Una pagina nuova sul bilancio Ue: la presa di posizione di Draghi e Macron

Investimenti comuni, regole più adatte e coordinamento non solo durante le crisi: i leader di Italia e Francia aprono il dibattito per una revisione dei meccanismi di bilancio nell’Unione europea. Lo fanno con un editoriale firmato insieme sul Financial Times alla vigilia dell’avvio del semestre di presidenza francese dell’Ue. L’obiettivo è puntare a una riduzione dei livelli di indebitamento dei singoli Paesi senza mettere a repentaglio una ripresa che resta in grande parte da consolidare

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Le regole di bilancio dell’Ue devono essere riformate: ad affermarlo sono il presidente del Consiglio dei ministri italiano, Mario Draghi, e il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, in un editoriale che firmano insieme sul Financial Times nel quale insistono sulla necessità di “una strategia di crescita dell’Ue per il prossimo decennio”. Le criticità sono chiaramente espresse: “Le regole sono troppo opache ed eccessivamente complesse: hanno limitato il campo d’azione dei Governi durante le crisi e sovraccaricato di responsabilità la politica monetaria”.

“La Commissione Ue – si legge in un passaggio dell’editoriale – ha lanciato una consultazione sul futuro delle regole di bilancio dell’Ue e sono state avanzate proposte interessanti”. Tra queste, i due leader chiedono “più spazio di manovra e margini di spesa sufficienti” per prepararsi al futuro e “per garantire piena sovranità”. Il debito per finanziare tali investimenti, che certamente gioveranno alle generazioni future e alla crescita di lungo termine, dovrà essere favorito dalle regole di bilancio, dato che questo tipo di spesa pubblica contribuisce alla sostenibilità di lungo termine del debito”.

Spesa sociale, debito e tasse: un equilibrio difficile e cruciale

Sostenere anche con il debito gli investimenti pubblici e la crescita senza aumentare le tasse e tagliare la spesa sociale, ma portando avanti riforme strutturali che consentano di ridurre la spesa. Questa, in sintesi, la ricetta proposta. Tema centrale dunque è quello del debito pubblico degli Stati, fortemente cresciuto in tempi di Covid. “Non c’è dubbio che dobbiamo abbassare i nostri livelli di indebitamento. Ma non possiamo aspettarci di farlo attraverso tasse più alte o tagli insostenibili alla spesa sociale, né possiamo soffocare la crescita attraverso aggiustamenti fiscali non praticabili”, scrivono Draghi e Macron nella lettera. “La nostra strategia è quella di mantenere sotto controllo la spesa pubblica ricorrente attraverso riforme strutturali ragionevoli. Così come non abbiamo permesso che le regole ostacolassero la nostra risposta alla pandemia, allo stesso modo non dovranno impedirci di intraprendere tutti gli investimenti necessari”.

L’esperienza del programma Next generation Eu

“Il programma Next Generation EU – osservano ancora i due leader – è stato un successo per i meccanismi che ha introdotto per la valutazione della qualità della spesa pubblica e per le sue modalità di finanziamento”. La convinzione dunque è che il programma offra  “un utile modello per il futuro”. In futuro – sottolineano Draghi e Macron – regole di questo tipo non dovranno impedire agli Stati di fare tutti gli investimenti necessari” in settori quali ricerca, infrastrutture, digitalizzazione e difesa.

Il dibattito è aperto possibilmente senza ideologie

Fonti dell’Eliseo chiariscono che “Draghi e Macron non hanno lavorato di nascosto” alla lettera, ma “hanno consultato diversi leader, in particolare il cancelliere tedesco Olaf Scholz”. Si è trattato – si spiega – soltanto di lanciare un dibattito al quale contribuiranno nelle prossime settimane di presidenza francese dell’Unione europea altri Stati membri”. Il testo di Draghi e Macron è stato condiviso con altri leader Ue ma a nessun altro è stato proposto di aggiungere la propria firma.

La presidenza di turno francese dell’Ue che inizierà il 1° gennaio ha tra le sue priorità proprio la riforma del cosiddetto Patto di stabilità che è stato eccezionalmente sospeso allo scoppio della pandemia. La parola passa ora agli altri partner europei per sviluppare una “discussione approfondita” – che Draghi e Macron auspicano non sia “offuscata da ideologie” – e arrivare ad un accordo sulla riforma della governance entro la fine del 2022. Si attende la presa di posizione degli altri leader europei, a cominciare dal cancelliere tedesco Scholz e dal primo ministro olandese Mark Rutte, finora alla guida del cosiddetto gruppo dei ‘frugali’ ma più aperto a modifiche al Patto per sostenere gli investimenti da quando è a capo di una nuova coalizione di governo.

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Clima e diseguaglianze: il “seme” di speranza a Svalbard

Speranza, creatività, ingiustizie: parole tornate in vari interventi alla cerimonia per la consegna del testo di Papa Francesco che arriverà nel cosiddetto bunker dei semi, in Norvegia. Una piccola edizione speciale, che contiene alcune meditazioni fatte nel momento più nero della pandemia, consegnata a Michael Haddad che lo porterà camminando grazie ad un esoscheletro. Il messaggio di fede e determinazione nelle dichiarazioni di monsignor Ruiz e dell’ambasciatore Sebastiani

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Perché hai paura, non hai fede?: è questo il titolo del libro, con le meditazioni di Papa Francesco offerte nei mesi più angoscianti della pandemia da Covid-19, che arriverà – con una spedizione a marzo prossimo – allo Svalbard Global Seed Vault, il deposito globale di semi che si trova in Norvegia e che ha la funzione di fornire una rete di sicurezza contro la perdita botanica accidentale del patrimonio genetico tradizionale delle sementi. Il libro, in una edizione speciale miniaturizzata realizzata dal Dicastero per la comunicazione,  simboleggia il seme della speranza per un’umanità che scommette sulla sopravvivenza di fronte alle sfide climatiche e all’infezione pandemica.

A recapitarlo un ambasciatore d’eccezione

Il testo sarà portato a destinazione da Michael Haddad, libanese, disabile e atleta di professione, che è diventato ambasciatore di buona volontà dell’Onu per le questioni climatiche. Haddad è stato scelto per la sua sensibilità riguardo le sfide ambientali e soprattutto per la sua fede e la sua determinazione. Camminerà per un lungo tratto in condizioni disagiate per la sua disabilità motoria, grazie ad un esoscheletro, e in condizioni aggravate dalle basse temperature e dunque con particolari presidi e assistenza medico-scientifica. “Non è solo un’avventura – ci  spiega  – ma anche un esperimento scientifico”. Haddad ricorda l’emozione provata ieri quando è stato ricevuto da Papa Francesco in un momento che definisce indimenticabile. Parla di scienza e fiducia, di spiritualità e fede, ma soprattutto del valore della speranza. Anche il Segretario generale dell’Onu a Glasgow – ribadisce Hadadd – ha dovuto ammettere che siamo già a un punto di non ritorno ma – aggiunge l’atleta ambasciatore di buona volontà – abbiamo il dovere di abbracciare quella speranza che al di là di tutto ci muove a cambiare rotta. Serve – sottolinea – la scienza ma anche la fede, che ci fa sentire che qualcosa cambierà.

