignor Fisichella ricorda che Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione è il Papa, segno dell’importanza che Francesco riconosce a questo impegno pastorale. E a proposito dei Santuari, monsignor Fisichella annuncia che sarà creato un gruppo di coordinamento, formato da 15 rettori, che potrà incontrarsi almeno una volta l’anno.

Tra le sfide da affrontare c’è quella di capire i bisogni di chi arriva nei Santuari e tra questi c’è “la preghiera di intercessione”. Ne parla padre Ermanno Barucco, docente alla Pontificia Facoltà Teologica Teresianum. Barucco sottolinea che non significa solo il tentativo di ottenere qualcosa. «L’atto di pregare è abbandono filiale e dunque è come dire che la preghiera di per sé ci immerge nella preghiera», aggiunge. «Gesù si è fatto garante della fede dei discepoli che si mostravano increduli», dunque – raccomanda – questo pensiero deve accompagnare i pastori che si pongono in ascolto delle preghiere di pellegrini magari occasionali. Afferma che «la posta in gioco è sempre la stessa: affinché il mondo creda». Ribadendo che nella nostra fede deve rimanere chiaro che «il male è il maligno, non è Giuda, non è il peccatore».

 «La realtà ci presenta sempre più disperati del benessere, le società vivono nel disorientamento». È quanto afferma il cardinale Angelo Comastri, arciprete emerito della Basilica di San Pietro, parlando di come “accogliere e congedare” i pellegrini. I Papi recenti – ricorda – hanno raccomandato tutti l’importanza dei Santuari. Tra tante altre, ricorda le parole di Paolo Vi e il suo invito a riconoscere “l’ora di grazia scattata per i Santuari”. Il valore dell’accoglienza emerge da una considerazione: «L’esperienza comune ci dice che si arriva pellegrini a volte per caso ma anche così chi li accoglie ha l’occasione di affacciarsi in quell’esperienza intima che nel Santuario pone davanti a Dio anche il pellegrino per caso». Una considerazione da non dimenticare: «Il mondo mette in crisi tutto, ma continua a riconoscere il Santuario come luogo sacro». Dunque, una raccomandazione: «I cristiani rischiano un cristianesimo senza Cristo, non bisogna avere paura di parlare di Gesù, oggi se ne parla troppo poco».

 Emerge il rimando alle famiglie e alle comunità parrocchiali, chiamate a riscoprire la “pedagogia di evangelizzazione” che caratterizza i santuari, luoghi sacri che rinnovano il desiderio di un impegno sempre più responsabile sia nella formazione cristiana di ciascuno, sia nella necessaria testimonianza di carità che ne scaturisce. Il rettore del Santuario di Lourdes, padre Michel Daubanes ci parla di «osmosi tra il pellegrinaggio al Santuario e la vita di tutti i giorni».

 Difficile piegare le preghiere alle statistiche, ma nello scambio degli interventi si concorda che nei Santuari più grandi, più noti, annualmente si contano milioni di persone; in quelli meno conosciuti le presenze annuali si aggirano in media sul mezzo milione di visite.

 Come ricordato, Papa Francesco ha voluto i Santuari come «centri propulsori della nuova evangelizzazione», li ha pensati in prima linea per favorire un’opera comune di rinnovamento della pastorale della pietà popolare e del pellegrinaggio verso luoghi di devozione. Nel 2017, con Lettera apostolica in forma di Motu proprio, ha affidato le competenze dei santuari all’allora Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione poi confluito nel Dicastero per l’evangelizzazione. Fino a quel momento se ne occupava la Congregazione per il Clero. Si legge nel Motu proprio che «il Santuario possiede nella Chiesa una grande valenza simbolica», e che la pietà popolare «trova nel Santuario un luogo privilegiato dove poter esprimere la bella tradizione di preghiera, di devozione e di affidamento alla misericordia di Dio inculturati nella vita di ogni popolo».

San Giovanni in Laterano, una rassegna di eventi per celebrarne gli splendori

Famiglia Cristiana

8 Novembre 2023

08/11/2023  Concerti, mostre, celebrazioni e convegni e altre iniziative per i 1700 anni dalla nascita. «Il luogo dove la prima famiglia cristiana si è costituita intorno al vescovo di Roma», lo ha definito il cardinale vicario Angelo De Donatis

La presentazione delle iniziative.

