A Palazzo Maffei Marescotti con l’ambasciatrice Marija Efremova, il prefetto Ruffini, il cardinale Feroci, il prof. Lizza

Su iniziativa dell’Ambasciatrice di Macedonia del Nord presso la Santa Sede Marija Efremova

“Il senso della sete” è stato presentato a Roma, venerdi 5 Novembre 2021, nella Sala Apollo di  Palazzo Maffei Marescotti a Roma 

Sono intervenuti:

Paolo Ruffini, Prefetto del Dicastero per la Comunicazione 

Gianfranco Lizza, già Professore di geopolitica Università “Sapienza”

S.E.R. il Cardinale Enrico Feroci

 

 

 

 

 

 

 

Un caro ringraziamento a Eurocomunicazione, che ha realizzato la diretta on line dell’evento e il seguente video:

L’intervista di FAMIGLIA CRISTIANA su Il senso della sete

ACQUA, RISORSA PRIMARIA: È QUESTO IL TEMA DEL NUOVO LIBRO DI FAUSTA SPERANZA

Intervista con la giornalista, che nel suo “Il senso della sete. L’acqua tra geopolitica, diritti, arte e spiritualità” (Infinito Editore) affronta un tema di vitale importanza, ispirandosi anche all’enciclica “Laudato si'” di Papa Francesco

Dal G20 di Roma alla Cop26 di Glasgow, in questi giorni il dibattito su ambiente e clima guadagna le prime pagine dei giornali, tra urgenze, speranze tradite e un cammino difficilissimo. Appare quanto mai attuale la riflessione di Fausta Speranza, giornalista inviata dei media vaticani, che nel libro Il senso della sete. L’ acqua tra geopolitica, diritti, arte e spiritualità (Infinito Editore) affronta un tema di vitale importanza.

L’ acqua come risorsa primaria, indispensabile per l’ uomo; l’ acqua elemento fondativo di culture e tradizioni millenarie, radicate in ogni parte del pianeta; l’ acqua che manca, l’ acqua svilita, mercificata, deturpata o inquinata, l’ acqua quotata in borsa; l’ acqua difesa, a volte anche a prezzo della vita: ecco alcuni degli elementi che convergono a creare un quadro di grande profondità e completezza, fonte di tante domande.

Oggi, nel mondo, «oltre una persona su 4 – circa 2,2 miliardi – non ha accesso a fonti d’ acqua sicure e l’ International Food Policy Research Institute (Ifpri) prevede che, agli attuali tassi di crescita demografica e di consumo idrico, entro il 2025 il fabbisogno di acqua aumenterà di oltre il 50%» ci ricorda la giornalista. «Il Mediterraneo ha una velocità di riscaldamento che è del 20% superiore rispetto alla media globale e questo fa temere che entro pochi anni circa 250 milioni di persone si potranno trovare in una condizione di insicurezza idrica». E ancora: «Paesi come Qatar, Israele, Libano e Iran ogni anno prelevano in media più dell’80% delle proprie risorse totali di acqua. Questo si traduce in un serissimo rischio di rimanerne a corto. Altri 44 Paesi, in cui vive circa un terzo della popolazione mondiale, prelevano ogni anno il 40% dell’acqua di cui dispongono». Il problema coinvolge, seppur in misura minore, anche il nostro continente: «il 12% della popolazione dell’ Unione europea lamenta problematiche legate all’ acqua: tra difficoltà di approvvigionamento, querelle tra pubblico e privato e soprattutto inquinamento». Ecco perché riflettere sull’ acqua significa riflettere sulle nostre stesse possibilità di abitare il pianeta in futuro.

SERVE UN NUOVO ORDINE INTERNAZIONALE

In questi giorni, fino al 12 novembre, i grandi della terra (o almeno alcuni di loro) sono riuniti a Glasgow (Scozia) per la Cop26, il vertice Onu sul clima. E pochi giorni fa, i temi ambientali sono stati al centro del G20 di Roma. Queste grandi assise internazionali lasciano spesso delusi gli ambientalisti, che denunciano obiettivi troppo generici e poco coraggiosi, di fronte al pochissimo tempo rimasto per invertire la rotta. E’ così? Ha ragione Greta Thunberg quando parla del solito “bla bla bla”?

«Non pretendo di vedere, a tutti costi, il bicchiere mezzo pieno» risponde Fausta Speranza. «Sicuramente pesano l’ opposizione e la reticenza di Paesi in via di sviluppo, che rinfacciano all’ Occidente di pretendere sacrifici dopo essersi comportato, per secoli, da predatore. Sicuramente questo è un grande vincolo. D’ altra parte credo che la continuità tra il G20 di Roma e la Cop26 di Glasgow sia stata un segnale, anche a livello mediatico. Di concreto, per esempio, c’è che la giornata per l’ ambiente del 5 giugno 2021 ha dato il via al decennio Onu per il ripristino degli ecosistemi. E nel 2020 è iniziato il decennio Onu per gli oceani. Lo scorso 22 marzo, giornata mondiale dell’acqua, si è parlato del tema come forse non era mai accaduto prima. Si sta facendo strada, pur tra fatiche e ostacoli, una sensibilità nuova».

Ma, secondo la giornalista, il tema è ben più ampio «e non può essere limitato alla sfida ambientale. Dopo la globalizzazione e la pandemia, gli equilibri del passato sono definitivamente saltati. È  il momento di fondare un nuovo ordine internazionale, perché, altrimenti, il rischio è quello di ritornare ai puri rapporti di potenza, in cui vince il più forte. Dopo la totale chiusura dell’era Trump, ora Biden sta cercando di riaffermare il principio del multilateralismo, il che è certamente un bene. Biden però ha in mente un “multilateralismo tra democrazie”, mentre, ci piaccia o no, dobbiamo sapere che il tema coinvolge tutti, compresi i Paesi non democratici. E che oggi gli USA non sono più la prima potenza mondiale, sul piano economico. Dunque, la sfida è senz’ altro quella di forzare i leader politici a prendere decisioni concrete: in questo fanno bene Greta e i ragazzi dei Fridays for Future a scendere in piazza. Ma dobbiamo sapere che c’ è in atto una partita ancora più grande: la costituzione di una nuova governance globale».

SULLE ORME DELLA “LAUDATO SI’ ”

Dal libro emerge con estrema lucidità la correlazione tra cura del creato e cura delle comunità che lo abitano. Così, il diritto all’ acqua si configura, prima di tutto, come diritto alla salute, alla dignità e alla sopravvivenza stessa dell’ uomo. Chiaramente, Fausta Speranza ha lavorato sulla scorta della “Laudato si’ ”, l’ enciclica del 2015 con cui Papa Francesco ha introdotto il concetto di ecologia integrale. E non è un caso che il volume si apra proprio con una lettera del Santo Padre all’ autrice, nella quale esprime apprezzamento per il lavoro e sottolinea come “coltivare e custodire il Creato” sia “un’ indicazione di Dio data non solo all’ inizio della storia, ma a ciascuno di noi, per far crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un luogo abitabile per tutti”. «Ricevere la lettera del Papa è stata una gioia grandissima» confida la giornalista. In effetti il suo lavoro rivela proprio quell’ approccio integrato che il Pontefice raccomanda, «non solo nella “Laudato si’ , ma anche in un’ altra enciclica fondamentale come la Fratelli tutti». «Certamente dobbiamo essere grati agli ambientalisti per il lavoro enorme che hanno svolto e svolgono, pagando di persona, a volte anche con la vita. Credo però che l’ approccio puramente ambientalista vada superato da uno sguardo più integrato, in cui confluiscano scienza, tecnologia, politica, giurisprudenza, cultura». Per rendere evidente questa idea, l’ autrice ha voluto raccogliere (nelle prefazioni e postfazioni al volume) una serie di contributi multidisciplinari. Oltre alla lettera del Santo Padre, Il senso della sete propone testi dell’ ambientalista Vandana Shiva, del diplomatico Pasquale Ferrara, dell’ ex ministro ed ex presidente del Cnr Francesco Profumo, dell’ economista Leonardo Becchetti, del poeta Plinio Perilli.

CI SALVERANNO LA CULTURA E LA BUONA TECNOLOGIA

Il libro è tutt’ altro che un freddo ragionare. Accanto alle riflessioni scientifiche, economiche e geopolitiche, una parte rilevante è dedicata al valore dell’ acqua nelle diverse culture e tradizioni religiose, che la vedono quasi sempre associata alla vita, alla rigenerazione, alla guarigione, in alcuni casi – come nell’ antica mitologia armena – perfino alla saggezza. E’ forse proprio questo senso di sacralità che stiamo perdendo? «Trovo scandaloso» ci dice l’ autrice «che la notizia dell’ acqua quotata in borsa (Stati Uniti, 2020) non abbia conquistato le prime pagine dei quotidiani. È vero, eravamo in piena pandemia, ma una notizia come questa dovrebbe farci sussultare: quotare in borsa un bene come l’ acqua significa prevederne la scarsità ed essere pronti a specularci sopra. Tutto ciò significa non aver affatto compreso il valore dell’ acqua». Ecco perché «i riferimenti culturali non sono pure curiosità intellettuali, ma sono stati il mio nutrimento profondo. Emerge una saggezza antica, comune a tutti i popoli benché declinata in sensibilità molto diverse, che ci ricorda quanto l’ acqua sia preziosa e vada custodita. Possiamo imparare molto anche da comunità piccole e sperdute, come quelle amazzoniche, che considerano i corsi d’ acqua esseri viventi e che da sempre sono attente a evitare gli sprechi. Per affrontare temi così complessi abbiamo bisogno di un grande slancio etico. E la cultura è proprio questo punto di raccordo, capace di tenere assieme sistemi naturali e sistemi sociali». In questo senso anche la tecnologia non va demonizzata. «Al contrario! Se usata bene, può esserci di grande aiuto. Penso, ad esempio, ai sistemi di agricoltura idroponica, che consentono di risparmiare acqua, oppure agli impianti digitalizzati per il contenimento delle dispersioni idriche. Attualmente in questi settori c’ è grande fermento e spesso le innovazioni più lungimiranti portano la firma di giovanissimi studiosi: un segno che fa ben sperare».