Il piccolo libro è stato consegnato nelle mani di Haddad questa mattina, nel corso di una cerimonia nella sede dell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, dal segretario del Dicastero per la comunicazione, monsignor Lucio Adriàn Ruiz, insieme con Michele Candotti del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite UNDP, e dall’Ambasciatore Pietro Sebastiani. Nelle riflessioni di Sebastiani, emergono l’orizzonte di nuovi rischi e sfide ma anche la questione urgente da sempre delle crescenti diseguaglianze sociali:

Sebastiani innanzitutto definisce lo Svalbard Global Seed Vault una cassaforte dell’umanità, spiegando che ogni Paese vi affida ciò che ha di più caro. Il clima pone interrogativi inquietanti all’umanità e ai suoi sistemi naturali che – spiega l’ambasciatore – non si declinano solo in termini di pericoli di inquinamento o annientamento, ma anche in termini di fragilità degli stessi sistemi sociali, compresi quelli democratici.

Il dramma delle diseguaglianze

Forte l’appello di Sebastiani a considerare l’urgenza di rivedere le profondissime discrepanze sociali che minano alla base gli interventi stessi perché compromettono l’unità di azioni. Se i problemi, come ad esempio quello del surriscaldamento climatico, sono gli stessi sul pianeta per tutti i popoli, non sono uguali gli effetti da considerare né le conseguenze di quella che invochiamo come transizione ecologica. Da qui il richiamo di Sebastiani a guardare ai più deboli, i più poveri o i più esposti alle crisi,  gli invisibili, perchè “o ci salveremo tutti o nessuno si salverà”. Il messaggio da recepire è molto chiaro: “Salvare il pianeta costruendo la giustizia”. Ma il punto è – sottolinea – rendersi conto di come le società che si vanno affermando siano sempre più incuranti di alcuni valori come la solidarietà e al contrario pregne della “cultura dello scarto”, come denuncia Papa Francesco.

La “banca dei semi”

Il centro è localizzato vicino alla cittadina di Longyearbye, nell’isola norvegese di Spitsbergen, nel remoto arcipelago artico delle isole Svalbard a circa 1200 km dal Polo Nord. Si compone di tre sale, di 27 metri di lunghezza, 10 di larghezza e 6 di altezza con  porte di acciaio di notevole spessore. E’ stato inaugurato nel 2008, costruito in modo da resistere ad una eventuale guerra nucleare o ad un incidente aereo.  Un consiglio consultivo internazionale è stato istituito per fornire indicazioni e consigli.

L’eccezionale “seme” di speranza

Il libro è composto da varie meditazioni di Papa a partire da quella in occasione di quel momento straordinario di preghiera che Francesco ha voluto, il 27 marzo 2020, in Piazza San Pietro, in uno dei periodi più drammatici e preoccupanti della pandemia. Quel venerdì pomeriggio il Papa ha chiesto al mondo di fermarsi, di riunirsi in preghiera per cercare, tutti insieme, nella parola del Signore, il significato di ciò che stava accadendo e per implorare il soccorso. Il titolo, Perché hai paura, non hai fede?, riassume il messaggio potente di speranza che il Papa ha consegnato al mondo, come sottolinea monsignor Lucio Adriàn Ruiz, segretario del Dicastero per la Comunicazione:

Monsignor Ruiz illustra, richiamando anche alcune parole di Papa Francesco, quella che sembra emergere come una corsa sconsiderata dell’umanità, incapace di reagire alla fretta o all’incuria. Parla della crisi sopraggiunta con la pandemia ricordando l’invito alla riflessione prezioso da parte di Francesco che, in quei drammatici giorni di paura, avvertiva il mondo: quando c’è una pesante crisi può accadere che si perda l’occasione di imparare da quella crisi. Sarebbe qualcosa di peggiore perfino della crisi stessa. Dunque, il richiamo estremamente significativo a “fare del tempo di prova un tempo di scelta” e l’incoraggiamento alla creatività e alla fratellanza, preziose alleate della fede “capace di assicurare solidità e sostegno alla speranza”.

Alla cerimonia hanno partecipato tra gli altri Karim Abdallah, Ind Communications Group, che ha speso parole sul ruolo dei media che troppo spesso “spettacolarizzano le sfide, drammatizzando e senza aprire orizzonti possibili di speranza”; Luis Liberman dell’Istituto Internazionale per il Dialogo e la Cultura dell’Incontro, che ha ricordato come tematiche come quella dell’acqua sono emblematiche per comprendere la gravità dei fenomeni in atto, distruttivi per il pianeta ma anche esemplari perchè possibili terreni di dialogo e di incontro tra culture; Daniel G. Groody, dell’Università Notre Dame, che ha ribadito come la prima di tutte le soluzioni possibile per l’umanità è “essere insieme”.

Intervista originale in inglese con Michael Haddad: 

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-12/papa-pandemia-libro-dicastero-comunicazione-ambasciatore-haddad.html

Mediterraneo crocevia del mondo

Un’area centro culturale ed economico e non solo frontiera: in questi termini si parla di Mare Nostrum alla conferenza Med Dialogues promossa a Roma. Nel suo messaggio ai partecipanti, il Papa chiede “risposte nuove e condivise”. Per le migrazioni si deve ragionare in termini non emergenziali, ma cercando soluzioni sistemiche, sottolinea la docente di Politica del Mediterraneo, Stefania Panebianco, parlando dei corridoi umanitari

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Mediterraneo luogo di frontiera e di incontro: così ne parla il Papa  nel messaggio alla VII Conferenza MED Dialogues, promossa in questi giorni dal ministero degli Esteri italiano e dall’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (2-4 dicembre a Roma). Dalla crisi climatica a quella pandemica, tutto ci ricorda – dice Francesco – che Stati e Continenti “non possono andare avanti ignorandosi l’un l’altro”. In particolare in tema di Mediterraneo, le migrazioni sono tra le importanti sfide da affrontare.

Per capire quale siano l’approccio e le modalità migliori per ragionare a proposito dell’area mediterranea abbiamo intervistato Stefania Panebianco, docente di Politica del Mediterraneo all’Università di Catania:

La professoressa Panebianco ragiona dell’area mediterranea, di cui sottolinea l’importanza geopolitica centrale, parlando innanzitutto della urgente questione delle migrazioni. Parla della soluzione politica dei corridoi umanitari spiegando che si tratta di una soluzione sistemica per un problema sistemico. Non si può più considerare la questione migratoria dal punto di vista emergenziale. Servono – sottolinea – soluzioni sistemiche a problematiche di tipo sistemico.