 «Il luogo dove la prima famiglia cristiana si è costituita intorno al vescovo di Roma». Così il cardinale Angelo De Donatis, vicario generale del Papa per la Diocesi di Roma e arciprete della Basilica Papale di San Giovanni in Laterano, ci parla proprio della “cattedrale di Roma” e dell’annesso Palazzo del Laterano. L’occasione è la presentazione delle molteplici iniziative per celebrare i 1700 anni della chiesa comunemente nota come basilica di San Giovanni, questa mattina in Vicariato. Primo appuntamento è la celebrazione solenne di domani pomeriggio, 9 novembre, Festa della Dedicazione. Poi, a conclusione di un anno che prevede anche dibattiti, visite culturali, concerti, il 9 novembre 2024 il cardinale De Donatis annuncia che ci sarà il Papa. Prima ancora, il 24 gennaio prossimo, il vescovo di Roma sarà in Vicariato per incontrare il clero.
«Il primo Battistero ufficiale, che ha annunciato al mondo la maternità della Chiesa in un contesto di bellezza». Con queste parole, monsignor Marco Frisina, direttore del coro della Diocesi di Roma, confida la gioia con cui ha preparato nuove composizioni per le celebrazioni solenni, annunciando che guiderà nella Arcibasilica Lateranense un concerto natalizio il 17 dicembre e poi un altro il primo novembre 2024. «L’arte ha dato espressione a quello che la fede ha ispirato, ci dice monsignor Frisina, sottolineando l’urgenza di riscoprire valori storici e spirituali».

Parlando con monsignor Guerino Di Tora, vicario del Capitolo Lateranense, scopriamo che c’è un altro tipo di bellezza da recuperare: l’immagine di famiglie intere, con donne che allattano e bambini che giocano. È quanto accadeva al suo interno – ci assicura – quando è stata costruita la Basilica, che ha rappresentato all’epoca il primo edificio di culto ufficiale. Rappresentava «il primo grande luogo di riunione e di comunione, di incontro, e si arrivava da tutte le parti della città e anche dai suburbi, in abiti eleganti o in vesti  popolane».
La bellezza non può essere fine a se stessa, raccomanda padre Giulio Albanese, direttore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali del Vicariato, ricordando le urgenze tra guerre e crisi di cui la cronaca è piena. «Nella maestosa magnificenza della madre di tutte le chiese dobbiamo riuscire a vivere questo anniversario con la speranza della pace nel cuore; la bellezza deve aiutarci ad essere davvero pietre belle perché vive di una Chiesa vicina a chi soffre», ribadisce.

Vicende secolari e preziosità artistiche emergono nelle parole di monsignor Andrea Lonardo, direttore dell’Ufficio per la pastorale universitaria della Diocesi di Roma, che cura il ciclo di incontri di carattere religioso-culturale in Vicariato, nelle seguenti date: 14, 21-28 novembre prossimo; 5 dicembre prossimo.
A proposito di “pietre vive”, monsignor Lonardi ci ricorda che sono tante le opere d’arte di rilievo all’interno di quella che definisce “la chiesa modello di tutte le altre” ma suggerisce anche di approfondire aspetti noti, come concili ecclesiali e incoronazioni, ma anche fatti di storia vissuta come quanto accaduto durante la seconda guerra mondiale, quando circa mille persone dell’intellighenzia d’opposizione al regime nazi-fascista hanno trovato rifugio in Vicariato, «personaggi di diversa estrazione accomunati dal bisogno di opporsi alla violenza e all’oppressione, da Alcide De Gasperi a Pietro Nenni».

Si capisce la ricchezza di una storia che riconosciamo sia iniziata nel 324, anche se alcuni suggerirebbero di anticipare al 318. La Basilica del Laterano viene consacrata il 9 novembre di 1700 anni fa dall’allora Papa Silvestro I, poi divenuto santo, il cui pontificato coincise con il lungo impero di Costantino, il primo imperatore romano ad accettare il cristianesimo segnando il passaggio dalla Roma pagana alla Roma cristiana. I terreni donati alla Chiesa per costruirvi una domus ecclesia, secondo gli Annali di Tacito, erano appartenute alla potente famiglia dei Laterani. Papa Silvestro intitolerà la patriarcale arcibasilica lateranense a Cristo Salvatore. Solo durante il XII secolo fu dedicata anche a San Giovanni Battista.     Il palazzo Lateranense per oltre dieci secoli è stata la residenza papale prima che i Papi si trasferissero ad Avignone, durante il periodo della cattività avignonese, e successivamente decidessero di spostare la residenza in Vaticano. Tra le sue mura si sono svolti duecentocinquanta Concili, cinque dei quali ecumenici, tra cui il Lateranense IV, nel 1215, considerato dagli storici uno spartiacque fondamentale nel Medio Evo per l’idea di una società cristiana universale.