Il senso della sete. L’acqua tra diritti non scontati e urgenze geopolitiche

17,00 € Editore: Infinito Edizioni Collana: I saggi Pubblicazione: 15/04/2021 Pagine: 208 Formato: Libro in brossura ISBN: 9788868615215 Il legame profondo tra l’acqua e il diritto alla salute è una tra le questioni sociali e geopolitiche più urgenti inerenti alla più essenziale delle risorse. In un’epoca segnata dai disastri ambientali legati ai cambiamenti climatici e dal consumo umano eccessivo delle risorse del pianeta, l’acqua è l’emblema di quell’equilibrio naturale che gli esseri umani non possono continuare ad alterare senza annientare se stessi.

https://m.famigliacristiana.it/articolo/fausta-speranza.htm

Sul sito de L’Espresso

A dialogo con Giancarlo Capozzolo, giornalista blogger de L’Espresso:

Roma. Il senso della sete. L’acqua tra geopolitica, diritti, arte e spiritualità. Un colloquio con Fausta Speranza

GC: Gentile Fausta, perché indagare il legame  tra l’acqua e il diritto alla salute?
FS: Perché è una tra le questioni sociali e geopolitiche più urgenti. In piena pandemia, negli Stati Uniti la più essenziale delle risorse è stata quotata in Borsa e in Europa si è alzata l’allerta sulle microplastiche e altri inquinanti negli Oceani. L’estate 2021 è stata segnata da drammatiche alluvioni  in Germania, Belgio e  Gran Bretagna  e da devastanti incendi in California, Grecia, Turchia, in Italia. Piogge torrenziali e siccità sono le due facce dello stesso fenomeno, di quel surriscaldamento climatico denunciato con dati incontrovertibili dagli esperti dell’Onu a inizio agosto in vista  della Conferenza mondiale sul clima (Cop 26) prevista a novembre in Scozia.  Mentre l’Ue rilancia il suo progetto di neutralità climatica entro il 2050, bisogna ripensare il legame tra sistemi naturali e sistemi sociali, in sostanza mettere seriamente in discussione i meccanismi di sviluppo.
GC: La Risoluzione della Assemblea delle Nazioni Unite 64/92 del 28 luglio 2010 ha  riconosciuto che il “diritto all’acqua potabile ed ai servizi igienico sanitari è un diritto dell’uomo essenziale alla qualità della vita ed all’esercizio di tutti i diritti dell’uomo”. Undici anni dopo, oltre una persona su 4 – circa 2,2 miliardi – non ha accesso a fonti d’acqua sicure…
FS: L’acqua è il primo elemento naturale da considerare seriamente per la sua essenzialità e per il suo valore emblematico. Tra urgenze geopolitiche e diritti non scontati, è magnifico – lo faccio nella parte parte del volume – riscoprire la sacralità dell’acqua in tutte le espressioni di spiritualità, religiosità, arti, filosofie che il mondo ha conosciuto in tutti i tempi e in tutte le latitudini. Il sacro non è assenza di pensiero: in quella sacralità c’è tanta saggezza.
GC: per dirlo con una battuta, non si può più dire “facile come bere un bicchier d’acqua”…
FS: Purtroppo direi proprio di no. L’International Food Policy Research Institute (Ifpri) prevede che, agli attuali tassi di crescita demografica e di consumo idrico, entro il 2025 il fabbisogno di acqua aumenterà di oltre il 50 per cento. Il Mediterraneo ha una velocità di riscaldamento che è del 20 per cento superiore rispetto alla media globale, e questo fa temere che entro pochi anni circa 250 milioni di persone si potranno trovare in una condizione di insicurezza idrica.
GC: …già sappiamo delle guerre per l’acqua intorno il Lago Ciad in Africa o  delle contese per le dighe tra Etiopia, Egitto e Sudan…
FS: Gli agricoltori saranno i più colpiti, in particolare nei Paesi a basso reddito, dove i raccolti dipendono molto più direttamente da sistemi di irrigazione ad alto consumo d’acqua rispetto all’America Settentrionale o all’Europa. L’allarme riguarda soprattutto Medio Oriente e Nord Africa, ma anche l’India, che desta particolare preoccupazione per il numero elevatissimo della sua popolazione.  Paesi come Qatar, Israele, Libano e Iran ogni anno prelevano in media più dell’80 per cento delle proprie risorse totali di acqua. Si traduce in un serissimo rischio di rimanerne a corto. Guardando all’Iran, dopo le proteste per il pane, sono arrivate in primavera quelle per l’acqua. Nella Repubblica islamica il cambiamento climatico sta determinando la peggiore siccità degli ultimi 50 anni. La rete idroelettrica nazionale sta cedendo a causa della mancanza prolungata di piogge, aggravata da decenni di incuria e mancati investimenti. Una situazione drammatica soprattutto nella parte occidentale del paese, spazzata dai venti desertici provenienti dal vicino Iraq che hanno reso aride pianure un tempo fertili.  Nel Khuzestan, provincia occidentale, migliaia di dimostranti sono scesi in strada, scandendo slogan sull’acqua contro le autorità, e scontrandosi con le forze dell’ordine.
Altri 44 Paesi, in cui vive circa un terzo della popolazione mondiale  prelevano ogni anno il 40 per cento dell’acqua di cui dispongono. Per questi territori, che comprendono anche l’Italia, il rischio è meno elevato, ma comunque preoccupante.
GC: …c’è poi un altro dato da non trascurare: il 12 per cento della popolazione dell’Unione europea lamenta problematiche legate all’acqua..
FS: Tra difficoltà di approvvigionamento, querelle tra pubblico e privato e soprattutto inquinamento. Tanto che nel 2020 abbiamo assistito alla prima Direttiva europea frutto della possibilità (secondo quanto previsto dal 2009 dal Trattato di Lisbona) di promozione da parte dei cittadini: ed era la Direttiva sugli standard di sicurezza delle risorse idriche. Tutto questo ci ricorda innanzitutto che il livello di regolazione deve essere superiore allo Stato nazionale, vale la logica del principio di sussidiarietà verso l’alto: senza accordi internazionali che diano standard comuni non c’è una reale efficacia di intervento per garantire il diritto all’accesso all’acqua potabile.
GC: Da tempo si parla di guerre per “l’oro blu” mentre si è parlato molto poco di un fatto che tu nel libro definisci potenzialmente dirompente : i futures sull’acqua …
FS: Sappiamo che scarsità fa rima con speculazioni. Secondo le stime del Water Grabbing Observatory, nel 2030 il 47 per cento della popolazione mondiale vivrà in zone a elevato stress idrico, che significa elevatissimo stress sociale. “L’oro blu”, dunque, è in grado di scatenare carestie e guerre e l’acqua potabile, in particolare, rappresenta il primo diritto da tutelare in tema di salute ma anche un’arma da guerra: far mancare l’acqua ad alcuni territori piega il nemico. E dunque in quest’ottica non sorprende che ci sia qualcuno che si prepara a speculazioni. Nel 2020  c’è stato chi in California ha quotato l’acqua in Borsa. Ribadisco che ritengo questo un fatto  potenzialmente dirompente quanto impensabile.  È chiaro che tutto il discorso va posto a livello planetario, esattamente come a livello globale si sta imponendo il determinismo tecnologico che diventa determinismo sociale. L’alternativa può essere una forma di consapevolezza globale innanzitutto e di governance globale che salvi i fondamenti dei sistemi liberali messi a dura prova anche dallo tsunami Sars-CoV2 o Covid-19. E nei fondamenti democratici c’è il diritto a non morire di sete o di acqua inquinata. Certamente avrei voluto un dibattito forte su quanto accaduto negli Stati Uniti: in Italia non c’è stato affatto.
GC: A proposito di Italia, il referendum sulle privatizzazioni esattamente di 10 anni ci ha messo al riparo?
FS: A giugno di 10 anni fa abbiamo votato per il referendum che ha respinto la privatizzazione, ma oggi ci ritroviamo in alcune zone d’Italia con accordi di municipalizzate con privati che pongono seri problemi. Le cronache ci portano direttamente in Sicilia dove è vivissimo il dibattito, ma non ci sono sole le isole in ballo. Alcuni sindaci   stanno combattendo la  battaglia per difendere l’accesso alle fonti idriche   perché le lobby delle acque minerali rischiano di trovare cittadinanza nel prossimo decreto legge sulla transizione ecologica”.
Le grandi lobby di potere, che avevano mal digerito  l’introduzione dell’articolo 147 bis nel Codice dell’ambiente, voce  che assegnava il servizio idrico ai piccoli comuni montani e a quelli  con sorgenti in aree pregiate, ci riprovano ancora: vorrebbero mettere le mani sulle sorgenti idriche che ricadono nei  parchi e nelle aree di pregio.  Lo strumento potrebbe essere il nuovo decreto legge in corso di approvazione sulla  transizione ecologica che prova ad abrogare quell’articolo, nato a seguito di tante lotte, per l’acqua pubblica, fatte da piccole e grandi comunità. Ma sui giornali in questi mesi vengono anche raccontati i sit-in in piazza Carlo di Borbone a Napoli, organizzati dall’associazione  ‘Comuni per l’acqua pubblica’ che manifestano  la loro contrarietà alla proposta dei nuovi aumenti delle tariffe sulla bolletta dell’acqua nella provincia di Napoli.  Sappiamo bene come in Veneto per decenni le acque della seconda falda più grande d’Europa  sono state inquinate con sostanze chimiche, gli Pfas. Un disastro ambientale che ha messo a rischio la salute di un’intera regione e centinaia di migliaia di persone. Nel 2020 ha avuto inizio il processo ai responsabili ma non si esaurisce tutto nelle aule dei Tribunali seppure serva urgentemente giustizia.
GC: Qualcosa si muove davvero a tuo avviso?
FS: Cresce in generale la consapevolezza dei problemi dei cambiamenti climatici. Il 22 marzo è dal 1993 la Giornata Mondiale dell’Acqua, su iniziativa dell’Onu, ma è evidente come solo negli ultimi anni, e in particolare nel 2021, venga sempre più seguita. Inoltre, dal 2020 è iniziato il Decennio degli Oceani. E la Giornata dell’Ambiente del 5 giugno 2021 ha lanciato ufficialmente il Decennio delle Nazioni Unite per il Ripristino dell’Ecosistema. Il profondo legame tra la più essenziale delle risorse e il cambiamento climatico è stato il tema dell’edizione 2020 della Giornata mondiale dell’acqua. E per l’edizione 2021 della Giornata  è stato scelto il tema Valuing Water, ovvero dare valore all’acqua.
GC: Il prossimo orizzonte è la United Nations Climate Change Conference, 1-12 novembre 2021, a Glasgow, in Scozia…
FS: In vista di questo appuntamento mondiale il 9 agosto veniva pubblicato il rapporto, dal titolo  “Cambiamenti climatici 2021 – Le basi fisico-scientifiche”, del   Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) dell’Onu.
Il messaggio è chiarissimo: non è rimasto più tempo da perdere per limitare il riscaldamento globale ed evitare cambiamenti disastrosi alla vita sul nostro pianeta. Ma non bastano singole azioni: è il momento di ripensare sistemi naturali e sistemi sociali. Con la pandemia, il messaggio è deflagrato: si deve ripartire dall’ambiente costruito per contrastare l’arrivo di ondate di calore anomale, piogge torrenziali, siccità e aridità, uragani e cicloni e anche per fronteggiare il fenomeno delle zoonosi, le infezioni dovute al cosiddetto salto da specie animale a specie umana. E’ evidente che è dovuto ad alterazioni degli equilibri dell’ecosistema. Ma si deve anche garantire una gestione idrica più sicura e sostenibile e tutelare il diritto alla salute in un modo nuovo. Dunque, qualcosa davvero si muove almeno a livello di denunce globali. Bisogna passare ai fatti.
GC: C’è chi ci perde la vita per certe battaglie …