Risposte nuove 

Panebianco sottolinea l’importanza dell’invito del Papa – come si legge nel messaggio per la Conferenza Med Dialogues – a “ripensare l’approccio tradizionale all’area del Mediterraneo e cercare risposte nuove e condivise alle importanti sfide che essa pone”. Per poi ricordare che già anni fa l’Unione europea aveva tentato di lanciare, con la Conferenza EuroMed di Barcellona nel 1995, quello che resta valido come approccio migliore: quello del dialogo. Ma la studiosa specifica che il dialogo deve avere diverse caratteristiche: innanzitutto quella di più livelli, cioè si deve articolare in parallelo su diversi piani, da quello delle rappresentanze istituzionali a quello delle realtà della società civile. Ricorda che in passato è stata proprio questa l’idea lanciata, ma spiega che si trattava di molti meno Paesi coinvolti.

Oggi – mette in luce la professoressa Panebianco – si parla  di Mediterraneo allargato, cioè di una concezione che considera coinvolti sempre più Paesi intorno al cosiddetto Mare Nostrum. Sottolinea che anche alla Conferenza in corso a Roma se ne parla  in questi termini e ribadisce che serve ad allargare anche le necessarie potenzialità di condivisione. Non solo: Panebianco suggerisce di considerare “allargata” anche la stessa idea di sicurezza: c’è quella umana, legata alla questione delle migrazioni, ma c’è anche la sicurezza alimentare, climatica, ambientale etc. Tutto è interconnesso, avverte. E questa interconnessione – spiega – richiama anche al concetto di multilateralismo. Ribadisce che si tratta di concetti in realtà non precisamente nuovi, ma da rilanciare.

Nei lavori di Med Dialogues

Il presidente del Consiglio dei ministri italiano Mario Draghi, intervenendo oggi alla Conferenza Med Dialogues, ha sottolineato tra l’altro che “deve esserci una visione condivisa per il Mediterraneo. Non come confine meridionale dell’Europa, ma come centro culturale ed economico”. Draghi ha aggiunto che l’Italia sostiene con convinzione la nuova Agenda per il Mediterraneo dell’Unione Europea. I considerevoli impegni finanziari nella regione devono stimolare una ripresa equa e sostenibile. Le transizioni in corso – prime fra tutte quella digitale e quella ambientale – creano lo spazio per un percorso di stabilità e prosperità. Alla base di questi obiettivi – ha ribadito – deve esserci una visione condivisa per il Mediterraneo.

Il Mediterraneo centro culturale ed economico

Draghi ha chiarito l’approccio di fondo da non dimenticare: “Il Mediterraneo non è soltanto un mare o, come si diceva un tempo, un’espressione geografica. Oggi, come in passato, è un insieme di legami, sociali, economici, culturali. Grazie a mercanti e marinai, artisti e viaggiatori che, soprattutto nelle città portuali, hanno portato nuove conoscenze e preservato antiche usanze”, ha aggiunto. Si tratta – ha sottolineato – di idee e identità sopravvissute anche alle guerre e alle divisioni politiche.

Crocevia del mondo

Nelle parole del capo del governo italiano c’è anche un esempio concreto: “Pensate a quanto accaduto lo scorso marzo, quando la nave portacontainer Ever Given ha ostruito il Canale di Suez”, ha detto aggiungendo: “In sei giorni, il blocco ha fatto quasi raddoppiare le tariffe globali di spedizione per i prodotti petroliferi. La chiusura di un accesso da e per il Mediterraneo ha avuto conseguenze ovunque”.

Dal suo canto, il  ministro degli Esteri Luigi Di Maio, nell’intervento di apertura dei Rome Med Dialogues 2021, ha sottolineato come l’Italia, promotrice dell’iniziativa che ospita i rappresentanti di 120 Paesi e 50 ministri, abbia “l’ambizione di incoraggiare la transizione da uno schema di sicurezza regionale ‘a somma zero’ a un nuovo paradigma, un nuovo sistema fondato su dialogo, disponibilità al compromesso e fiducia reciproca”. Si tratta – ha spiegato – di “favorire la definizione di ordini di sicurezza regionali, inclusivi e multilaterali, ad esempio nel Golfo e nel Mediterraneo Orientale”.

Sostenere le transizioni: se ne parla a Med Dialogues

Non solo zona di crisi: l’area che si affaccia sul Mare Nostrum può essere una sorta di piattaforma materiale e ideale di connessione tra Europa, Africa e Asia. E’ la lettura che emerge a Mediterranean Dialogues, la conferenza annuale promossa dal ministero degli Esteri italiano e l’Ispi. Interessanti fasi di transizione si sono aperte in diversi Paesi tra forti speranze e dinamiche ostative, come sottolinea Valeria Talbot, esperta dell’Ispi

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Dal Sahel ai Balcani, dal Nord Africa al Golfo Persico: è ampio l’orizzonte se si considera l’area del cosiddetto Mare Nostrum allargato, come si fa nell’ambito di Mediterranean Dialogues. Si tratta dell’iniziativa promossa a Roma dal 2 al 4 dicembre dal ministero degli Esteri italiano e della Cooperazione Internazionale e dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi). Raccoglie  rappresentanti di 120 Paesi, tra cui 50 ministri e si snoda in 50 sessioni tematiche di dibattito. Dell’orizzonte di dibattito abbiamo parlato con Valeria Talbot esperta dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi):

Talbot fa riferimento subito alla specificità dell’edizione di quest’anno che si intitola Leveraging Transitions, nell’ottica di far leva sulle differenti transizioni che si stanno attraversando nell’area sul piano politico, sociale, economico, energetico e digitale. Si pensi alla transizione verde e a come essa accresca la centralità del Mediterraneo per la sicurezza energetica; o alla transizione digitale, catalizzatore di modernizzazione, integrazione e competitività su entrambe le sponde. Talbot ricorda che governare le transizioni in un mondo interdipendente richiede uno sforzo collettivo e un rafforzamento della cooperazione. Il Mediterraneo è storicamente uno spazio di dialogo e scambio. A margine dei Med Dialogues è organizzato un forum dedicato ai giovani, alla capacità di innovazione e di crescita.