https://www.famigliacristiana.it/articolo/san-giovanni-in-laterano-una-serie-di-eventi-per-celebrarne-lo-splendore.aspx

Un nuovo modo di abitare il mondo

Famiglia Cristiana 07/11/2023

UN NUOVO MODO DI ABITARE IL MONDO

di Fausta Speranza

Una tavola rotonda alla Casina Pio IV sui mutamenti necessari al Pianeta per sopravvivere: «Costruire e comunicare un’economia che promuove sostenibilità e pace, che riconosce la dignità degli esseri umani, che attualmente non sembra rappresentare una priorità per politiche, infrastrutture e investimenti»

La locandina del simposio.

«Costruire e comunicare un’economia che promuove sostenibilità e pace, che riconosce la dignità degli esseri umani, che attualmente non sembra rappresentare una priorità per politiche, infrastrutture e investimenti». Nelle parole del cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e della Pontificia Accademia delle Scienze sociali, è concreto l’obiettivo dell’iniziativa che si è svolta alla Casina Pio IV, nei giardini vaticani. E libera è stata la modalità del confronto: non si è trattato propriamente di un convegno tradizionale, ma di una vera e propria tavola rotonda. Tra i vari interventi, Jim O’Neil, capo dei progetti di Corporate and Investment Banking per Europa, Medio Oriente e Africa della Bank of America, ha parlato delle crescenti aspettative nei confronti del settore privato: affinché affronti le questioni globali e affinchè innanzitutto assicuri trasparenza su scelte e comportamenti che hanno a che fare con queste sfide. Da parte sua, Jennifer Jordan- Saifi, amministratore delegato della piattaforma  Sustainable Markets Initiative, ha parlato di progetti di bene comune possibili in ambito locale da replicare su scala più ampia. JR Kerr, Amministratore delegato della società di Informatica Handshake, ha messo in luce l’importanza di fare i conti con i nuovi orizzonti della tecnologia, che possono aprire nuove possibilità se gestiti per il bene comune.

La regista Lia Beltrami.La regista Lia Beltrami

È imprescindibile abbandonare uno stile di vita predatorio, ha affermato il cardinale Turkson, ribadendo l’urgenza di “un nuovo approccio ecologico”. Ha sottolineato gli elementi che possono fare la differenza in tema di “cura della casa comune” chiarendo che la sfida si articola su due binari. Il primo è quello di trasformare il nostro modo di abitare il mondo, le nostre scelte, la nostra relazione con le risorse della Terra, consapevoli della necessità di preservare i doni che Dio ci ha dato per il bene comune. Il secondo presuppone di cambiare il modo di guardare all’uomo, «affinché nessun essere umano rimanga indietro».  La varietà delle esperienze confrontate e la complessità delle finalità individuate richiedono nutrimento. Sembra questo il senso del titolo della giornata “Emozioni per generare cambiamenti”. Lo scambio di idee ha confermato l’esplicita dichiarazione d’intenti: dalle emozioni che il creato ci regala dobbiamo partire e alle corde emotive delle persone bisogna arrivare, se si vuole un cambio di passo reale. Di responsabilità dei mezzi di comunicazione, ha parlato, in collegamento video, il prefetto del Dicastero per la comunicazione Paolo Ruffini, sottolineando l’importanza di impegnarsi a veicolare messaggi costruttivi, a dare voce alla volontà dei giovani di cambiare il corso degli eventi: fermare la forza distruttiva delle guerre e liberare l’energia della creatività.