FS: Sono drammatici i tentativi di zittire le voci di denuncia. Aambientalisti e attivisti di tutto il mondo combattono, dal Brasile all’Australia, dal Canada alle Filippine, e troppo spesso lo fanno a costo della vita.  Secondo il rapporto dell’organizzazione Global Witness, il 2019 ha segnato l’angosciante record di almeno 212 omicidi di ambientalisti che operavano in difesa di terre e risorse naturali. Quattro ogni settimana. E non c’è solo il Messico o l’America Latina, considerate terre di narcotraffico: parte della strage si è consumata in Asia. La gravità della situazione è esacerbata dall’agricoltura intensiva, che nei Paesi non sviluppati sperpera risorse in modo impensabile,  e dalla produzione di carne per i ricchi mercati del Nord del mondo che, insieme con lo sfruttamento minerario indiscriminato, consumano enormi quantità d’acqua. Anche l’inquinamento delle falde acquifere causato dagli scarichi industriali ha un ruolo nel ridurre la disponibilità idrica. Ricordiamo che la popolazione mondiale ha a disposizione soltanto il 2 per cento dell’acqua, mentre il restante 98 per cento viene destinato a usi industriali, agricoli, forestali e minerari.
E pensare che dai popoli indigeni dell’Amazzonia o di altre aree dell’America Latina possono arrivare insegnamenti preziosissimi. Per la forza della loro tradizione, considerano i corsi d’acqua esseri viventi e non concepiscono inoltre la proprietà privata. Si capisce che il loro approccio è diverso e arricchente. Non c’è spreco e non c’è scempio possibile nella loro mentalità, ma solo il rispetto che si deve ad altri esseri viventi. In Ecuador e in Bolivia, sotto la spinta di questo tipo di concezioni, ai fiumi e ai laghi è stato riconosciuto per legge lo status di personalità giuridica. C’è l’uso delle acque e delle culture secondo tradizionali metodi che conservano in sé il concetto oggi tanto ambito di sostenibilità. Eppure finora li abbiamo sacrificati troppo spesso a vantaggio di un’agricoltura commerciale che non pensa al domani.
È solo un flash di altri orizzonti possibili, che conferma che tutti i popoli hanno qualcosa da insegnare e dovrebbero avere voce in capitolo. Questa sarebbe una faccia bella della globalizzazione.
GC: I conflitti e le migrazioni in tutto il mondo si moltiplicano e scopriamo la fragilità anche in Occidente di diritti che avevamo dato per scontati, come quello di vivere in un ambiente salubre…
FS: Emerge una complessità da considerare con uno sguardo che non può che essere globale. I cambiamenti climatici stanno rendendo l’acqua più scarsa, più imprevedibile, più inquinata; incidono quindi sulla sua qualità, minacciando lo sviluppo sostenibile e la biodiversità. Il punto è che la crescente domanda richiede un aumento della necessità di trattamenti ad alta intensità energetica e alcune misure di mitigazione dei cambiamenti climatici, come l’uso esteso di biocarburanti, possono perfino aggravare la scarsità d’acqua. D’altra parte, l’adattamento agli effetti dei cambiamenti climatici sull’acqua può proteggere la salute, così come l’uso più efficiente dell’acqua può contribuire a ridurre i gas serra. Si capisce che si debba adottare la tecnologia giusta e che non si possa procedere random. Il Covid-19 ha sparpagliato le carte a tutti sotto diversi punti di vista, ma su un aspetto gli studiosi internazionali concordano: la stretta correlazione tra cambiamenti climatici, alterazioni dell’ecosistema e salto di infezioni dagli animali all’essere umano. Il Covid-19 è solo uno della catena di esempi possibili, dopo Hiv, Ebola, H5N1, H1N1, Sars, Mers.
GC: Parli di governance globale per salute e acqua ma non ti sembra che abbia  seriamente vacillato di recente lo stesso concetto di multilateralismo?
FS: E’ vero. Ha vacillato seriamente e ora si sta riformulando ma c’è anche il rischio che si recuperi un multilateralismo delle democrazie che esclude o mette ai margini  Paesi che invece ormai devono dire la loro perché hanno un peso notevole sotto tanti punti di vista.  La lotta ai cambiamenti climatici, nonostante la consapevolezza del legame profondo con le questioni della salute, ha subìto una battuta d’arresto in questi ultimi anni, travolta dall’isolazionismo degli Stati Uniti di Donald Trump, ma anche dalla crisi che attraversano le agenzie internazionali che devono “produrre” multilateralismo. Senza approccio concertato, una battaglia come questa non può essere vinta: lo sa bene l’Unione europea che se ne è fatta paladina, con una corsa in avanti in tema di emissioni nocive che resterà nei libri di storia. La crisi per gli organismi internazionali non è tanto di efficienza degli apparati, ma di legittimazione da parte dei leader mondiali e di credibilità minata dai venti di populismo e di sovranismo. L’aria con il nuovo presidente statunitense Joe Biden è molto cambiata: nel giorno stesso del suo giuramento, il 20 gennaio 2021, ha firmato carte utili a far rientrare gli Stati Uniti nell’Accordo di Parigi sul clima e in altri consessi internazionali. Inoltre, dopo una settimana dal suo insediamento, il secondo presidente cattolico, dopo Kennedy, ha annunciato la disponibilità degli Stati Uniti a ospitare il summit con i leader mondiali sui cambiamenti climatici in programma il 22 aprile 2021 in occasione della Giornata della Terra.
GC: In definitiva, in tema di ambiente è ripartita la collaborazione tra Stati Uniti e Unione europea ma ormai qualunque seria partita deve essere giocata a tre, Washington, Bruxelles e Pechino…
FS: Sembra che si stiano rimettendo insieme i pezzi del puzzle multilaterale, che si stava costruendo, in campo economico, con il G20, nato nel 1999 come versione allargata del gruppo degli otto o sette Paesi più industrializzati. Bisogna chiedersi quali dossier debbano trovarsi sul tavolo, al di là ovviamente di quello dell’emergenza pandemica scoppiata a inizio 2020; quello della gestione dei vaccini maturato a inizio 2021; quello delle conseguenze economiche a lungo termine che vanno a sommarsi alle altre fasi negative precedenti.
GC: Abbiamo  parlato di diritti ma non abbiamo parlato di sanzioni e di reati?
FS: Il punto è assicurare davvero incisività all’impegno della Corte penale internazionale in tema di delitti ambientali. Ricordiamo il mandato che ha ricevuto in questo campo nel 2016, ma anche i limiti con i quali può muoversi. Che sono davvero troppi. Come è inaccettabile il numero di coloro che nel mondo vivono senza poter accedere all’acqua potabile. Si tratta del padre di tutti i diritti, un requisito necessario per la sussistenza, per combattere le infezioni e difendere la salute. Nessuno può negare che far mancare l’acqua a esseri umani possa rappresentare un crimine contro l’umanità.
GC: Perché tanti nomi a firmare prefazioni e postfazioni del tuo libro?
FS: Sono convinta che abbia ragione il filosofo e massmediologo Derrick de Kerckhove quando dice che “il futuro della politica non sarà più nazionale, ma ovunque nasceranno due grandi partiti, uno favorevole alle regole di base per il rispetto dell’ambiente e della società e l’altro contrario”. Mi sono occupata di acqua perché è il primo, basilare ed emblematico elemento naturale da cui partire per riflettere sulle urgenze del pianeta, ma anche perché rappresenta un fattore chiave per la sussistenza, utile per ragionare di un nuovo patto sociale globale.  E per farlo ho coinvolto  oltre all’ambientalista Vandana Shiva, i rappresentanti dei fondamentali ambiti di discussione:  l’Ambasciatore Pasquale Ferrara rappresenta l’impegno di riflessione dell’internazionalista; Leonardo Becchetti il punto di vista dell’economista;  Stefano Ceccanti quello del costituzionalista,  Francesco Profumo “incarna” l’innovazione tecnologica. E non poteva mancare un poeta, Plinio Perilli, proprio perché di visione e di spessore umanistici abbiamo molto bisogno. C’è bisogno di sinergie! Vacillano alcuni punti fermi in tema di equilibri sociali, come il lavoro e il welfare, già colpiti da crisi economico-finanziarie alternate a liberismo selvaggio, concentrazioni di interessi. In parallelo, nella narrativa social e nelle più varie realtà sociali si moltiplicano preoccupanti recrudescenze di razzismi, fascismi, presunte supremazie. Dall’Europa arriva un messaggio forte da tradurre in azione. Lo ha lanciato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: dopo l’Europa del carbone e dell’acciaio, dopo l’Europa verde agricola, dopo quella seppur non completa della moneta e delle banche, ci vuole l’Europa della salute.
Non è più possibile il solo binario dell’ambientalismo: dobbiamo percorre percorsi sinergici.
Non avrei immaginato ma ovviamente è stato un bellissimo regalo ricevere la lettera di Papa Francesco, protagonista con la Laudato Sì delle più efficaci provocazioni in tema di ambiente.  Ricordo che mai – in 30 anni da cronista a Bruxelles e a Strasburgo – mi era capitato di vedere monopolizzate le conversazioni nei corridoi della Commissione europea per settimane e settimane sulle parole di un Papa, come è accaduto in quel momento. E bisogna anche dire che interi brani del programma Green Deal dell’Ue, lanciato nel 2019 dal Consiglio europeo, con la sola clausola di non partecipazione della Polonia riprendono stralci della Enciclica di Francesco del 2015.
GC: La pandemia è stata come l’apertura del vaso di Pandora: ha messo in luce come la crisi che viviamo riguardi molteplici ambiti della vita sociale e molteplici dimensioni del vivere comune…
FS: È una crisi sanitaria ed economica, ma è anche una crisi istituzionale, delle democrazie, e culturale. Dobbiamo ripeterci che il termine crisi nell’etimologia conserva un potenziale di rinascita: viene dal greco krísis, che significa discernimento, scelta, decisione. Sono concetti che proiettano in avanti, che aprono a un impegno nuovo. Ma non c’è nulla di scontato. Piuttosto, molto da riprendere in mano.
GC: Nel tuo libro non ci sono solo denunce e drammi, ma anche arti, filosofie, religioni. Perché?
FS: Il senso della sete cerca di mettere in luce  i temi, le problematiche, i fili che attraversano le varie questioni più importanti,   ma anche di proporre alcuni flash del patrimonio di inventiva tecnologica e di idealità già messo in campo per trovare soluzioni, nell’ottica di contribuire a un dibattito comprensivo e propositivo che parli concretamente di cultura della cura. E poi, nella terza parte, abbiamo cercato di “risalire alle fonti”, di abbeverarci a quel bacino di spiritualità e sensibilità artistica che davvero può dare forza per una vera rivoluzione ecologica che non può cambiare solo lo stato di salute dell’aria, dell’acqua, della terra, ma deve modificare la relazione dell’essere umano con il contesto ambientale e con l’altro. Abbiamo bisogno di riscoprire anche il senso della sete di bacini culturali che danno senso e slancio etico.
GC: Ci fai alcuni esempi?
FS: Antichi testi testimoniano che il Nilo era sacro per gli Egizi, fonte di vita, simbolo di prosperità. Per i saggi della Grecia antica, l’acqua e la terra si tengono insieme, come il cielo e l’aria.  L’acqua è un vapore condensato, un cielo coagulato, un’aria spessa, una terra fluida. Nell’età vedica dell’India, l’acqua rappresenta la manifestazione cosmica che racchiude due significati legati tra loro: da un lato, dà la vita materialmente, come Madre Natura; dall’altro, assume un significato più trascendente legato all’Essere. Nella mitologia armena, la figura di Anahid, dea della fertilità e della guarigione, è la custode delle acque e della saggezza! Per gli indigeni Mapuche del Cile, l’acqua del mare e le montagne della terra sono due grandi serpenti che lottano tra loro alla ricerca di un continuo equilibrio, che corrisponde al centro della loro spiritualità. Per gli Zuni del New Mexico, negli Stati Uniti, gli antenati risiedono in un villaggio situato nella profondità di un lago. Insomma, nel libro riporto tanti altri di questi esempi, oltre alla narrazione dei concetti di purificazione e rigenerazione per le tre religioni monoteistiche: ebraismo,   cristianesimo, islam. E’ tutto nutrimento per l’animo umano chiamato a un nuovo slancio etico.

