I poveri, preferiti di Dio: così il Papa in un video messaggio all’Associazione Fratello

“Chiedo perdono a nome dei cristiani che vi hanno ferito, ignorato e umiliato”: così il Papa si rivolge ai poveri nel video registrato in risposta all’invito ricevuto dall’Associazione Fratello e reso pubblico oggi. Il posto dei poveri – dice Francesco – non è alle porte delle chiese, ma nel cuore della Chiesa. Ricorda dolorosissimi contesti di guerre imposte da altri

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Nella V Giornata mondiale dei poveri è stato reso pubblico nel pomeriggio il video registrato dal Papa venerdì scorso in risposta all’invito ricevuto dall’Associazione Fratello che si occupa dei più bisognosi (https://www.facebook.com/Wearefratello/). Francesco sottolinea innanzitutto che “molti stanno attraversando situazioni difficili, molto difficili, dolorose e a volte insopportabili” e chiede “perdono a nome di tutti i cristiani che vi hanno ferito, ignorato e umiliato”:

Molti di voi stanno soffrendo in carcere, negli slum, in un letto d’ospedale, nei quartieri più poveri, abbandonati, isolati, e talvolta anche in una guerra che non avete cercato, che è stata imposta. Alcuni di voi oggi non hanno più niente, non sanno se stasera mangeranno e dove dormiranno.

Nelle sue parole, la forte vicinanza ai poveri:

“Quanto sono felice di essere con voi in questo giorno! Mi sento molto vicino a voi; Voglio ricordare a tutti quanto Dio ci ama e quanto Dio vi ama.

L’invito ad andare oltre la superficialità:

È possibile che la parola “povero” possa scioccare alcune persone. Ma vedendoti voglio gridare al mondo che la Chiesa ha la Buona Novella: Gesù ha bisogno di voi per salvare il mondo, è venuto per i poveri, piccoli, malati, feriti della vita, amareggiati, per colmare noi con il suo amore. Se ci riconosciamo poveri, riconosciamo una mancanza, allora Dio può entrare in questa mancanza.

Francesco ricorda poi il legame profondo con il Vangelo:

Beati i poveri! Questa è la prima beatitudine.

E il richiamo per tutti:

Diventare poveri nel nostro cuore è un invito radicale a spogliarci di ciò che abbiamo, o pensiamo di avere, del nostro peccato, per lasciare che Dio venga e ci riempia del suo amore. Che il Signore ci aiuti a diventare piccolissimi, perché possa essere grande in noi, grande!

Una considerazione per chi non è povero sul piano materiale:

Altri che sembrano avere tutto, spesso soffrono di solitudine, ansia, depressione, dipendenza.

Nel cuore della Chiesa

Ogni uomo, ogni donna è il tempio di Dio, ricorda il Papa aggiungendo parole in particolare per i poveri:

Voi siete il tempio di Dio, voi siete il tesoro della Chiesa. Il vostro posto non è alla porta delle chiese, ma nel cuore della Chiesa. Sappiate che siete i preferiti di Dio. Tra voi ci sono santi nascosti.

Gesù al primo posto

Vi incoraggio ad amare sempre di più Gesù, ad adorare Lui, che si fa così povero nell’Eucaristia, a pregarlo. Lasciategli un posto comodo, il primo posto, nella stalla dei vostri cuori, perché possa nascere nei vostri cuori. Siate testimoni del suo amore nel mondo. Cari fratelli e sorelle, ogni giorno prego per voi e sapete che conto sulla vostra preghiera.

Il pensiero e la preghiera a Maria:

Perciò chiedo a Maria, che ha saputo accogliere pienamente lo Spirito Santo, di darci ora un po’ di pace, di proteggerci sotto il suo grande manto di tenerezza.

Il legame forte al Vangelo

Il Vangelo – ricorda il Papa – ci invita costantemente ad essere poveri: “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli”. Gesù ci dice anche: “Ciò che avete fatto al più piccolo di questi, l’avete fatto a me”. E anche: “chi accoglie questo piccolino, questo povero, accoglie me nel mio nome”. Per questo – aggiunge Papa Francesco – diciamo che i poveri sono il tesoro della Chiesa. Dunque, l’invocazione allo Spirito Santo perché assicuri la sua “dolce e gioiosa presenza”, nella consapevolezza che “ciò che Dio ha nascosto ai sapienti e ai dotti, lo ha rivelato ai piccoli”.