Un’Agenda positiva

Talbot sottolinea che si intende promuovere una “Agenda positiva”, che guardi cioè al Mediterraneo non solo come un epicentro di crisi, ma come una sorta di piattaforma materiale e ideale di connessione tra Europa, Africa e Asia, unite in un unico macro-continente. Sono gli stessi temi al centro della “Nuova Agenda per il Mediterraneo” dell’Unione Europea. La Conferenza, dedicata a un’area di straordinaria rilevanza geopolitica, rappresenta – ricorda Talbot – il momento riassuntivo di un percorso di riflessione che dura tutto l’anno. Si tratta di affrontare le principali sfide che la regione fronteggia, nella consapevolezza che la complessità delle dinamiche in corso e l’elevato grado di reciproca interconnessione richiedono uno sforzo continuo di approfondimento e dialogo. Talbot cita alcuni contatti e accordi recenti che testimoniano nuove aperture di dialogo tra alcuni attori regionali.

Dinamiche di contrasto

Talbot riconosce che non mancano dinamiche in atto che remano contro gli sforzi di dialogo e cita le rivalità ideologiche, la competizione per il controllo delle risorse e l’emergere di nuove crisi che si sommano a quelle da tempo irrisolte.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-12/mediterraneo-ispi-ministero-esteri-conferenza-dialogo.html

Magister in cooperazione, il riconoscimento all’ambasciatore Sebastiani

Alla presenza del segretario di Stato vaticano, la Pontificia Università Lateranense ha proclamato questa mattina Pietro Sebastiani, ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, “Magister in Cooperazione Internazionale”. In diplomazia serve umiltà, afferma l’ambasciatore, parlando di un contesto internazionale “indebolito e sfrangiato”

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Nell’Aula Magna della Pontificia Università Lateranense si è svolta questa mattina la cerimonia del conferimento del titolo di “Magister in cooperazione internazionale” all’ambasciatore dell’Italia presso la Santa Sede Pietro Sebastiani, che è stato direttore generale della Cooperazione al Ministero degli Esteri italiano.

L’ars diplomatica nell’immagine del cardinale Parolin

La cerimonia è avvenuta alla presenza del cardinale Piero Parolin, segretario di Stato vaticano, che ha ricordato, tra l’altro, come si sia soliti definire l’attività diplomatica “un’arte e non una scienza” spiegando che non può essere che un processo in fieri – ha detto – dettato da professionalità e umanità. E il segretario di Stato ha offerto un esempio preciso: come un dipinto – ha detto – sul quale si possono aggiungere dettagli o ritocchi. Con una raccomandazione: comprendere nell’attività diplomatica quelle caratteristiche che, resistendo a tentazioni di rapporti troppo fluidi e diretti, possano rappresentare una cornice idonea a servire l’obiettivo del bene comune. Distinguere dunque tra mera formalità e un cerimoniale discreto e utile.

Il ruolo dell’umiltà in “un contesto indebolito e sfrangiato”

Sull’importanza dell’umiltà nell’impegno diplomatico si sofferma l’ambasciatore Pietro Sebastiani:

L’ambasciatore spiega quanto sia importante un atteggiamento umile per la costruzione di quel tessuto di relazioni e di dialogo che serve per arrivare a un qualche superamento delle divergenze o a qualunque tipo di accordo. Diversamente – sottolinea – diventa molto difficile il dialogo. E l’ambasciatore tra l’altro si sofferma sul momento attuale per mettere in luce la necessità di restaurare o rinnovare “l’architettura” dell’ordine internazionale, che si basa sostanzialmente su quella voluta dopo la Seconda guerra mondiale per assicurare la pace mentre il mondo è cambiato. Serve – dice – un nuovo sistema di regole, un nuovo patto internazionale per scongiurare le logiche di mera contrapposizione che nella storia dell’uomo hanno portato ai conflitti. Parla di nuove sfide e dell’importanza di comprendere che siamo tutti sullo stesso pianeta, con tante sfide in termini di risorse, diseguaglianze da affrontare. Cita la questione dei cambiamenti climatici auspicando un’ecologia umana e non solo ambientale.

Dall’impegno attivo alla formazione

Ricordando qualcosa dell’illustre curriculum dell’ambasciatore Sebastiani e l’approssimarsi della conclusione del mandato presso la Santa Sede, il rettore magnifico della Pontificia Università Lateranense Vincenzo Buonomo, ha sottolineato l’intenzione dell’ateneo di far si che la sua esperienza sia messa a frutto in termini di formazione:

Il rettore Buonomo conferma di voler chiedere all’ambasciatore Sebastiani di mettere a servizio degli studenti dell’ateneo e in particolare del master specifico in cooperazione internazionale la sua profonda esperienza. Al passato si guarda – spiega – con l’impegno ad aprire prospettive di futuro. E’ proprio questo – aggiunge – il mandato dell’Università che prepara le future generazioni.  Sebastiani è nato a Capannori (Lucca) nel 1957, entra in diplomazia nel 1984. Ha prestato servizio a Mosca, New York, Parigi e Bruxelles. E’ stato Rappresentante Permanente d’Italia presso le Organizzazioni delle Nazioni Unite in Italia e Ambasciatore d’Italia in Spagna tra il 2013 e il 2016. Ha fatto parte del Gabinetto dei Ministri degli Esteri Andreatta, Elia, Martino, Agnelli e Dini negli anni 1993-96. E’ stato Consigliere diplomatico del Presidente della Camera dei deputati nel corso della XIV legislatura e dal 2005 al 2008 Consigliere diplomatico del Presidente dell’Unione Inter Parlamentare a Ginevra.

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2021-11/cooperazione-internazionale-ambasciatore-sebastiani-lateranense.html

Il futuro dell’Afghanistan e le promesse del governo all’Ue

I talebani si sono “impegnati” per un’amnistia generale per gli afghani che hanno lavorato per due decenni dalla parte delle forze occidentali, fino al ritiro degli Stati Uniti ad agosto. Lo riferisce il servizio diplomatico dell’Ue. L’incontro non implica il riconoscimento del governo provvisorio, ma fa parte dell’impegno operativo dei Paesi europei, spiega lo studioso di questioni strategiche Pietro Batacchi

Fausta Speranza – Città del Vaticano

I talebani hanno chiesto aiuto all’Unione europea per garantire il funzionamento degli aeroporti in Afghanistan. A renderlo noto è il Servizio di azione esterna della Ue (Eeas-Seae) in una nota, a conclusione dei due giorni di colloqui avvenuti nel fine settimana a Doha. L’appuntamento rientra nei tentativi dei fondamentalisti di migliorare le loro relazioni con la comunità internazionale e ottenere la revoca delle sanzioni economiche.