Multilateralismo e governance di beni essenziali come le risorse idriche:  ne ho parlato con la giornalista Fausta Speranza, autrice del  libro Il senso della  sete. L’acqua tra geopolitica, diritti, arte e spiritualità. (Infinito Edizioni).

GC: Gentile Fausta, perché indagare il legame  tra l’acqua e il diritto alla salute?

FS: Perché è una tra le questioni sociali e geopolitiche più urgenti. In piena pandemia, negli Stati Uniti la più essenziale delle risorse è stata quotata in Borsa e in Europa si è alzata l’allerta sulle microplastiche e altri inquinanti negli Oceani. L’estate 2021 è stata segnata da drammatiche alluvioni  in Germania, Belgio e  Gran Bretagna  e da devastanti incendi in California, Grecia, Turchia, in Italia. Piogge torrenziali e siccità sono le due facce dello stesso fenomeno, di quel surriscaldamento climatico denunciato con dati incontrovertibili dagli esperti dell’Onu a inizio agosto in vista  della Conferenza mondiale sul clima (Cop 26) prevista a novembre in Scozia.  Mentre l’Ue rilancia il suo progetto di neutralità climatica entro il 2050, bisogna ripensare il legame tra sistemi naturali e sistemi sociali, in sostanza mettere seriamente in discussione i meccanismi di sviluppo.

GC: La Risoluzione della Assemblea delle Nazioni Unite 64/92 del 28 luglio 2010 ha  riconosciuto che il “diritto all’acqua potabile ed ai servizi igienico sanitari è un diritto dell’uomo essenziale alla qualità della vita ed all’esercizio di tutti i diritti dell’uomo”. Undici anni dopo, oltre una persona su 4 – circa 2,2 miliardi – non ha accesso a fonti d’acqua sicure…

FS: L’acqua è il primo elemento naturale da considerare seriamente per la sua essenzialità e per il suo valore emblematico. Tra urgenze geopolitiche e diritti non scontati, è magnifico – lo faccio nella parte parte del volume – riscoprire la sacralità dell’acqua in tutte le espressioni di spiritualità, religiosità, arti, filosofie che il mondo ha conosciuto in tutti i tempi e in tutte le latitudini. Il sacro non è assenza di pensiero: in quella sacralità c’è tanta saggezza.

GC: Per dirlo con una battuta, non si può più dire “facile come bere un bicchier d’acqua”…

FS: Purtroppo direi proprio di no. L’International Food Policy Research Institute (Ifpri) prevede che, agli attuali tassi di crescita demografica e di consumo idrico, entro il 2025 il fabbisogno di acqua aumenterà di oltre il 50 per cento. Il Mediterraneo ha una velocità di riscaldamento che è del 20 per cento superiore rispetto alla media globale, e questo fa temere che entro pochi anni circa 250 milioni di persone si potranno trovare in una condizione di insicurezza idrica.

GC: …già sappiamo delle guerre per l’acqua intorno il Lago Ciad in Africa o  delle contese per le dighe tra Etiopia, Egitto e Sudan…

FS: Gli agricoltori saranno i più colpiti, in particolare nei Paesi a basso reddito, dove i raccolti dipendono molto più direttamente da sistemi di irrigazione ad alto consumo d’acqua rispetto all’America Settentrionale o all’Europa. L’allarme riguarda soprattutto Medio Oriente e Nord Africa, ma anche l’India, che desta particolare preoccupazione per il numero elevatissimo della sua popolazione.  Paesi come Qatar, Israele, Libano e Iran ogni anno prelevano in media più dell’80 per cento delle proprie risorse totali di acqua. Si traduce in un serissimo rischio di rimanerne a corto. Guardando all’Iran, dopo le proteste per il pane, sono arrivate in primavera quelle per l’acqua. Nella Repubblica islamica il cambiamento climatico sta determinando la peggiore siccità degli ultimi 50 anni. La rete idroelettrica nazionale sta cedendo a causa della mancanza prolungata di piogge, aggravata da decenni di incuria e mancati investimenti. Una situazione drammatica soprattutto nella parte occidentale del paese, spazzata dai venti desertici provenienti dal vicino Iraq che hanno reso aride pianure un tempo fertili.  Nel Khuzestan, provincia occidentale, migliaia di dimostranti sono scesi in strada, scandendo slogan sull’acqua contro le autorità, e scontrandosi con le forze dell’ordine.  Altri 44 Paesi, in cui vive circa un terzo della popolazione mondiale  prelevano ogni anno il 40 per cento dell’acqua di cui dispongono. Per questi territori, che comprendono anche l’Italia, il rischio è meno elevato, ma comunque preoccupante.

GC: …c’è poi un altro dato da non trascurare: il 12 per cento della popolazione dell’Unione europea lamenta problematiche legate all’acqua..