 

Il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson.Il cardinale Peter  Turkson

Un esempio viene dal video CHANGE di Lia e Marianna Beltrami in collaborazione con il Dicastero per la Comunicazione e con il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, che è stato proiettato a conclusione della tavola rotonda. Si tratta di una carrellata di 24 foto scandite dalla sonorità della musica e accompagnate dai versi scritti del Cantico delle creature di San Francesco. La complessità dell’universo delle api, i colori accesi di una discesa rocciosa, i giochi di luci tra i ghiacci, la semplicità di una donna che fila la lana, la distruzione di alberi incendiati, la maestosità di grattacieli, l’inquietudine di una terra arida, l’armonia di un’imbarcazione di bambù, la malinconia di una periferia, la bellezza di un tramonto. Alcune di queste foto sono state esposte nella Sala stampa vaticana per tutta la durata del Sinodo ad ottobre. A testimonianza di un impegno che cerca di varcare i confini e ambiti per creare sinergie.
Certamente questa mattina la sinergia si è creata su un punto: oggi più che mai è indispensabile una visione che vada oltre l’immediato, al di là di prospettive prettamente opportunistiche della realtà dove efficienza e produttività sono volte al vantaggio egoistico di ristretti gruppi d’interesse.

Nutrire di pensiero la fede

«IL PAPA VUOLE UNA TEOLOGIA CHE SAPPIA

NUTRIRE DI PENSIERO LA FEDE»

03/11/2023

di Fausta Speranza

Il teologo Bruno Forte e monsignor Antonio Staglianò commentano la Lettera apostolica “Ad theologiam promovendam” con la quale papa Francesco ha rinnovato gli statuti della Pontificia Accademia di Teologia: «Una “riforma” in linea con il magistero di Benedetto XVI e di Giovanni Paolo II che sollecitava tutti i cattolici a pensare la fede altrimenti si rischia una concezione magica della religiosità» 

“Un grande atto di fiducia e di incoraggiamento”: così il teologo e arcivescovo di Chieti – Vasto Bruno Forte commenta la Lettera apostolica in forma di Motu Proprio di papa Francesco Ad theologiam promovendam, firmata il 1° novembre e con la quale vengono approvati i nuovi statuti della Pontificia Accademia Teologica. Si concepisce – dice con soddisfazione Forte – “la teologia come coscienza critica del vissuto ecclesiale, ma anche come fermento e luce provocante, sfidante, illuminante della Parola di Dio”. Si chiede “ascolto e interlocuzione davvero con tutti, perché la teologia non sia astratta ma vitalmente inserita nella comunità ecclesiale e nelle vicende del mondo”.

Non sono solo raccomandazioni a parole, sottolinea monsignor Antonio Staglianò (nella foto in alto con papa Francesco, ndr), presidente della Pontificia Accademia di Teologia, spiegando che i rinnovati Statuti prevedono strutturalmente delle novità. Innanzitutto, si amplia il ventaglio degli accademici: verranno accolti professori di altre confessioni religiose per un dialogo ecumenico e interreligioso. Inoltre, Staglianò precisa che si prevedono una “segreteria operativa” e “interlocutori referenti”, sottolineando che saranno non solo fedeli di parrocchie o diocesi, ma “persone scelte in tanti ambiti della realtà: nel campo della medicina, del diritto, della finanza…”.

L’obiettivo è “avere spazi di riflessione che attraversano sapere e praxis umana”. Nelle parole del vescovo teologo Staglianò i livelli di riflessione sono molteplici. In generale, si sollecita la teologia a un ripensamento epistemologico e metodologico che – assicura il presidente dell’Accademia – è “in profonda continuità con gli insegnamenti di Benedetto XVI che chiedeva di “allargare i confini della ragione in maniera sapienziale”; con Giovanni Paolo II, che sollecitava tutti i cattolici a “pensare la fede altrimenti si rischia una concezione magica della religiosità”. Ma i richiami – spiega Staglianò – sono ben più antichi, come l’avvertimento di Sant’Agostino: “La fede che non si pensa è nulla”. Inoltre, Staglianò aggiunge che nella Lettera apostolica del Papa c’è anche un richiamo a Antonio Rosmini, alla sua idea di “sapienza come verità e carità”, perché l’una contiene l’altra: “Non si può pensare la verità del Vangelo senza il pensiero ai poveri e alla carità e pensare la carità è verità”.

Tutto questo sollecita il credente a maturare una fede adulta, ma – spiega il presidente dell’Accademia di Teologia – chiede anche ai teologi “un linguaggio che non sia solo concettuale ma che sappia intercettare registri importanti, come quello del sentimento, dell’intelligenza emotiva, perfino dell’immaginazione, con i quali si vive nella propria umanità la fede”.

Si tratta – suggerisce – di recuperare il valore etimologico della parola ‘sapere’ che lo lega al concetto di ‘sapore’ per riscoprire una conoscenza esperienziale che contiene il gusto della vita”. E si tratta anche di scoprire una teologia “in uscita e in ginocchio: che riscopre una ragione critica ma che non parte dall’orgoglio della ragione ma dall’umiltà della ragione”.