L’impegno da parte dell’esecutivo di Kabul

“Nell’incontro, la delegazione afghana ha confermato il proprio impegno a sostenere e rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali, compresi i diritti delle donne, dei bambini e delle persone appartenenti a minoranze, nonché la libertà di parola e dei media, in linea con i principi islamici”, aggiunge la nota. La delegazione dell’Ue, per conto suo, ha “accolto con favore l’intenzione della delegazione afghana di garantire la parità di accesso all’istruzione per ragazze e ragazzi a tutti i livelli e il diritto delle donne a lavorare in diversi settori e a contribuire all’economia e allo sviluppo dell’Afghanistan”. Della questione umanitaria ma anche del significato strategico dell’aeroporto abbiamo parlato con Piero Batacchi, Direttore della Rivista Italiana Difesa:

Batacchi ribadisce che le due parti hanno sottolineato l’importanza fondamentale di mantenere aperti gli aeroporti afghani e che la delegazione afghana ha richiesto assistenza nel mantenimento delle operazioni aeroportuali. È in questo contesto – conferma citando fonti Ue – che i talebani si sono anche impegnati a rispettare la promessa di “amnistia generale” per i connazionali che hanno lavorato con gli occidentali. E dunque Batacchi si sofferma sull’importanza che un aeroporto ha in particolare per un Paese come l’Afghanistan, che non ha uno sbocco al mare. Cita l’impegno dei talebani a garantire e facilitare il passaggio in sicurezza di cittadini stranieri e afghani che desiderano lasciare il Paese, ricordando che la questione umanitaria ha sempre priorità per l’Ue.

Non un riconoscimento del governo

Batacchi chiarisce che l’incontro non implica il riconoscimento del governo provvisorio, ma fa parte dell’impegno operativo dei Paesi europei, sottolineando che è la stessa nota del Servizio di azione esterna dell’Ue a ricordarlo. L’aeroporto può anche essere il primo dossier da cui partire per una strategia precisa, quella di non abbandonare completamente il destino dell’Afghanistan nelle mani di un governo provvisorio, di cui non si sa bene l’evoluzione, perchè ha chiarito l’intenzione di non aprire ad altre forze del Paese oltre ai rappresentanti dei talebani.

La voce dei talebani

Secondo la versione del ministro degli Esteri e leader della delegazione talebana a Doha, Amir Khan Muttaqi,  “sono state prese decisioni sull’aumento degli aiuti umanitari e sull’apertura di uffici dell’Unione europea a Kabul”. Il portavoce dei talebani, Zabiullah Mujahid, ha aggiunto che la delegazione europea “ha promesso la continuata presenza di un ufficio umanitario a Kabul per fornire assistenza”. Muttaqi ha inoltre fatto sapere che incontrerà la delegazione statunitense per discutere dello sblocco degli asset bancari, degli aiuti umanitari e della riapertura delle ambasciate a Kabul.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-11/afghanistan-unione-europea-doha-aeroporto-partenze-kabul.html

La Siria tra crisi umanitaria e slanci sul piano diplomatico

Il sistema sanitario già compromesso da 10 anni di conflitto in Siria non regge al Covid-19 mentre nel Paese restano sacche di forti tensioni e non sono mai cessati del tutto bombardamenti o attentati locali. Intanto il presidente Assad ottiene aperture sul piano diplomatico, come spiega lo studioso di relazioni internazionali Daniele De Luca

Fausta Speranza – Città del Vaticano

La crisi da Covid-19 in Siria si somma alla situazione sanitaria già compromessa. Secondo dati dell’Onu, l’80 per cento della popolazione vive sotto la soglia della povertà. Il conflitto  in dieci anni ha provocato 500.000 vittime, 6,5 milioni di profughi e altrettanti sfollati interni. La metà degli ospedali del Paese sono ancora distrutti o resi inagibili dai bombardamenti. Mancano farmaci e strumentazione medica, mentre la pandemia continua a diffondersi.

L’appello Onu per gli aiuti

Martin Griffiths, coordinatore per le emergenze delle Nazioni Unite, ha fatto sapere che finora l’Onu e i suoi partner hanno ricevuto solo il 27 per cento dei finanziamenti necessari per il piano di risposta umanitaria del 2021 per la Siria, che prevede 4,2 miliardi di dollari. Non si può dimenticare la Siria che sembra uscita dai riflettori mediatici mentre ci sono emergenze da raccontare, come sottolinea Daniele De Luca, docente di Relazioni internazionali all’Università del Salento:

Di Siria non si parla – mette in evidenza De Luca – invece ci sono sviluppi da raccontare sia dal punto di vista diplomatico che militare. De Luca cita la visita del ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti a Damasco di qualche giorno fa per sottolineare che Bashar Al Assad sta intavolando nuovi rapporti con Paesi dell’area, in particolare ottenendo aperture dai Paesi del Golfo, come Emirati Arabi Uniti e Bahrein, che – ricorda – sono i Paesi che hanno siglato il cosiddetto Accordo di Abramo con Israele. Si tratta di un’apertura non soltanto finalizzata agli aiuti ma ovviamente per motivi geopolitici di equilibri. De Luca evidenzia anche che per quanto riguarda Arabia Saudita e Qatar non si registrano mosse diplomatiche.

Una situazione fluida

Lo studioso De Luca definisce la situazione in Siria oggi “fluida”, per la presenza sul territorio di forze straniere. E per quanto riguarda il terrorismo ricorda che Daesh, cioè il sedicente Stato islamico, è stato vinto, ma ricorda che in certi contesti restano fortissime le tensioni tra alcune minoranze, e dunque ci si deve aspettare che certe forze estremistiche si trasformino o si ricompattino. A proposito dell’annuncio del rientro della Siria nella Lega Araba a marzo prossimo, fatto nelle scorse settimane, De Luca commenta che è sempre positivo il ritorno di un Paese, tanto più se ha vissuto una guerra, nell’alveo di un consesso di più nazioni, perché favorisce ovviamente il dialogo per definizione. Ma il punto è – sottolinea – che non è chiaro in questo momento quale forza abbia e quale ruolo possa avere nel prossimo futuro la Lega Araba.

Nel sud il presidio a Daraa

Nella regione di Daraa, nel sud, le forze di Damasco stanno continuando le operazioni di reinsediamento e di sicurezza, sulla base dell’accordo con notabili locali raggiunto il primo settembre scorso con la mediazione di Mosca. Il governatorato risulta oramai controllato a livello militare dalle forze di Damasco, che hanno ripreso il controllo anche di Daraa al- Balad, un distretto meridionale dell’omonimo governatorato, controllato per molto tempo da gruppi dell’opposizione. Si tratta del distretto che, a partire da giugno scorso, è stato posto sotto assedio per oltre 65 giorni, senza possibilità di ingresso di soccorsi e aiuti umanitari per gli oltre 40.000 abitanti. La situazione ha alimentato crescenti scontri, definiti i peggiori degli ultimi tre anni, fino all’accordo a settembre. Nel distretto di Daraa al- Balad si continuano a registrare attentati contro membri dell’esercito siriano e suoi affiliati. Le forze siriane hanno chiuso la strada che collega Sheikh Miskin e il distretto di Izraa, dopo l’attacco che l’8 novembre ha provocato la morte di due agenti siriani. Nel mese di novembre è arrivata notizia anche di esplosioni a Raqqa, nel nord della Siria, o nella città di Qamishli, nel governatorato di Hasakah, nel nord-est della Siria. Secondo fonti locali, anche ad est, nell’area di al-Bukamal, di Deir Ezzor, si sono registrati bombardamenti.