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2021-11/papa-francesco-assisi-giornata-mondiale-poveri-video-messaggio.html

Al via nuova Conferenza internazionale sulla Libia

Capi di Stato internazionali e regionali discutono a Parigi della situazione libica in vista delle elezioni previste il 24 dicembre prossimo. Il presidente francese Macron sottolinea il rischio che il processo di transizione deragli. Al di là del governo di unità nazionale, di fatto sono diversi i centri di potere, come spiega la studiosa Michela Mercuri

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Si tiene oggi a Parigi la Conferenza internazionale sulla Libia, voluta dal presidente francese Emmanuel Macron, in cogestione con Italia e Germania, per confermare le elezioni presidenziali del 24 dicembre, nella simbolica data del 70mo anniversario dell’indipendenza del Paese nordafricano. L’evento si tiene alla Maison della Chimie, un Centro congressi situato nel VII arrondissement della capitale francese. L’iniziativa era stata annunciata dal ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian, a settembre durante l’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Il settimo incontro internazionale

Si tratta del settimo incontro dedicato alla crisi libica dopo gli incontri di Parigi (maggio 2018), Palermo (novembre 2018), Abu Dhabi (marzo 2019), Berlino 1 (gennaio 2020), Berlino 2 (giugno 2021) e Tripoli (ottobre 2021). Partecipano una ventina tra capi di Stato regionali e internazionali, tra cui la vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris e il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. Sono rappresentati anche Tunisia, Niger e Ciad, i tre Paesi confinanti che stanno subendo i maggiori contraccolpi della crisi libica, in termini di instabilità, traffico di armi e mercenari. All’incontro mancano i presidenti di Turchia e di Russia, per Mosca interviene il ministro degli Esteri Sergei Lavrov. Con il presidente Macron hanno organizzato e sono presenti il presidente del Consiglio dei ministri italiano Mario Draghi,  la cancelliera tedesca Angela Merkel, rappresentanti delle Nazioni Unite. Dalla Libia hanno confermato la partecipazione il presidente del Consiglio presidenziale libico, Mohamed Al Menfi e il primo ministro Abdulhamid Dabaiba.

Le date tra le questioni centrali

Al momento una questione centrale è quella delle date: il voto del primo turno delle presidenziali è fissato per il 24 dicembre e un eventuale secondo turno è previsto per il 20 febbraio, in simultanea con le parlamentari. E c’è poi la posizione del capo dell’Alto consiglio di Stato libico, Khalid al-Mishri, che ha chiesto di astenersi dal partecipare alle elezioni non candidandosi o non andando alle urne. Al-Mishri ha affermato che le leggi elettorali annunciate dall’Alta Commissione elettorale nazionale alla stampa pochi giorni fa sono imperfette.

“Le elezioni sono alle porte – ha osservato alla vigilia dell’incontro il presidente francese Emmanuel Macron – ma le forze che vogliono far deragliare il processo sono in agguato”. Bisogna tenere la barra dritta – ha aggiunto – è in gioco la stabilità del Paese”. Nelle scorse settimane la ministra degli Esteri Najla Al-Mangoush è stata prima sospesa dalle sue funzioni e sottoposta a divieto di viaggio per “violazioni amministrative” e poi reintegrata dal primo ministro Abdul-Hamid Dbeibah. Si vive una situazione di transizione in cui non sono precisamente definiti nei fatti i confini di potere, spiega Michela Mercuri, studiosa di Storia contemporanea dei Paesi del Mediterraneo:

Mercuri ricorda che sono in funzione il Consiglio presidenziale e il Governo di Unità nazionale di Tripoli. Spiega che il primo, che è stato approvato dalla Camera dei rappresentanti il 10 marzo 2021, a seguito di un accordo raggiunto al Forum di dialogo politico libico con la mediazione delle Nazioni Unite, svolge le funzioni di capo di Stato. Il secondo è un esecutivo provvisorio formato per unificare i governi rivali di Tobruk e Tripoli (Gna) dopo l’accordo di cessate-il-fuoco raggiunto tra Khalifa Haftar e Fayez al-Serraj. Inoltre, Mercuri cita la Camera dei rappresentanti e l’Alto Consiglio di Stato, sottolineando che sono due organismi ‘paralleli’ pensati per bilanciarsi l’uno con l’altro e che risalgono agli Accordi di Shikrat del 2015. Infine, c’è il cosiddetto comitato militare 5+5, che è il risultato di un meccanismo attuativo della Conferenza di Berlino del 2020.

Tante le forze in campo

Da anni sono diversi i centri di potere che hanno voce in capitolo in Libia e, sottolinea Mercuri, in questa fase si sono ulteriormente compattati. Inoltre sul terreno sono presenti diverse migliaia di militari turchi o siriani filo-turchi intervenuti a sostegno del governo di Tripoli quando era sotto assedio, oltre a mercenari russi accorsi in aiuto delle forze della Cirenaica guidate dal generale Khalifa Haftar. Entrambe le milizie straniere non hanno mai smobilitato né si sono ritirate dal Paese, come era previsto dopo la firma del cessate-il-fuoco e l’approvazione della road-map mediata dall’Onu per la fine delle ostilità e il ripristino di istituzioni democratiche.

La situazione migranti

“In Libia la situazione dei migranti è molto fragile”: lo ha confermato in questi giorni la  commissaria europea agli Affari interni, Ylva Johansson, parlando all’Europarlamento. “Ho ricevuto la  promessa che i centri di detenzione saranno chiusi”, ha detto, aggiungendo che “il generale accusato di legami con trafficanti è stato rimosso”.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-11/libia-macron-elezioni-dicembre-governo-di-unita-nazionale.html

Costruire la pace sull’acqua: l’esperienza di una ong in Medio Oriente

E’ sempre più forte il legame tra questioni ambientali e contesti in cui è difficile assicurare pace e sicurezza. La scarsità di risorse naturali diventa una delle principali fonti di conflitto tra comunità o all’interno di comunità. Ma la gestione delle risorse può invece diventare il primo terreno su cui costruire condivisione ed è proprio quello che fa EcoPeace Middle East, come spiega Dalit Wolf Golan, tra i responsabili dell’Organizzazione non governativa

Fausta Speranza – Strasburgo

Il contesto del conflitto israelo-palestinese rappresenta uno dei più difficili per immaginare programmi condivisi di sostenibilità ambientale. Ma è proprio questa la scommessa che da anni porta avanti la ong senza scopo di lucro EcoPeace Middle East, che ha presentato il suo programma nell’ambito del Forum Mondiale per la Democrazia del Consiglio d’Europa, che si conclude oggi a Strasburgo. Al Palazzo d’Europa abbiamo incontrato Dalit Wolf Golan, tra i responsabili di EcoPeace Middle East. Spiega che se non c’è un rapporto diretto di causa – effetto tra scarsità di risorse naturali e guerre -, c’è sempre però un forte legame tra la carenza di risorse come l’acqua e l’insorgere di conflittualità. Sottolinea che in ogni caso una buona o una cattiva gestione delle risorse naturali giocano un ruolo importante in un senso o in un altro. E sottolinea che bisogna impegnarsi a valutare quali siano i migliori strumenti a disposizione per la risoluzione dei conflitti quando si tratta di risorse naturali. Bisogna studiare – raccomanda –  come integrare la gestione dei conflitti nelle politiche e nelle strategie relative alla gestione delle risorse naturali.