In questo impegno rinnovato ad una “educazione sapienziale della Parola di Dio”, la teologia acquista un volto nuovo che – ribadisce Staglianò – risponde alla sfida di sempre della Chiesa: far arrivare a tutti il Vangelo, credenti e non credenti, “anche a persone che sentono di essere lontane o arrabbiate con la Chiesa”. Nel percorso rinnovato per “teologare”, il dialogo e il giudizio critico hanno un posto di rilievo, aggiunge, anche perché tutti comprendano davvero e ribadiscano a gran voce che non può esserci un Dio che concepisca violenza e guerra.

https://www.famigliacristiana.it/articolo/il-papa-vuole-una-teologia-che-sappia-nutrire-la-fede-di-pensiero.aspx

Dietrofront dell’Europa sul Natale: «documento non maturo, da riscrivere»

FAMIGLIA CRISTIANA

30/11/2021 Saranno riscritte le linee guida sulla “comunicazione inclusiva” elaborate dalla Commissione Ue che censuravano, tra l’altro, anche i nomi cristiani. La commissaria Helena Dalli: «L’obiettivo era illustrare la diversità della cultura europea ma non abbiamo raggiunto lo scopo. Ora riscriveremo il documento».

 

Ritirato e riscritto: è quanto accade al documento interno sulla comunicazione interna ed esterna della Commissione europea che, tra le altre cose, invitava a evitare il termine “Natale” e i nomi cristiani. Dopo le polemiche sulle guidelines per public relation durante le festività, l’Esecutivo stesso dell’Unione Europea ha fatto sapere che il testo viene ritirato e sarà ripresentato in una nuova versione. In Europa da tempo si parla di pseudo neutralità del linguaggio sulle realtà religiose come scelta utile al rispetto e al dialogo. Nulla di più falso perché è solo il chiaro riconoscimento d’identità e valori che apre ad un confronto e ad un dialogo veri. Sembravano concetti acquisiti ma appare chiaro che all’interno dell’Ue persiste questa convinzione.  La notizia è che viene oggi rinnegata.

https://www.famigliacristiana.it/articolo/sul-natale-l-europa-fa-marcia-indietro-documento-ritirato-e-da-riscrivere.aspx

Libano, il tragico destino di un paese fragile

di Fausta Speranza

Nell’aria irrespirabile, con la voce troppo rassegnata per la sua età, un bambino asseconda lento il soccorritore che gli porge il braccio. Lo guarda e chiede: «Ma siamo morti?». È il racconto di Aarif, l’operatore della Croce Rossa che lo ha trovato tra le macerie dei caseggiati popolari di Beìrut, dopo le violente esplosioni nel porto che, il 4 agosto, hanno lasciato la città devastata, con almeno 160 morti accertati, 5 mila feriti, tanti dispersi, 300 mila sfollati e molti dubbi sulle responsabilità. Il doppio boato e il fuoco nel cielo hanno come fermato il tempo dall’antica terra fenicia alle spiagge di Cipro. Poi la notizia ha scosso il mondo, fino a quel momento indifferente al disastro che si stava consumando in Libano, un Paese piccolo come l’Abruzzo, bello e impossibile, riflesso delle contraddizioni arabe e dei contrasti che investono Oriente e Occidente. Siamo nel quartiere di Karantina, sorto cento anni fa a ridosso del porto di Beirut come prima quarantena sanitaria della regione. Un nome tristemente tornato di moda in epoca Covid. Tra carcasse di navi, scheletri anneriti di capannoni e residenze in frantumi si fatica a riconoscere quella Beirut e quel Libano che, dopo anni di guerra e mille acciacchi, erano tornati a essere una sorta di Svizzera del Medio Oriente. Le deflagrazioni sono avvenute nel deposito di nitrato di ammonio, composto chimico utile in agricoltura e per produrre esplosivo: ne erano stoccate più di 2.700 tonnellate. Resta il dramma dei soccorsi: gli ospedali erano già prossimi al collasso per il coronavirus. Ora a Beirut tre sono rasi al suolo e due parzialmente distrutti.

All’ospedale di Geitawi si è recato subito il Patriarca di Antochia dei maroniti, il cardinale Bechara Boutros Rai.