Nel nord l’emergenza di Idlib

Fortissime tensioni si registrano anche a nord, in particolare a Idlib. I presidenti di Turchia e Russia, Recep Tayyip Erdoğan e Vladimir Putin, hanno raggiunto un accordo di cessate il fuoco nel governatorato, siglato il 5 marzo 2020 ed esteso al termine dei colloqui svoltisi a Sochi il 16 e 17 febbraio scorso, che ha fatto sì che nessuna delle parti belligeranti lanciasse una più ampia offensiva. Restano però sacche di opposizione e disordini. C’è poi l’emergenza dal punto di vista umanitario per il milione di sfollati provenienti da varie zone della Siria in questi anni di guerra, che si sono aggiunti ai tre milioni di abitanti dell’area. L’emergenza è drammaticamente aggravata dalla pandemia che risulta fuori controllo tra gli sfollati, come sottolinea ancora Daniele De Luca.  

L’incubo delle bombe inesplose

Nell’ultimo anno inoltre 3.000 bambini e bambine sono rimasti feriti o uccisi da mine e ordigni inesplosi, spesso mentre giocavano in zone residenziali. Oltre 11,5 milioni di persone vivono in comunità contaminate e già 6000 civili ne sono stati colpiti. In particolare, quasi nessuna area nel nord-ovest è libera da ordigni.

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Allarme Onu: schizzano i prezzi dei medicinali in Libano

Le Nazioni Unite condannano il taglio dei sussidi per le medicine nel Paese dei Cedri dove aumentano i suicidi. C’è chi specula su alcune importazioni mentre non si vedono all’orizzonte le riforme annunciate, come riferisce da Beirut il docente universitario Riccardo Paredi

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla povertà e i diritti umani, Olivier De Schutter, ha denunciato la decisione del governo del primo ministro Najib Miqati di abolire i sussidi sui medicinali in Libano. De Schutter ha ricordato come il governo aveva promesso di mettere in atto un sistema di reti di protezione sociale contro la povertà prima di revocare i sussidi, “ma questo piano non ha ancora visto la luce”. Due giorni fa, il relatore dell’Onu si è pronunciato definendo la decisione “irresponsabile e prematura” di fronte al crescente impoverimento di gran parte della società del Libano.

Un sistema sanitario tra mille difficoltà

Dopo la nuova stretta del governo, anche i prezzi dei medicinali per le malattie croniche, gli antidepressivi e i tranquillanti, così come i prezzi del latte in polvere per bambini, “sono letteralmente schizzati alle stelle”. Secondo De Schutter, gli aumenti, che sono di cinque o sei volte il prezzo precedente, “metteranno ulteriore pressione su un sistema sanitario già paralizzato”.

Emergenza senza precedenti e speculazioni

Una delle peggiori crisi economiche degli ultimi 150 anni: così la Banca Mondiale valuta le gravissime difficoltà che attraversa il Libano. L’emergenza è anche sanitaria e sociale. Oltre a rimuovere i sussidi sui medicinali, il governo ha già rimosso quelli sui combustibili e su diversi alimenti di base. Questo scatena anche speculazioni. Mentre gran parte della popolazione soffre le conseguenze di un anno e mezzo di default economico, c’è infatti chi si arricchisce nelle attuali distorte dinamiche di commerci, come afferma Riccardo Paredi, che si trova nella capitale libanese per un dottorato alla American University e che collabora con la Fondazione Oasis.

Paredi sottolinea che la maggior parte della popolazione non può permettersi prezzi così alti di medicinali essenziali o utili come un antipiretico. Conferma che ci sono quelli che definisce “correttivi sociali”, cioè l’intervento di Caritas e Ong ma denuncia il fatto che a volte è difficile, farraginoso, anche assicurare la distribuzione di beni di prima necessità per complicazioni burocratiche. L’esperto ricorda che uno stipendio di un milione di lire libanesi prima del default e dell’inflazione equivaleva a 660 dollari circa, mentre ora corrisponde a circa 90 dollari. L’inflazione tocca il picco del 90 per cento.

Aumenta la disperazione popolare

Paredi mette in luce il dato drammatico dell’aumento di suicidi negli ultimi due anni. La maggior parte delle vittime sono uomini, padri di famiglia, di mezza età e senza lavoro, libanesi ma anche siriani e palestinesi, che non riescono a sostenere la pressione di fronte all’incapacità di sfamare i propri figli. In Libano ormai, secondo l’Onu, più della metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Racconta che in ambito universitario i giovani che hanno possibilità economiche progettano di lasciare il Paese, gli altri non intravedono possibilità di lavoro ma neanche di proseguire facilmente gli studi.

Impasse politica

La crisi è economica, sanitaria, sociale ma anche politico-istituzionale, ricorda Paredi. Il governo in carica deve traghettare il Paese alle elezioni di fine marzo 2022, ma il suo mandato sarebbe quello di assicurare riforme importanti di cui però non si vede l’avvio. Ci sono un miliardo di aiuti – ricorda – che il  Fondo monetario internazionale è in grado di destinare al Libano ma nell’attuale situazione di impasse politica non è possibile svolgere le necessarie negoziazioni. “Se non c’è un  governo autorevole e se non si definiscono le riforme non si possono sbloccare questi aiuti”.

La voce delle proteste

A ottobre scorso si è svolto l’anniversario del picco di proteste popolari che hanno portato alla caduta del governo Hariri, seguita da varie vicissitudini, incarichi di governo andati a vuoto fino all’attuale esecutivo. Ad agosto 2020 c’è stata la tragedia delle esplosioni al porto che hanno scatenato altre manifestazioni e disordini. Riccardo Paredi innanzitutto chiarisce che p”raticamente proteste a livello popolare si registravano anche in tutto il decennio precedente a ottobre 2019″; proteste che definisce “carsiche” rispetto all’evoluzione successiva di massicci cortei in piazza. “Ma – sottolinea – emergeva un forte scontento, poi esasperato”. Al momento attuale però, evidenzia Paredi, “la popolazione ha altre drammatiche priorità e l’anniversario di ottobre, pur sentito, non ha portato però a manifestazioni partecipate. Non perché non ci sia meno scontento, anzi, ma perché la popolazione non ce la fa troppo presa dalle emergenze giornaliere”.