FS: Tra difficoltà di approvvigionamento, querelle tra pubblico e privato e soprattutto inquinamento. Tanto che nel 2020 abbiamo assistito alla prima Direttiva europea frutto della possibilità (secondo quanto previsto dal 2009 dal Trattato di Lisbona) di promozione da parte dei cittadini: ed era la Direttiva sugli standard di sicurezza delle risorse idriche. Tutto questo ci ricorda innanzitutto che il livello di regolazione deve essere superiore allo Stato nazionale, vale la logica del principio di sussidiarietà verso l’alto: senza accordi internazionali che diano standard comuni non c’è una reale efficacia di intervento per garantire il diritto all’accesso all’acqua potabile.

GC: Da tempo si parla di guerre per “l’oro blu” mentre si è parlato molto poco di un fatto che tu nel libro definisci potenzialmente dirompente : i futures sull’acqua …

FS: Sappiamo che scarsità fa rima con speculazioni. Secondo le stime del Water Grabbing Observatory, nel 2030 il 47 per cento della popolazione mondiale vivrà in zone a elevato stress idrico, che significa elevatissimo stress sociale. “L’oro blu”, dunque, è in grado di scatenare carestie e guerre e l’acqua potabile, in particolare, rappresenta il primo diritto da tutelare in tema di salute ma anche un’arma da guerra: far mancare l’acqua ad alcuni territori piega il nemico. E dunque in quest’ottica non sorprende che ci sia qualcuno che si prepara a speculazioni. Nel 2020  c’è stato chi in California ha quotato l’acqua in Borsa. Ribadisco che ritengo questo un fatto  potenzialmente dirompente quanto impensabile.  È chiaro che tutto il discorso va posto a livello planetario, esattamente come a livello globale si sta imponendo il determinismo tecnologico che diventa determinismo sociale. L’alternativa può essere una forma di consapevolezza globale innanzitutto e di governance globale che salvi i fondamenti dei sistemi liberali messi a dura prova anche dallo tsunami Sars-CoV2 o Covid-19. E nei fondamenti democratici c’è il diritto a non morire di sete o di acqua inquinata. Certamente avrei voluto un dibattito forte su quanto accaduto negli Stati Uniti: in Italia non c’è stato affatto.

GC: A proposito di Italia, il referendum sulle privatizzazioni esattamente di 10 anni ci ha messo al riparo?

FS: A giugno di 10 anni fa abbiamo votato per il referendum che ha respinto la privatizzazione, ma oggi ci ritroviamo in alcune zone d’Italia con accordi di municipalizzate con privati che pongono seri problemi. Le cronache ci portano direttamente in Sicilia dove è vivissimo il dibattito, ma non ci sono sole le isole in ballo. Alcuni sindaci   stanno combattendo la  battaglia per difendere l’accesso alle fonti idriche   perché le lobby delle acque minerali rischiano di trovare cittadinanza nel prossimo decreto legge sulla transizione ecologica”.  Le grandi lobby di potere, che avevano mal digerito  l’introduzione dell’articolo 147 bis nel Codice dell’ambiente, voce  che assegnava il servizio idrico ai piccoli comuni montani e a quelli  con sorgenti in aree pregiate, ci riprovano ancora: vorrebbero mettere le mani sulle sorgenti idriche che ricadono nei  parchi e nelle aree di pregio.  Lo strumento potrebbe essere il nuovo decreto legge in corso di approvazione sulla  transizione ecologica che prova ad abrogare quell’articolo, nato a seguito di tante lotte, per l’acqua pubblica, fatte da piccole e grandi comunità. Ma sui giornali in questi mesi vengono anche raccontati i sit-in in piazza Carlo di Borbone a Napoli, organizzati dall’associazione  ‘Comuni per l’acqua pubblica’ che manifestano  la loro contrarietà alla proposta dei nuovi aumenti delle tariffe sulla bolletta dell’acqua nella provincia di Napoli.  Sappiamo bene come in Veneto per decenni le acque della seconda falda più grande d’Europa  sono state inquinate con sostanze chimiche, gli Pfas. Un disastro ambientale che ha messo a rischio la salute di un’intera regione e centinaia di migliaia di persone. Nel 2020 ha avuto inizio il processo ai responsabili ma non si esaurisce tutto nelle aule dei Tribunali seppure serva urgentemente giustizia.

GC: Qualcosa si muove davvero a tuo avviso?

FS: Cresce in generale la consapevolezza dei problemi dei cambiamenti climatici. Il 22 marzo è dal 1993 la Giornata Mondiale dell’Acqua, su iniziativa dell’Onu, ma è evidente come solo negli ultimi anni, e in particolare nel 2021, venga sempre più seguita. Inoltre, dal 2020 è iniziato il Decennio degli Oceani. E la Giornata dell’Ambiente del 5 giugno 2021 ha lanciato ufficialmente il Decennio delle Nazioni Unite per il Ripristino dell’Ecosistema. Il profondo legame tra la più essenziale delle risorse e il cambiamento climatico è stato il tema dell’edizione 2020 della Giornata mondiale dell’acqua. E per l’edizione 2021 della Giornata  è stato scelto il tema Valuing Water, ovvero dare valore all’acqua.

GC: Il prossimo orizzonte è la United Nations Climate Change Conference, 1-12 novembre 2021, a Glasgow, in Scozia…

FS: In vista di questo appuntamento mondiale il 9 agosto veniva pubblicato il rapporto, dal titolo  “Cambiamenti climatici 2021 – Le basi fisico-scientifiche”, del   Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) dell’Onu.  Il messaggio è chiarissimo: non è rimasto più tempo da perdere per limitare il riscaldamento globale ed evitare cambiamenti disastrosi alla vita sul nostro pianeta. Ma non bastano singole azioni: è il momento di ripensare sistemi naturali e sistemi sociali. Con la pandemia, il messaggio è deflagrato: si deve ripartire dall’ambiente costruito per contrastare l’arrivo di ondate di calore anomale, piogge torrenziali, siccità e aridità, uragani e cicloni e anche per fronteggiare il fenomeno delle zoonosi, le infezioni dovute al cosiddetto salto da specie animale a specie umana. E’ evidente che è dovuto ad alterazioni degli equilibri dell’ecosistema. Ma si deve anche garantire una gestione idrica più sicura e sostenibile e tutelare il diritto alla salute in un modo nuovo. Dunque, qualcosa davvero si muove almeno a livello di denunce globali. Bisogna passare ai fatti.

GC: C’è chi ci perde la vita per certe battaglie …

FS: Sono drammatici i tentativi di zittire le voci di denuncia. Aambientalisti e attivisti di tutto il mondo combattono, dal Brasile all’Australia, dal Canada alle Filippine, e troppo spesso lo fanno a costo della vita.  Secondo il rapporto dell’organizzazione Global Witness, il 2019 ha segnato l’angosciante record di almeno 212 omicidi di ambientalisti che operavano in difesa di terre e risorse naturali. Quattro ogni settimana. E non c’è solo il Messico o l’America Latina, considerate terre di narcotraffico: parte della strage si è consumata in Asia. La gravità della situazione è esacerbata dall’agricoltura intensiva, che nei Paesi non sviluppati sperpera risorse in modo impensabile,  e dalla produzione di carne per i ricchi mercati del Nord del mondo che, insieme con lo sfruttamento minerario indiscriminato, consumano enormi quantità d’acqua. Anche l’inquinamento delle falde acquifere causato dagli scarichi industriali ha un ruolo nel ridurre la disponibilità idrica. Ricordiamo che la popolazione mondiale ha a disposizione soltanto il 2 per cento dell’acqua, mentre il restante 98 per cento viene destinato a usi industriali, agricoli, forestali e minerari. E pensare che dai popoli indigeni dell’Amazzonia o di altre aree dell’America Latina possono arrivare insegnamenti preziosissimi. Per la forza della loro tradizione, considerano i corsi d’acqua esseri viventi e non concepiscono inoltre la proprietà privata. Si capisce che il loro approccio è diverso e arricchente. Non c’è spreco e non c’è scempio possibile nella loro mentalità, ma solo il rispetto che si deve ad altri esseri viventi. In Ecuador e in Bolivia, sotto la spinta di questo tipo di concezioni, ai fiumi e ai laghi è stato riconosciuto per legge lo status di personalità giuridica. C’è l’uso delle acque e delle culture secondo tradizionali metodi che conservano in sé il concetto oggi tanto ambito di sostenibilità. Eppure finora li abbiamo sacrificati troppo spesso a vantaggio di un’agricoltura commerciale che non pensa al domani.  È solo un flash di altri orizzonti possibili, che conferma che tutti i popoli hanno qualcosa da insegnare e dovrebbero avere voce in capitolo. Questa sarebbe una faccia bella della globalizzazione.

GC: I conflitti e le migrazioni in tutto il mondo si moltiplicano e scopriamo la fragilità anche in Occidente di diritti che avevamo dato per scontati, come quello di vivere in un ambiente salubre…

FS: Emerge una complessità da considerare con uno sguardo che non può che essere globale. I cambiamenti climatici stanno rendendo l’acqua più scarsa, più imprevedibile, più inquinata; incidono quindi sulla sua qualità, minacciando lo sviluppo sostenibile e la biodiversità. Il punto è che la crescente domanda richiede un aumento della necessità di trattamenti ad alta intensità energetica e alcune misure di mitigazione dei cambiamenti climatici, come l’uso esteso di biocarburanti, possono perfino aggravare la scarsità d’acqua. D’altra parte, l’adattamento agli effetti dei cambiamenti climatici sull’acqua può proteggere la salute, così come l’uso più efficiente dell’acqua può contribuire a ridurre i gas serra. Si capisce che si debba adottare la tecnologia giusta e che non si possa procedere random. Il Covid-19 ha sparpagliato le carte a tutti sotto diversi punti di vista, ma su un aspetto gli studiosi internazionali concordano: la stretta correlazione tra cambiamenti climatici, alterazioni dell’ecosistema e salto di infezioni dagli animali all’essere umano. Il Covid-19 è solo uno della catena di esempi possibili, dopo Hiv, Ebola, H5N1, H1N1, Sars, Mers.