L’impegno di EcoPeace Middle East

Dalit Wolf Golan spiega che EcoPeace Middle East è un’organizzazione non governativa senza scopo di lucro che riunisce ambientalisti giordani, palestinesi e israeliani. Ricorda che è stata fondata nel 1994 per promuovere lo sviluppo regionale sostenibile e le condizioni per la pace promuovendo la collaborazione intorno alle sfide ambientali condivise, in particolare la necessità di acqua. Racconta che EcoPeace mostra a israeliani, palestinesi e giordani come i loro destini nazionali e i loro interessi personali siano indissolubilmente legati al loro ambiente, e quindi l’uno all’altro. Tra gli obiettivi indica innanzitutto quello di incoraggiare un’azione che attraversi le linee di conflitto per avanzare soluzioni alle pressanti preoccupazioni ambientali, anche attraverso iniziative strategiche e partnership.

Tutti sulla stessa barca

Dal punto di vista ambientale, siamo tutti sulla stessa “barca”, afferma Wolf Golan, raccontando che EcoPeace cerca di far sì che vengano sostituite le politiche che non tengono conto delle interdipendenze dell’ambiente condiviso con politiche che riconoscono una prospettiva più ampia di interessi, e cerca di promuovere una leadership preparata ad approfondire le aree di cooperazione e fiducia anche nell’ambito di un conflitto. In definitiva EcoPeace – ricorda – contribuisce alla sostenibilità ambientale e alla costruzione della pace in uno degli ambienti più difficili che si possano immaginare, dimostrando dunque che è possibile.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-11/ecopeace-israeliani-palestinesi-giordani-ong-consiglio-di-europa.html

Diritto e cambiamenti climatici: nuove sfide per le democrazie

Al Forum per la democrazia a Strasburgo si discute di surriscaldamento globale, che interpella il mondo della politica e quello del diritto, come spiega l’avvocato Luca Saltalamacchia. Intorno al tavolo si ritrovano non solo rappresentanti istituzionali ma molti giovani attivisti e promotori di iniziative green nel vecchio continente o nel mondo perché serve uno sguardo globale e uno locale, come sottolinea Claudia Luciani del Consiglio d’Europa

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Intellettuali, politici, attivisti, esperti e giovani di tutto il mondo discutono da ieri di sistemi democratici e ambiente al Consiglio d’Europa, a Strasburgo. Si tratta del Forum mondiale per la democrazia che, in questa decima edizione che si conclude domani, è concentrato sulle sfide ambientali. Un anno di dibattiti  online a livello mondiale ha preparato la piattaforma degli incontri in corso al Palazzo d’Europa. Diverse le voci, come quella concreta di Virag Kaufer, rappresentante della società civile in Iraq che parla di serie difficoltà ad arginare meccanismi industriali distruttivi.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-11/diritti-consiglio-di-europa-democrazia-ambiente.html

Ambiente e sistemi democratici: dibattito al Consiglio d’Europa

Il legame tra cambiamenti climatici e democrazia: al centro del World Forum for Democracy, l’appuntamento annuale del Consiglio d’Europa che torna in presenza, dopo lo svolgimento on line l’anno scorso, dall’8 al 10 novembre

Fausta Speranza – Strasburgo

Dalla democrazia deliberativa ai diritti umani, dall’attivismo giovanile alla salute, dai cambiamenti climatici alle minacce contro i paladini dell’ambiente. Sono i temi principali che verranno discussi in tre giorni ricchi di appuntamenti in plenaria, di tavole rotonde e di laboratori al Forum mondiale per la democrazia organizzato dal 2011 ogni anno dal Consiglio d’Europa. Da oggi, 8 novembre, al 10 novembre, rappresentanti del mondo della politica e attivisti, tra cui molti giovani, si ritrovano in presenza – dopo lo svolgimento virtuale nel 2020 – per discutere temi d’attualità per le democrazie di tutto il mondo e in particolare per rispondere a un interrogativo: “La democrazia può salvare l’ambiente?”