Un Paese piccolo ma complesso

Il Libano è una nazione “giovane” nata su un territorio denso di storia, un Paese ricco culturalmente ma anche complesso per tanti aspetti. In particolare, Paredi chiarisce che non si può parlare di popolazione libanese come di un unicum. C’è una grande fetta di persone che sono scivolate al livello di povertà o sotto, ma per alcuni – sottolinea l’esperto – è un periodo che offre occasioni di forti guadagni, spiegando che ci sono alcuni che fanno affari d’oro in particolare nel settore energetico, nella vendita di generatori, negli approvvigionamenti di benzina. A proposito di complessità, Paredi ricorda che si tratta di un territorio su cui svolgono un ruolo anche attori regionali. Secondo il docente, si avverte di attraversare diversi microcosmi se si frequentano anche nella stessa capitale persone legate a reti sociali o gruppi familiari diversi, e aggiunge che tutto questo si ripercuote anche nell’urbanistica di Beirut. Per non parlare della differenza tra città del nord e del sud, come Tripoli o Tiro.

Il dibattito istituzionale

In ambito universitario è vivo il dibattito sui possibili cambiamenti costituzionali. Attualmente il sistema è definito confessionale perché prevede una distribuzione delle cariche istituzionali tra le diverse confessioni religiose nel Paese. Riccardo Paredi spiega che alcuni invocano il superamento di questo sistema parlando di laicità ma che non è chiaro quali possano essere le alternative. E sottolinea che non si può parlare di contrapposizione generazionale pensando che i giovani siano tutti a favore del cambiamento e i meno giovani no. “Non è così – afferma –, anche tra i giovani molti non danno per scontato il superamento o non ritengono positive le alternative finora presentate”.

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È corsa alle candidature in Libia

Si avvicinano le elezioni presidenziali libiche fissate per il 24 dicembre e si moltiplicano quanti scendono in campo: dal figlio di Gheddafi al generale Haftar, ma anche protagonisti di ruoli istituzionali. L’incognita, oltre al dibattito su singoli nomi, è capire se le dinamiche elettorali potranno contribuire a superare le forti tensioni e la persistente frammentazione sul terreno, come sottolinea lo studioso di Nord Africa Luciano Ardesi

Fausta Speranza – Città del Vaticano

In vista delle elezioni presidenziali previste in Libia il 24 dicembre, da domenica scorsa aumentano le iscrizioni dei candidati. Oggi l’Alta commissione nazionale per le elezioni ha precisato che la lista finale e definita verrà resa nota dopo che saranno completate le verifiche necessarie. Intanto fanno discutere nomi di peso che hanno fatto sapere di essere scesi in campo.

Il figlio di Gheddafi e il generale Haftar

Domenica scorsa ha presentato la sua candidatura Saif al-Islam Gheddafi, figlio del colonnello e ricercato dalla Corte penale internazionale nell’ambito delle inchieste per i crimini commessi durante la rivoluzione del 2011 che depose il padre. Poi è arrivato l’annuncio che il generale noto come Khalifa Haftar ha rinunciato temporaneamente alla guida dell’Esercito nazionale libico proprio per aspirare alla guida del Paese da civile. Precisamente il nome del cosiddetto uomo forte della Cirenaica è Khalīfa Belqāsim Ḥaftar Alferjani e nell’aprile del 2011 è stato promosso al grado di Tenente generale dalle autorità del Consiglio nazionale di transizione libico. “Dichiaro la mia candidatura alle elezioni presidenziali, non perché corro dietro al potere, ma per condurre il nostro popolo alla gloria, al progresso e alla prosperità”, ha detto Haftar in un discorso trasmesso in diretta tv da Bengasi, sua roccaforte. Il maresciallo di campo ha affermato che le elezioni di dicembre sono “l’unico modo per far uscire la Libia dal caos”.

Altri nomi di spicco

Ed è stato già registrato da giorni anche il nome dell’ex primo ministro libico Ali Zeidan. Il governo di Zeidan, in carica dal 14 novembre 2012 all’11 marzo 2014, era stato  sfiduciato dal Parlamento di Tripoli. In precedenza era stato ambasciatore della Libia in India. Dopo aver abbandonato l’incarico era diventato oppositore di Muammar Gheddafi risiedendo in Germania.  Il 10 ottobre 2013 ha subito un sequestro lampo da parte di miliziani  armati che lo hanno prelevato dall’Hotel Corinthia di Tripoli con un presunto mandato di arresto. Un altro nome importante nella lista dei candidati è quello di Agila Salah, l’ex magistrato che dal 2014 è presidente della Camera dei deputati di Tobruk, la città dell’est dove il Parlamento si è ritirato dopo la guerra civile a Tripoli del 2015. Inoltre oggi ha formalizzato la sua candidatura l’ex vicepresidente Ahmed Maitig, uomo d’affari di Misurata noto in Europa e già vicepresidente del passato Consiglio presidenziale del Governo di accordo nazionale dell’allora premier Fayez al-Sarraj. Delle candidature abbiamo parlato con Luciano Ardesi, esperto dell’area nordafricana:

Ardesi innanzitutto chiarisce che c’è ancora tempo per registrare le candidature e che dunque sicuramente ne arriveranno altre. Ad esempio, nella Tripolitania, ossia all’ovest, fra gli altri hanno lasciato intendere di volersi presentare alle presidenziali sia Fathi Bashagha, l’ex ministro dell’Interno legato a milizie anti-Haftar, sia Dbeibah, sebbene sia in teoria incandidabile in quanto primo ministro. Ardesi sottolinea che si tratta di tuti nomi di peso ma che non si sa al momento quanto seguito abbiano sul terreno, in termini di controllo o appoggio di un partito, di milizie, di un movimento. È immaginabile un confronto molto sentito e acceso. Inoltre, Ardesi torna alla questione dei mercenari, ricordando che ci sono stati appelli al ritiro anche nell’ultima conferenza per la Libia della settimana scorsa,ma sottolineando che a parte alcune sporadiche partenze in realtà il grosso delle truppe mercenarie sono ancora sul terreno anche perché sia la Russia che la Turchia aspettano che sia l’altro Paese a iniziare il controllo del ritiro. Dunque – sottolinea Ardesi – è immaginabile che la popolazione si recherà a votare mentre i mercenari sono ancora sparsi sul territorio.

L’incognita legislative

C’è anche l’orizzonte delle elezioni legislative fissate per il 14 febbraio 2022, data che coincide con l’eventuale e probabile ballottaggio delle presidenziali. Ardesi infatti non ritiene probabile che esca subito un vincitore del voto presidenziale del 24 dicembre.  Spiega che ancora non è chiaro lo svolgimento del voto legislativo e che non si sa quale sarà il peso della coincidenza. In ogni caso, i tempi sono stretti e la pressione delle urne non aiuta a immaginare che si plachino le forti tensioni sul terreno.