GC: Parli di governance globale per salute e acqua ma non ti sembra che abbia  seriamente vacillato di recente lo stesso concetto di multilateralismo?

FS: E’ vero. Ha vacillato seriamente e ora si sta riformulando ma c’è anche il rischio che si recuperi un multilateralismo delle democrazie che esclude o mette ai margini  Paesi che invece ormai devono dire la loro perché hanno un peso notevole sotto tanti punti di vista.  La lotta ai cambiamenti climatici, nonostante la consapevolezza del legame profondo con le questioni della salute, ha subìto una battuta d’arresto in questi ultimi anni, travolta dall’isolazionismo degli Stati Uniti di Donald Trump, ma anche dalla crisi che attraversano le agenzie internazionali che devono “produrre” multilateralismo. Senza approccio concertato, una battaglia come questa non può essere vinta: lo sa bene l’Unione europea che se ne è fatta paladina, con una corsa in avanti in tema di emissioni nocive che resterà nei libri di storia. La crisi per gli organismi internazionali non è tanto di efficienza degli apparati, ma di legittimazione da parte dei leader mondiali e di credibilità minata dai venti di populismo e di sovranismo. L’aria con il nuovo presidente statunitense Joe Biden è molto cambiata: nel giorno stesso del suo giuramento, il 20 gennaio 2021, ha firmato carte utili a far rientrare gli Stati Uniti nell’Accordo di Parigi sul clima e in altri consessi internazionali. Inoltre, dopo una settimana dal suo insediamento, il secondo presidente cattolico, dopo Kennedy, ha annunciato la disponibilità degli Stati Uniti a ospitare il summit con i leader mondiali sui cambiamenti climatici in programma il 22 aprile 2021 in occasione della Giornata della Terra.

GC: In definitiva, in tema di ambiente è ripartita la collaborazione tra Stati Uniti e Unione europea ma ormai qualunque seria partita deve essere giocata a tre, Washington, Bruxelles e Pechino…

FS: Sembra che si stiano rimettendo insieme i pezzi del puzzle multilaterale, che si stava costruendo, in campo economico, con il G20, nato nel 1999 come versione allargata del gruppo degli otto o sette Paesi più industrializzati. Bisogna chiedersi quali dossier debbano trovarsi sul tavolo, al di là ovviamente di quello dell’emergenza pandemica scoppiata a inizio 2020; quello della gestione dei vaccini maturato a inizio 2021; quello delle conseguenze economiche a lungo termine che vanno a sommarsi alle altre fasi negative precedenti.

GC: Abbiamo  parlato di diritti ma non abbiamo parlato di sanzioni e di reati?

FS: Il punto è assicurare davvero incisività all’impegno della Corte penale internazionale in tema di delitti ambientali. Ricordiamo il mandato che ha ricevuto in questo campo nel 2016, ma anche i limiti con i quali può muoversi. Che sono davvero troppi. Come è inaccettabile il numero di coloro che nel mondo vivono senza poter accedere all’acqua potabile. Si tratta del padre di tutti i diritti, un requisito necessario per la sussistenza, per combattere le infezioni e difendere la salute. Nessuno può negare che far mancare l’acqua a esseri umani possa rappresentare un crimine contro l’umanità.

GC: Perché tanti nomi a firmare prefazioni e postfazioni del tuo libro?

FS: Sono convinta che abbia ragione il filosofo e massmediologo Derrick de Kerckhove quando dice che “il futuro della politica non sarà più nazionale, ma ovunque nasceranno due grandi partiti, uno favorevole alle regole di base per il rispetto dell’ambiente e della società e l’altro contrario”. Mi sono occupata di acqua perché è il primo, basilare ed emblematico elemento naturale da cui partire per riflettere sulle urgenze del pianeta, ma anche perché rappresenta un fattore chiave per la sussistenza, utile per ragionare di un nuovo patto sociale globale.  E per farlo ho coinvolto  oltre all’ambientalista Vandana Shiva, i rappresentanti dei fondamentali ambiti di discussione:  l’Ambasciatore Pasquale Ferrara rappresenta l’impegno di riflessione dell’internazionalista; Leonardo Becchetti il punto di vista dell’economista;  Stefano Ceccanti quello del costituzionalista,  Francesco Profumo “incarna” l’innovazione tecnologica. E non poteva mancare un poeta, Plinio Perilli, proprio perché di visione e di spessore umanistici abbiamo molto bisogno. C’è bisogno di sinergie! Vacillano alcuni punti fermi in tema di equilibri sociali, come il lavoro e il welfare, già colpiti da crisi economico-finanziarie alternate a liberismo selvaggio, concentrazioni di interessi. In parallelo, nella narrativa social e nelle più varie realtà sociali si moltiplicano preoccupanti recrudescenze di razzismi, fascismi, presunte supremazie. Dall’Europa arriva un messaggio forte da tradurre in azione. Lo ha lanciato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: dopo l’Europa del carbone e dell’acciaio, dopo l’Europa verde agricola, dopo quella seppur non completa della moneta e delle banche, ci vuole l’Europa della salute.

GC: In sostanza, non è più possibile il solo binario dell’ambientalismo, dobbiamo percorre percorsi sinergici…

FS: …non avrei immaginato ma ovviamente è stato un bellissimo regalo ricevere la lettera di Papa Francesco, protagonista con la Laudato Sì delle più efficaci provocazioni in tema di ambiente.  Ricordo che mai – in 30 anni da cronista a Bruxelles e a Strasburgo – mi era capitato di vedere monopolizzate le conversazioni nei corridoi della Commissione europea per settimane e settimane sulle parole di un Papa, come è accaduto in quel momento. E bisogna anche dire che interi brani del programma Green Deal dell’Ue, lanciato nel 2019 dal Consiglio europeo, con la sola clausola di non partecipazione della Polonia riprendono stralci della Enciclica di Francesco del 2015.

GC: La pandemia è stata come l’apertura del vaso di Pandora: ha messo in luce come la crisi che viviamo riguardi molteplici ambiti della vita sociale e molteplici dimensioni del vivere comune…

FS: È una crisi sanitaria ed economica, ma è anche una crisi istituzionale, delle democrazie, e culturale. Dobbiamo ripeterci che il termine crisi nell’etimologia conserva un potenziale di rinascita: viene dal greco krísis, che significa discernimento, scelta, decisione. Sono concetti che proiettano in avanti, che aprono a un impegno nuovo. Ma non c’è nulla di scontato. Piuttosto, molto da riprendere in mano.

GC: Nel tuo libro non ci sono solo denunce e drammi, ma anche arti, filosofie, religioni. Perché?

FS: Il senso della sete cerca di mettere in luce  i temi, le problematiche, i fili che attraversano le varie questioni più importanti,   ma anche di proporre alcuni flash del patrimonio di inventiva tecnologica e di idealità già messo in campo per trovare soluzioni, nell’ottica di contribuire a un dibattito comprensivo e propositivo che parli concretamente di cultura della cura. E poi, nella terza parte, abbiamo cercato di “risalire alle fonti”, di abbeverarci a quel bacino di spiritualità e sensibilità artistica che davvero può dare forza per una vera rivoluzione ecologica che non può cambiare solo lo stato di salute dell’aria, dell’acqua, della terra, ma deve modificare la relazione dell’essere umano con il contesto ambientale e con l’altro. Abbiamo bisogno di riscoprire anche il senso della sete di bacini culturali che danno senso e slancio etico.

GC: Ci fai alcuni esempi? Penso ad antichi testi che testimoniano che il Nilo era sacro per gli Egizi, fonte di vita, simbolo di prosperità…

FS: Esattamente. Per i saggi della Grecia antica, l’acqua e la terra si tengono insieme, come il cielo e l’aria.  L’acqua è un vapore condensato, un cielo coagulato, un’aria spessa, una terra fluida. Nell’età vedica dell’India, l’acqua rappresenta la manifestazione cosmica che racchiude due significati legati tra loro: da un lato, dà la vita materialmente, come Madre Natura; dall’altro, assume un significato più trascendente legato all’Essere. Nella mitologia armena, la figura di Anahid, dea della fertilità e della guarigione, è la custode delle acque e della saggezza! Per gli indigeni Mapuche del Cile, l’acqua del mare e le montagne della terra sono due grandi serpenti che lottano tra loro alla ricerca di un continuo equilibrio, che corrisponde al centro della loro spiritualità. Per gli Zuni del New Mexico, negli Stati Uniti, gli antenati risiedono in un villaggio situato nella profondità di un lago. Insomma, nel libro riporto tanti altri di questi esempi, oltre alla narrazione dei concetti di purificazione e rigenerazione per le tre religioni monoteistiche: ebraismo,   cristianesimo, islam. E’ tutto nutrimento per l’animo umano chiamato a un nuovo slancio etico.

http://fino-a-prova-contraria.blogautore.espresso.repubblica.it/2021/08/13/roma-il-senso-della-sete-l%e2%80%99acqua-tra-geopolitica-diritti-arte-e-spiritualita-un-colloquio-con-fausta-speranza/

A Il senso della sete la Menzione Speciale del Premio Letterario Demetra

Nell’ambito dell’Elba Book Festival, assegnata  a Il senso della sete la Menzione Speciale del Premio Letterario Demetra

La cerimonia si è svolta il 21 luglio 2021 a Rio d’Elba. A proclamare i vincitori – tra  38 opere candidate, proposte da 25 editori indipendenti – è stata la giuria, composta da Ermete Realacci, presidente Fondazione Symbola; Sabrina Giannini, giornalista e scrittrice; Ilaria Catastini, editrice; Duccio Bianchi, responsabile scientifico; Giorgio Rizzoni, direzione Elba Book. I giurati hanno spiegato di aver  premiato quelle che sono state ritenute le migliori pubblicazioni a tema ambientale di carattere saggistico e di inchiesta in lingua originale italiana da editori indipendenti nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2018 e il 15 maggio 2021.