Il peso della pandemia

Il Segretario Generale del Consiglio d’Europa, Marija Pejčinović Burić, ha sottolineato, nel rapporto del Consiglio d’Europa sullo stato delle democrazie a maggio scorso, come la pandemia rappresenti la sfida più grave, senza precedenti, che i Paesi del Consiglio d’Europa hanno dovuto affrontare dalla formazione dell’organizzazione stessa (è stata istituita in difesa dI diritti umani, democrazia e Stato di diritto il 5 maggio 1949 con il Trattato di Londra e ha la sua sede  istituzionale a Strasburgo, in Francia). Il prezzo della pandemia è altissimo innanzitutto in termini di vite umane, perché milioni di persone non sono sopravvissute al coronavirus, e poi in termini di gravi ricadute sociali, come la perdita di posti di lavoro, significativi cambiamenti in tantissimi aspetti della vita quotidiana. Il Consiglio d’Europa ha cercato di assicurare agli Stati membri il supporto di cui avevano bisogno per affrontare la crisi della salute pubblica in modo efficace e sostenibile, in relazione agli standard comuni in materia di diritti umani, democrazia e Stato di diritto. Ciò ha significato nel concreto offrire documenti di orientamento per le autorità nazionali, partecipare ai dibattiti in corso su come garantire requisiti, certificati e “pass” di vaccinazione conformi ai diritti umani. Quest’anno, si è tornati a discutere del rinnovamento democratico per l’Europa, dello stato degli elementi costitutivi chiave di cui è composta la sicurezza democratica in Europa. Nel rapporto 2021 emergono molti esempi di progressi nei 47 Stati membri, che non dovrebbero essere né trascurati né sottovalutati, ma si evidenzia anche un chiaro e preoccupante grado di ricaduta democratica.

Difendere la cultura democratica

L’ambiente democratico e le istituzioni democratiche in Europa risultano sotto pressione. In molti casi le azioni legittime intraprese dalle autorità nazionali in risposta al Covid-19 hanno aggravato questa tendenza. I diritti e la libertà degli individui sono stati ridotti in modi che sarebbero inaccettabili in tempi normali. L’importante – raccomanda il Consiglio d’Europa – è che la cultura democratica non si svilisca. Questo è profondamente preoccupante. La democrazia è essenziale se le persone devono vivere in libertà, dignità e sicurezza. E’ anche necessario come sostegno per il mantenimento dei diritti umani e dello stato di diritto. Si tratta di tre pilastri inseparabili. Se uno si indebolisce, si indeboliscono anche gli altri.

La sfida ambientale

Pandemia e salute: tutto ci riporta alla questione ambientale. La concomitanza con la COP26 in corso a Glasgow offre dati aggiornati sui danni ambientali e il cambiamento climatico, che rappresentano la più grande minaccia esistenziale dell’umanità. Si richiede un’azione rapida e decisiva che interpella i sistemi democratici. Il dibattito all’interno del Consiglio d’Europa riguarda gli 830 milioni di cittadini che vivono nei 47 Stati membri. E il Forum, quest’anno alla decima edizione, è organizzato per dare voce non solo ai leader politici ma anche alle esperienze e iniziative della società civile. Proprio una di queste iniziative, nella giornata conclusiva del Forum, verrà insignita con il Premio per l’innovazione democratica.

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Etica e intelligenza artificiale: nuove sfide per l’Unesco che compie 75 anni

Costruire la pace attraverso la cooperazione internazionale nell’istruzione, nelle scienze e nella cultura: è l’obiettivo con cui il 4 novembre 1946 veniva istituita l’Unesco. Restano cruciali l’alfabetizzazione e la tutela dei beni artistici, ma oggi la sfida principale è difendere l’umanesimo nella digitalizzazione, spiega il segretario generale per l’Italia Enrico Vicenti. Senza dimenticare la promozione del valore stesso della cultura, come sottolinea la studiosa Enrica Tedeschi

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il 4 novembre 1946, con il deposito del ventesimo strumento di ratifica da parte degli Stati firmatari, entra in vigore l’atto con cui viene costituita l’Unesco, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura.

Il progetto di pace in tempo di guerra

Tra il 1942 e il 1945, quando ancora si combatteva  la seconda guerra mondiale, si riunisce a più sessioni a Londra la Conferenza dei Ministri Alleati dell’Istruzione (Came). Si voleva guardare oltre le bombe e discutere  la ricostruzione post-conflitto del sistema educativo. Molte le adesioni, tra cui quella degli Stati Uniti e dunque  il 10 gennaio 1945, in occasione del quindicesimo incontro della Came, vienee formato il Comitato di Redazione per la Costituzione dell’Unsco. A dare vita all’organizzazione è un gruppo composto da 12 membri in rappresentanza di nove Paesi (Belgio, Cina, Cecoslovacchia, Francia, Olanda, Norvegia, Regno Unito, Stati Uniti e URSS). Vengono redatte le prime due bozze del testo della Costituzione.