Ha girato senza sosta tra le macerie, ha visitato la cattedrale di San Giorgio seriamente danneggiata, altri edifici colpiti come la chiesa di San Marone, il Patriarcato armeno cattolico, la sede vescovile greco-ortodossa e quella maronita, chiedendo aiuto al mondo perché il Libano continui ad essere luogo di convivenza, unità e libertà». Sono seguiti giorni di dolorosa rabbia della popolazione, con gravi disordini: un poliziotto morto e nuovi feriti. Di «convivenza ora molto fragile», ha parlato domenica 9 agosto anche papa Francesco, pregando perché «possa rinascere libera e forte». Tanti Paesi hanno promesso interventi: 250 milioni di euro che verranno dati alla Croce Rossa, a Ong e alle istituzioni, a patto della massima trasparenza e delle riforme necessarie. Il punto è che non c’è solo il ground zero di Beirut. La crisi economico-finanziaria e sociale denunciata dal default a marzo scorso è gravissima. I continui blackout dell’elettricità suggeriscono l’immagine di un Paese in cui a intermittenza di settimane arrivano notizie di suicidi tra la popolazione. Le situazioni allo  stremo sono tante e non soltanto tra  i profughi, in maggioranza siriani che da anni sono giunti nel Paese in  proporzioni bibliche: circa 1,7 milioni su 4,5 milioni di abitanti. Con la lira libanese meno dell’85% del valore, gli stipendi dimezzati, padre Michel Abboud, responsabile della Caritas Libano, afferma che metà della popolazione è caduta in miseria: oltre un  quarto di loro sopravvive a stento con meno di 5 dollari al giorno. Le suore del Buon Pastore, che nel dispensario Saint Antoine nel quartiere Roueissat già aiutavano 6.000 persone all’anno, accolgono ora molti bambini traumatizzati e si preparano ad assistere un numero crescente di famiglie. Gli scandali bancari si accompagnano alle proteste di piazza contro il carovita e la corruzione, che
proseguono da ottobre nonostante il cambio di Governo e nonostante il lockdown. La classe politica, che non riesce a negoziare aiuti dal Fondo monetario internazionale perché incapace di impegnarsi nelle riforme richieste, è condizionata da interessi stranieri e invischiata nella rete di clientele creatasi tra le maglie del delicato sistema di convivenza tra le tre principali comunità religiose. Nel paese che riconosce nella Costituzione 18 confessioni religiose, le più importanti cariche istituzionali – presidente della Repubblica, primo ministro, presidente del Parlamento – sono attribuite rispettivamente a un cristiano, un musulmano sunnita, uno sciita, in base alle proporzioni nella popolazione. Ma, in realtà, l’ultimo censimento risale al 1932. Si evitano verifiche dai potenziali effetti dirompenti.

Da tempo il commissario Onu per i diritti umani Michelle Bachelet parla di <<situazione che sfugge al controllo>>. Si attribuiscono espressioni simili al presidente Michel Aoun, mentre l’esecutivo, presieduto da Hassan Diab, sull’onda dei moti di piazza ha perso tre ministri in due giorni. Nell’equilibro del Paese che confina con Israele e Siria si sono innescate pure altre dinamiche che hanno determinato il prosciugamento delle casse dello Stato, a partire dal passo indietro negli investimenti dell’rabia Saudita che mal sopporta che il partito sciita Hezbollah, filo iraniano, stia al Governo.

Sullo sfondo restano guerre per corrispondenza tra potenze regionali e quel confronto tra sunniti e sciiti che è il nodo dei nodi di tutta l’area.

Ci sono pagine di storia da completare: si aspetta il verdetto del Tribunale speciale dell’Onu sull’assassinio di Rafiq al-Hariri, il primo ministro ucciso, con altre 21 persone, in un’esplosione sul lungomare di Beirut nel 2005.  Sono state processate in contumacia quattro persone, membri di Hezbollah, che nega le accuse. Per rispetto alle vittime l’annuncio è stato posticipato dal 7 al 18 agosto. La ferita è ancora aperta e anche questa sentenza potrebbe avere la sua onda d’urto. Qualche settimana fa, il Patriarca maronita aveva invitato i politici a «restituire al Libano la sua neutralità», ma non basta più sottrarsi alle contese. Bisogna rimettere in sesto il Paese dei cedri, da 30 anni baluardo di pace e di convivenza nell’area del Medio Oriente, che non è mai stata così militarizzata dalla fine della Seconda guerra mondiale.

da Famiglia Cristiana del 16 agosto 2020