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La recensione di Gianfranco Lizza su Eurocomunicazione

L’avventura vitale dell’acqua in un libro

di Gianfranco Lizza*

Quando un libro è scritto bene chi legge subisce una trasposizione psico-fisica nell’immaginario dell’autore. Vive i suoi stessi sentimenti, non è solo spettatore, approva o disapprova, si entusiasma, si incuriosisce cerca in sé stesso la soluzione dei problemi. Se non riesce a trovarla si affretta nella lettura abbarbicato alle ali del vento delle parole fino all’ultima pagina.

Il libro di Fausta Speranza risponde appieno a questa dinamica del pensiero. Ci si sente trasportati su un fiume che sgorga puro dalla roccia ma avvicinandosi lentamente agli insediamenti umani cambia colore, si imbruttisce, diventa velenoso, inquinato e trasportando di tutto manifesta chiaramente la sua irritazione per cotanta mancanza di rispetto. Finché stanco delle malevoli umane attenzioni si getta morente tra le braccia del mare che viste le sue condizioni ne farebbe volentieri a meno.

Approfondimento culturale sul valore dell’acqua

libroIl percorso suggerito da Fausta Speranza con il suo libro “Il senso della sete” (Infinito Edizioni) scorre proprio come un fiume attraversando vallipianure e tante città fino al mare. Ogni sito portuale rappresenta un approfondimento culturale sul valore dell’acqua denso di significati accompagnati dalle note della vita perché l’acqua è vita. È palpabile la delicatezza e il sentimento con cui l’autrice affronta ogni tema, nessuno escluso. La tematica viene divisa in tre parti che rappresentano tre spaccati della societàanticamoderna e postmoderna. Dalla civiltà dei fiumi, al tempo dell’idrogeno, dall’acqua in borsa alle guerre per l’oro blu, dalla crisi idrica ai delitti ambientali. Fino ai capitoli che risuonano di spiritualità, di misticismo e di arte. Ognuno vive il senso dell’acqua in modo diverso assolutamente soggettivo ed interpersonale.

Chi la interpreta e si disseta, chi prega e si purifica, chi la consuma e non si interessa d’altro ma tutti guardano il cielo e ringraziano Dio, almeno su questo siamo tutti d’accordo. I problemi vengono dopo il ringraziamento. Perché prescindendo dal fatto che la risorsa idrica non è distribuita in maniera uniforme sul Pianeta, perciò c’è chi nuota in un mare d’acqua e chi invece deve attingerla dal pozzo, i consumi e soprattutto gli sprechi sono centuplicati in quest’ultimo secolo. Dunque, scarseggia e scarseggerà sempre di più se continueremo a trattarla come una risorsa infinita. Oltretutto, il cambiamento climatico con lo scioglimento dei ghiacci e il conseguente innalzamento dei mari provocherà l’infiltrazione di acqua salata nelle falde acquifere proprio a cominciare dalle coste dove si registrano i maggiori insediamenti umani. Senza considerare l’effetto dell’inquinamento atmosferico e i danni provocati all’agricoltura dalle piogge acide.

Europa in prima linea

libroTutti i temi trattati dall’autrice evidenziano una lunga e meticolosa opera di ricerca attraverso sicuri riferimenti bibliografici e dati statistici che vengono interpretati, commentati e analizzati tra i mille artifici cui l’uomo sottopone la sua principale risorsa a continui stress che ne evidenziano il senso di irresponsabilità. Almeno finora. Tra l’altro, interessante, puntuale e doveroso l’excursus sulle peculiarità di un’Europa in prima linea sull’ambiente. L’auspicio è che rendendosene conto cessi questa mattanza che altrimenti renderà il futuro dell’umanità quanto mai oscuro. Anche in questo senso l’autrice non ha dimenticato nulla. Il suo è un inno alla ineguagliabile ricchezza e purezza dell’acqua, risorsa madre della nostra vita, e un giudizio severo a chi non la sa valorizzare o la spreca.

Giunto alla fine del libro, mentre riflettevo sui suoi contenuti, il mio sguardo si è soffermato sulla bottiglietta d’acqua posata sul tavolo. A differenza di sempre, mentre incominciavo a bere percepivo il sollievo e la benedizione per tanta ricchezza, e il richiamo a preservarla affinché anche i nostri discendenti possano goderne appieno anziché litigare per una goccia d’acqua.

Gianfranco Lizza

L’avventura vitale dell’acqua in un libro

*Già professore ordinario di Geografia politica ed economica nell’Università Sapienza di Roma e direttore del Master in Geopolitica e Sicurezza Globale, ha contribuito a diffondere la geopolitica in Italia e all’estero

su FRONTIERE

21 maggio 2021
di Galliano Maria Speri

L’acqua è all’origine della vita, ma anche delle civiltà e dello sviluppo economico e possiede un profondo valore simbolico, espresso da moltissime religioni. Il saccheggio indiscriminato delle risorse naturali, operato da un liberismo sfrenato che conosce soltanto la logica del profitto a qualunque costo, sta creando le precondizioni per uno scenario in cui siccità, inondazioni, depauperamento delle potenzialità agricole rischiano di scatenare drammatiche migrazioni di massa. Un nuovo saggio analizza a tutto campo le complesse tematiche legate a un aspetto imprescindibile delle nostre società.

Fausta Speranza è una giornalista che lavora a Radio Vaticana e a L’Osservatore Romano (è stata la prima donna nella storia del giornale a occuparsi di politica internazionale) oltre a collaborare con varie altre testate radiotelevisive e della carta stampata. L’autrice spiega che ha affrontato il tema dell’acqua “perché è il primo, basilare ed emblematico elemento naturale da cui partire per riflettere sulle urgenze del pianeta, ma anche perché rappresenta un fattore chiave per la sussistenza, utile per ragionare di un nuovo patto sociale globale”. Il suo è un interessante approccio multidisciplinare che parte dalla centralità dell’acqua nello sviluppo umano e ne analizza le implicazioni storiche, sociologiche, economiche, geopolitiche, ecologiche, religiose e artistiche. È chiaro che per l’autrice una problematica così profonda e articolata non può essere disgiunta dalla difesa dell’ambiente nel suo insieme e dalla questione dei diritti umani, con un’attenzione particolare al cruciale ruolo che le donne possono svolgere in questa battaglia.

Si è rotto l’equilibro uomo-natura

Il susseguirsi sempre più ravvicinato di epidemie e l’esplosione della pandemia di Covid-19, che sta avendo conseguenze comparabili a quelle di un conflitto di enormi dimensioni, mostrano che l’umanità si sta avvicinando a un punto di non ritorno, il che rende indispensabile prendere decisioni capaci di ripensare l’intero meccanismo economico mondiale. Secondo il Water Grabbing Observatory, nel 2030 il 47 per cento della popolazione mondiale vivrà in zone a elevato rischio idrico, e questo implica un elevatissimo stress sociale. Il 2020 è stato l’anno più caldo mai registrato a livello mondiale, dopo un decennio di temperature record a testimonianza del riscaldamento globale, come documentato dal Programma di osservazione della terra dell’Unione Europea. Con il surriscaldamento dei mari aumenta notevolmente la possibilità di tifoni e uragani, ma anche il pericolo di desertificazione che rischia di espellere dalla loro terre impoverite milioni di contadini.

L’International Food Policy Research Institute (Ifpri) prevede che, agli attuali tassi di crescita demografica e di consumo idrico, entro il 2025 il fabbisogno di acqua aumenterà di oltre il 50 per cento e gli agricoltori saranno i più colpiti, in particolare nei Paesi a basso reddito, dove i raccolti dipendono molto più direttamente da sistemi di irrigazione ad alto consumo d’acqua rispetto all’America Settentrionale o all’Europa. L’allarme riguarda soprattutto Medio Oriente e Nord Africa, ma anche l’India, che desta particolare preoccupazione per il numero elevatissimo della sua popolazione. Il saggio riporta che Paesi come “Qatar, Israele, Libano e Iran ogni anno prelevano in media più dell’80 per cento delle proprie risorse totali di acqua. Si traduce in un serissimo rischio di rimanerne a corto. Ci sono poi altri 44 Paesi, in cui vive circa un terzo della popolazione mondiale, che prelevano ogni anno il 40 per cento dell’acqua di cui dispongono. Per questi territori, che comprendono anche l’Italia, il rischio è meno elevato, ma comunque preoccupante”.

La gravità della situazione è poi esacerbata dall’agricoltura intensiva e dalla produzione di carne per i ricchi mercati del Nord del mondo che, insieme allo sfruttamento minerario indiscriminato, consumano enormi quantità d’acqua. Anche l’inquinamento delle falde acquifere causato dagli scarichi industriali ha un ruolo nel ridurre la disponibilità idrica. Ricordiamo che la popolazione mondiale ha a disposizione soltanto il 2 per cento dell’acqua, mentre il restante 98 per cento viene destinato a usi industriali, agricoli, forestali e minerari. Ma anche una nazione relativamente ricca d’acqua come l’Italia vede ridursi le sua capacità di approvvigionamento a causa di una rete di acquedotti fatiscenti che perde circa un terzo della propria portata, in uno spreco inaccettabile. Il saggio rilancia il forte appello lanciato da scienziati e geologi affinché il tema della fragilità idrogeologica diventi centrale nell’elaborazione della politica italiana.