Perplessità all’interno del Consiglio di Stato

Il portavoce dell’Alto Consiglio di Stato (Hsc, una sorta di senato libico), Mohamed Abdel Nasser, ha criticato l’Alta Commissione elettorale nazionale (Hnec) mettendo in dubbio la sua capacità di condurre le elezioni in modo ordinato, equo e trasparente. Lo segnala oggi in un tweet il sito Libya Observer. Si parla ad esempio di errori fatti sulle piattaforme ufficiali dell’Hnec, ha sottolineato il portavoce. Esponenti dell’Hsc, insediato a Tripoli quale contrappeso politico del Parlamento basato a Tobruk, hanno già espresso a più riprese dubbi sulla legittimità delle elezioni presidenziali libiche di dicembre: la tornata si basa su una legge varata in maniera controversa dalla Camera dei deputati per favorire, secondo i suoi critici, il generale Khalifa Haftar.

Il sostegno al voto da Washington

Gli Stati Uniti sostengono il  lavoro dell’Alta commissione elettorale nazionale della Libia, ne  riconoscono gli sforzi per garantire la sicurezza e l’integrità del voto. Lo ha dichiarato l’ambasciatore statunitense Richard Norland durante un incontro con il capo dell’Alta Commissione elettorale all’aeroporto internazionale Maitika, come riporta Libya Review. “Ho sottolineato il sostegno degli Stati Uniti alle elezioni e, per quanto riguarda il settore energetico, l’importanza di mantenere una National Oil Corporation (Nov) unificata, tecnocratica e indipendente di fronte alle persistenti sfide alle sue operazioni”, ha twittato  l’ambasciatore, che ieri ha anche avuto un incontro con la Us-Libya Business Association.

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Attesa per l’incontro virtuale tra Biden e Xi Jinping

Il presidente degli Stati Uniti e il presidente della Repubblica Popolare Cinese a colloquio per la prima volta da quando Biden è alla Casa Bianca. Uno scambio via web che, anche se non porta risultati concreti, rappresenta un elemento positivo nei processi attuali di riequilibrio internazionale, come spiega lo studioso di Relazioni internazionali Luciano Bozzo

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Una gestione responsabile della competizione e degli interessi comuni e non”: secondo una nota della Casa Bianca, è questo l’obiettivo del summit virtuale previsto tra Joe Biden e Xi Jinping quando negli Stati Uniti è la sera di oggi lunedì 15 novembre e in Cina è già la mattina di martedì 16. Ci si aspetta che i due leader parlino delle conclusioni della COP26 di Glasgow, della questione dazi, dell’andamento dell’economia mondiale. Un colloquio che rappresenta un elemento positivo anche se non ci sono grandi aspettative su risultati concreti, come sottolinea Luciano Bozzo, docente di Relazioni internazionali e Teorie della Politica internazionale all’Università di Firenze:

Il professor Bozzo parla dell’incontro come di un fattore positivo in una fase in cui i rapporti sono sotto il segno della competizione. Sottolinea l’importanza di un’occasione per un dialogo diretto ricordando che l’intesa annunciata durante la COP26 tra Washington e Pechino è stata significativa per l’impulso che ha ricevuto la Conferenza stessa, ma anche come prova di avvicinamento su alcuni punti tra le due grandi potenze. I due leader non si sono in realtà impegnati in nessuna grande nuova promessa, ma la manifestazione di una volontà dei due Paesi di non mettere da parte la tematica ambientalista è stata ed è importante. Lo studioso ricorda che i punti di partenza erano molto lontani, considerando che la Cina non era stata tra i Paesi firmatari dell’accordo comune della COP26 sulla riduzione progressiva dell’uso del carbone, non associandosi alla promessa di ridurre le emissioni del 30 per cento entro il 2030. Joe Biden, inoltre, aveva definito “un grosso errore” l’assenza di Xi al tavolo della Conferenza. E il punto – suggerisce Bozzo – è che la concretizzazione sul possibile accordo per la riduzione delle emissioni potrà verificarsi soltanto nella strada del dialogo e del confronto che i due leader possono provare ad aprire con il faccia a faccia previsto oggi anche se virtuale. Bozzo ricorda che sulle questioni ambientali ci sono in ballo grossi interessi e che questi interessi sono diversi tra i grandi Paesi che hanno voce in capitolo e che non sono solo Stati Uniti e Cina. L’intesa tra le due grandi potenze può essere importante per prese di posizione allargate anche se non scontate. In fondo – commenta Bozzo – il pronunciamento di Washington e Pechino è stato l’unico passo in avanti che registriamo in tema di cambiamenti climatici a conclusione dell’incontro a Glasgow.

Nessun incontro in presenza tra i due presidenti

Complice il prolungamento dell’emergenza pandemica e le rigidissime regole cinesi che non permettono di fatto ai cittadini di uscire dal Paese, non c’è ancora mai stato un incontro in presenza tra i due leader mondiali da quando Biden è alla Casa Bianca. Durante la presidenza di Barack Obama, Biden da vicepresidente aveva incontrato Xi Jinping che è presidente dal 2013. Guardando alla fase attuale in cui sono i leader dei rispettivi Paesi, va ricordato che i due hanno avuto un colloquio telefonico lo scorso 9 settembre e che la settimana scorsa sono intervenuti con due videomessaggi al vertice dell’Apec, l’Asia-Pacific Economic Cooperation.

Multilateralismo e “super potenze”

In un’epoca in cui si parla molto di multilateralismo e si auspica – dopo i tanti cambiamenti storici degli ultimi anni – un riequilibrio mondiale proprio all’insegna del multilateralismo, Bozzo commenta il fatto che però, a fronte di questo, i riflettori internazionali restano puntati in modo particolare proprio sui rapporti tra Stati Uniti e Cina, che rappresentano le due “super potenze” mondiali. Il multilateralismo è un obiettivo – afferma Bozzo – ma non si può ignorare il fatto che la politica internazionale è centrata tra le interazioni tra grandi potenze. E questo accade mentre nei fatti si rimette in discussione l’ordine di equilibrio mondiale stabilito dopo la seconda guerra mondiale. Secondo Bozzo, non si può dire che si stia tornando a una nuova “guerra fredda” simile a quella vissuta tra Usa e Russia, perché molti fattori sono diversi, ma riconosce che è forte la competizione tra una potenza emergente che si qualifica sempre più come global player e una potenza che è stata protagonista negli equilibri mondiali per decenni. Il punto è – ribadisce Bozzo –  evitare quello che nella storia è successo troppo spesso e cioè che le grandi competizioni sfocino in conflitti. Da questo punto di vista – ricorda – abbiamo già un esempio di superamento di una fase delicata senza lo sbocco in una guerra e cioè la fine della guerra fredda e il superamento del dualismo tra Usa e Russia. Oggi dunque si tratta indubbiamente – ribadisce – di riformulare nuovi equilibri all’insegna del confronto nel dialogo.

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