Su proposta della Francia, il processo di elaborazione dell’atto costitutivo doveva includere un momento centrale di riflessione, per mettere a punto “una comune dichiarazione dell’ideale di democrazia e di progresso [ …] che dovrebbe essere la base di una cultura universale morale, sociale e politica […] al fine di assicurare il trionfo nel mondo futuro di armonia, solidarietà e pace”. Si vuole andare oltre l’ottica post bellica e dunque sparisce poi il termine ricostruzione e il mandato della nascente organizzazione viene arricchito con l’aggiunta delle scienze. L’impegno condiviso di tutte le nazioni nella costruzione di un mondo realmente libero si impone  come condizione imprescindibile rispetto agli ideali fino ad allora proclamati in seno al consesso internazionale.

A pochi giorni dall’istituzione delle Nazioni Unite, dal 1 al 16 novembre 1945 la Came indice a Londra una Conferenza per l’istituzione dell’organizzazione educativa e culturale (ECO/CONF), con rappresentanti di 44 paesi e di otto enti intergovernativi osservatori, tra cui la Commissione Preparatoria delle Nazioni Unite, la Società delle Nazioni, l’Istituto internazionale per la Cooperazione Intellettuale e il Bureau Internazionale dell’Educazione. L’elaborazione della Costituzione è il frutto di un intenso processo partecipativo. Viene approvato  l’atto costitutivo che  entra in vigore il 4 novembre 1946, con il deposito del ventesimo strumento di ratifica da parte degli Stati firmatari.

Le sfide oggi

A 75 anni dalla sua entrata in vigore la Costituzione dell’Unesco e i valori consacrati mostrano tutta la loro attualità, come sottolinea Enrico Vicenti, Segretario Generale della Commissione Italiana per l’Unesco:

Vicenti ricorda l’importanza di un’istituzione pensata per l’armonia tra i popoli in una fase storica in cui non viviamo una vera e propria guerra  mondiale ma tanti gravissimi conflitti regionali.  Inoltre Vicenti cita le nuove sfide globali ricordando che sono delineate nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile.

Educazione e rinnovate diseguaglianze

L’Unesco – spiega Vicenti – è chiamata a collaborare alla realizzazione dell’Agenda nel suo insieme tramite le sue numerose iniziative e programmi ed è, in particolare, capofila per l’obiettivo 4 relativo all’educazione di qualità, inclusiva e permanente, obiettivo messo a dura prova dalla pandemia da Covid-19 che ha acuito le diseguaglianze digitali e di genere.  Vicenti ricorda che per l’Unesco l’educazione resta lo strumento fondamentale per combattere i fenomeni perduranti del razzismo, del linguaggio violento e del bullismo sui social media e della criminalizzazione della diversità nelle sue manifestazioni religiose, culturali, etniche o di genere. E poi sottolinea però l’urgenza di essere all’altezza, come umanità, delle incognite rappresentate dallo sviluppo della cosiddetta intelligenza artificiale (Ia), o quantum computing. L’obiettivo è troppo importante per non essere una priorità: si tratta – afferma – di difendere l’etica in tutti questi processi e possibili sviluppi, di non dimenticare l’umanesimo.