Acque agitate nel Mare Nostrum

Secondo i dati riportati nel saggio, il Mediterraneo ha una velocità di riscaldamento che è del 20 per cento superiore rispetto alla media globale, e questo fa temere che entro pochi anni circa 250 milioni di persone si potranno trovare in una condizione di insicurezza idrica. Viene previsto un innalzamento delle acque di venti centimetri, che va interpretato non come acqua che sale e va a coprire il terreno, ma come acqua salata che sale e s’insinua nelle terre costiere. L’autrice riprende uno studio degli esperti dell’Unione per il Mediterraneo secondo il quale “non sono gli impatti diretti del caldo sulla fisiologia umana, compreso il coronavirus, né i danni alle infrastrutture a rappresentare il nodo del problema; il vero pericolo è che un clima reso instabile non è più prevedibile e, di conseguenza, tutta l’organizzazione economica e sociale umana non si regge più”.

A questo vanno ad aggiungersi le tensioni tra Atene e Ankara che, da mesi, si rinfacciano ingerenze e incursioni illegittime nel tratto di mare al largo di Cipro e Creta, un’area con ricchi giacimenti di gas. Quando il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha annunciato in parlamento che il governo sta lavorando a un disegno di legge che estenderà le acque territoriali della Grecia nel Mar Ionio da sei a dodici miglia nautiche, la Turchia ha avvertito che una mossa simile da parte della Grecia verso Est costituirebbe un casus belli. La disputa più grave tra i due Paesi riguarda l’isola di Cipro, divisa tra la Repubblica di Cipro, grecofona e riconosciuta a livello internazionale, e la Repubblica di Cipro Nord, sorta dopo l’invasione militare turca del 1974, e riconosciuta dalla sola Turchia. Nel 2019 l’Unione Europea ha imposto sanzioni alla Turchia per aver trivellato illegalmente nelle aree intorno a Cipro Nord.

Ecologismo radicale e movimento del politically correct

Purtroppo, c’è anche una maniera profondamente sbagliata nell’affrontare le questioni legate alla difesa della natura.

Oltre a essere un insigne zoologo, Ernst Haeckel (1834-1919) difendeva anche le teorie della superiorità delle razze del nord e credeva nell’eugenetica razzista.

 Un capitolo molto interessante va a toccare un serie di questioni e personaggi che hanno coniugato il loro amore verso l’ambiente naturale con concezioni aberranti. Lo zoologo e biologo Ernst Haeckel, grande divulgatore delle teorie di Darwin nei Paesi di lingua tedesca, coniò nel 1867 il termine “ecologia” come nuova disciplina scientifica dedicata a studiare le interazioni fra organismo e ambiente. Ma, oltre ai suoi innegabili meriti scientifici, Haeckel “credeva nella superiorità razziale nordica, era strenuamente contrario alla mescolanza delle razze ed era un entusiasta sostenitore dell’eugenetica razzista. In vecchiaia aderì alla società Thule, un’organizzazione segreta della destra radicale che ebbe un ruolo chiave nell’istituzione del movimento nazista”. È poi ben noto che sia Adolf Hitler che Heinrich Himmler “erano vegetariani rigorosi, interessati alle cure omeopatiche, fortemente contrari alla vivisezione e alla crudeltà sugli animali. In varie occasioni Hitler si occupò di fonti energetiche alternative a quelle fossili e queste tematiche hanno riscontro anche all’interno di atti normativi emanati dal regime”.

L’autrice sottolinea un concetto che si ritrova in molti scritti nazisti: la condanna di ogni tentativo umano di dominare la natura, che viene posta su un gradino più alto rispetto all’umanità, come se fosse una vera e propria divinità. Secondo questa concezione, gli esseri umani non sono che una trascurabile rotellina nell’enorme ingranaggio della vita, al pari di qualunque altro organismo. Questa filosofia torna a riaffacciarsi all’interno dell’ecologismo radicale moderno che, sotto influenze neo-romantiche e delle filosofie orientali, considera la specie umana come una delle innumerevoli forme di vita, allo stesso livello qualitativo di rettili e insetti. Una filiazione di questa filosofia è rappresentata dall’ideologia che, per brevità, può essere definita del “politically correct”. Questo movimento, cresciuto a dismisura negli ultimi cinquant’anni nei Paesi occidentali, professa un totale relativismo culturale e un libertarismo “biopolitico”, cioè l’idea dell’equivalenza tra desideri e diritti. Ne consegue che “l’umanità non gode di uno statuto gerarchicamente prevalente nella natura e nell’ambiente, e anzi, al contrario, la civilizzazione rappresenta in primo luogo una colpa e una minaccia per l’equilibrio ambientale, da espiare attraverso la riduzione dell’impronta umana sul pianeta”.

      
Tomás De Torquemada (1420-1498) notissimo inquisitore spagnolo, viene spesso presentato come la summa del fanatismo e della malvagità umana. Ma i tribunali dell’Inquisizione, a differenza di quelli mediatici dei fanatici ambientali, prevedevano il contraddittorio e i diritti della difesa.

La logica conseguenza di queste concezioni è che l’animalismo propugnato da questo movimento, più che il rispetto per gli esseri viventi, tende a cancellare la superiorità spirituale dell’essere umano. Fausta Speranza pone in evidenza che sostenendo l’identificazione totale tra identità e autodeterminazione avviene che “ogni individuo o gruppo dovrebbe essere in grado di definire la propria natura indipendentemente da condizionamenti storici, culturali e persino biologici, come nel caso dell’identità ‘di genere’, presentata come un’opzione da scegliere”. Questa vera e propria ideologia rifiuta la dialettica del pluralismo e presenta qualunque posizione “conservatrice, tradizionalista o di continuità con l’eredità culturale euro-occidentale” come un residuo del passato da eliminare. L’intolleranza e la tendenza alla censura è uno dei tratti salienti di questa ideologia. “Emerge una visione del mondo -continua l’autrice- in cui tutto dipende dalla propria scelta di definizione. Eppure, se non si accettano per dogma alcune verità del politicamente corretto, senza alcuna attenuante si viene tacciati di oscurantismo. L’arbitrio e il senso critico dovrebbero funzionare per demolire tutto e tutti ma non per sollevare dubbi e critiche sul politically correct”.

L’ultima sezione del saggio è dedicata a trattare in termini generali il rapporto dell’acqua con le religioni, la letteratura, le arti visive, la musica, l’architettura, il cinema. Viene anche riportato uno studio recente che mette in relazione una cattiva qualità e durata del sonno con uno stato di deidratazione. Secondo il prof. Umberto Solimene “bere poca acqua può farci perdere due ore di sonno a notte”. Nel caso Fausta Speranza avesse intenzione di produrre una seconda edizione, mi permetto di suggerire che nella sezione riguardante il rapporto tra acqua e letteratura venga inserito anche The Waste Land di T.S. Eliot, il poemetto che ha dato inizio al modernismo nella poesia anglo-americana, letteralmente intriso di acqua o anelante all’acqua che manca, nel deserto petroso della vita. Per quanto riguarda le arti visive, aggiungerei alla ricca galleria di artisti e opere brillantemente elencati la “Fontana della vita” che rappresenta il centro concettuale dello strabiliante trittico del Giardino delle delizie di Hieronimus Bosch, geniale e fantasiosissimo pittore vissuto nelle Fiandre nella seconda metà del Quattrocento.

da FRONTIERE RIVISTA DI GEOCULTURA DEL 21 maggio 2021

 

Presentazione del libro a Largo Venue

Acqua e salute globale:dibattito il 19/5 a Roma su “Il senso della sete”,  in vista del G20 Global Health

Sempre più urgenti le sfide al centro del Vertice mondiale sulla salute a Roma il 21 maggio, su iniziativa dell’Italia, presidente di turno del G20 e della Commissione europea. Ne discutono

Giampiero Gramaglia e Paolo Guerrieri

all’incontro di presentazione del libro

Il senso della sete. L’acqua tra geopolitica, diritti, arte e spiritualità

di Fausta Speranza

modera Marco Massoni

19 maggio Largo Venue

(all’aperto, presente l’autrice)

Via Biordo Michelotti 2, Roma

Il legame profondo tra l’acqua e il diritto alla salute è una tra le questioni sociali e geopolitiche più urgenti inerenti alla più essenziale delle risorse.In piena pandemia, negli Stati Uniti l’acqua è stata quotata in Borsa e in Europa si è alzatal’allerta sulle microplastiche e altri inquinanti negli Oceani, mentre oltre una persona su tre – circa 2,2 miliardi– non ha accesso a fonti d’acqua sicure.

L’acqua è l’emblema di quell’equilibrio naturale che gli esseri umani non possono continuare ad alterare senza annientare se stessi.

Il libro:
Titolo: Il senso della sete. L’acqua tra geopolitica, diritti, arte e spiritualità
Autrice: Fausta Speranza
(Infinito Edizioni € 17,00 – pag. 256)
L’Autrice
Fausta Speranza
è giornalista inviata dei media vaticani:dal 1992 al Radiogiornale internazionale di Radio Vaticana e dal 2016 prima donna a occuparsi di politica internazionale a L’Osservatore Romano. Collabora o ha collaborato con Famiglia cristiana, Limes,RadioRai (rubrica Inviato speciale),ilCorriere dellaSera (in prima pagina),Il Riformista. Vincitrice di numerosi premi (sezioni Radio, Tv e Libri), ha pubblicato con Infinito edizioni Messico in bilico (2018), con cui ha vinto il Premio Giustolisi al Giornalismo d’inchiesta 2018, e Fortezza Libano (2020).E’ coautrice di diversi volumi, tra cuiAl mio paese. Sette vizi. Una sola Italia (2012), Europa, il futuro di una tradizione (2019) e testi dedicati ai temi della comunicazione.

Per informazioni:
Infinito edizioni: 059/573079 – 331/2182322

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