In generale, è centrale in questa fase storica l’emergenza ambientale, che interpella anche l’Unesco. L’agenzia dell’Onu cerca di sostenere interventi a tutela della bio e geo diversità dando un contributo tramite la sua rete delle Riserve della Biosfera e dei Geoparchi. Inoltre le iniziative del Patrimonio Mondiale e del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco, insieme con la Convenzione sulla Diversità delle Espressioni Culturali, possono favorire la difesa e la valorizzazione della diversità culturale in un mondo caratterizzato sempre più da società pluriculturali a seguito dell’incremento dei fenomeni migratori. Del valore della cultura abbiamo parlato con Enrica Tedeschi, già docente di Storia delle relazioni culturali all’Università Roma Tre:

La studiosa Tedeschi focalizza l’importanza di comprendere cosa significhi cultura: non è solo nozioni o scolarizzazione, ma rappresenta una ricchezza della dimensione umana che – afferma – si avverte fino a livello fisico oltre mentale e psichico. Cultura è – suggerisce – anche la conservazione del valore di un odore o di un sapore che riportano al vissuto di una comunità, di un popolo. E dunque Tedeschi accenna alle sfide del dialogo interculturale sottolineando che l’umanità si misura con vari modelli ma che tutto fa parte di processi complessi e anche di mix di “formule”. Ma soprattutto si sofferma su un punto cruciale: si può dialogare se si è chiara la propria identità e quella dell’altro. E’ ingannevole – ricorda – l’illusione che possa aiutare una sorta di neutralizzazione o diluizione delle identità. Inoltre oggi – raccomanda – è fondamentale difendere il patrimonio di memoria, di cultura di un popolo, ad esempio il patrimonio artistico– spiega – attiene molto alla fondamentale dimensione spirituale. Tedeschi ricorda la brutalità con cui alcuni estremismi cercano la distruzione del patrimonio culturale, di beni artistici proprio per distruggere la memoria. Ma ricorda anche come alcune logiche di consumismo presentino il forte rischio di svilire lo spessore culturale, la dimensione umana che va ben oltre il prezzo delle cose.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-11/unesco-onu-educazione-guerra-intelligenza-artificiale.html

Dal G20 a Cop 26: l’obiettivo di intese globali

Dal vertice a Roma alla conferenza a Glasgow, un continuum di confronto sulle emergenze ambientali. la sfida non consiste solo nel raggiungere accordi per contrastare il surriscaldamento globale, ma nel ritrovare un nuovo equilibrio di collaborazione a livello internazionale, come spiega il diplomatico Guido Lenzi. Inoltre non possono esserci accordi di sostenibilità senza impegni a favore di chi pagherà di più la fase di transizione, come raccomanda l’esperta dell’Ifad Romina Cavatassi

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Dopo il G20 di Roma,  l’attenzione mediatica mondiale si è spostata a Glasgow, in Scozia, per la 26esima Conferenza delle Parti della Convenzione quadro sul cambiamento climatico voluta dall’Onu (COP 26). A confrontarsi dal 31 ottobre al 12 novembre saranno leader di 197 nazioni. Ad essi si uniranno decine di migliaia di negoziatori, rappresentanti di governo, imprese e cittadini. Si tratta di un continuum di confronto tra volontà politiche su tematiche interconnesse, come emergenze climatiche, migrazioni, povertà, crisi sanitaria. L’obiettivo va ben oltre le misure di contenimento dei rischi, come sottolinea il diplomatico Guido Lenzi, docente all’Università di Bologna, già ambasciatore e Direttore dell’Istituto di Studi Europeo per la Sicurezza, a Parigi:

La sfida – chiarisce Lenzi – non consiste solo nel raggiungere accordi per contrastare il surriscaldamento globale, ma nel ritrovare, dopo gli scossoni della globalizzazione e della pandemia, un nuovo equilibrio di collaborazione a livello internazionale. Lenzi spiega che, in sostanza, dopo la guerra fredda e la globalizzazione si deve recuperare la prospettiva che aveva portato in precedenza a concepire le Nazioni Unite. Secondo il diplomatico, le vicende degli ultimi anni hanno rimesso in discussione il presupposto di un consesso internazionale all’interno del quale far sviluppare confronti e accordi che permettessero di superare le logiche di equilibri di potenza. Ricorda che si sente parlare di fallimento o di riforma dell’Onu, sottolineando che in realtà si deve puntare l’attenzione sulla volontà politica dei vari Paesi di far funzionare il meccanismo delle Nazioni Unite, perché  – aggiunge – bisogna recuperare il presupposto di base: trovare accordi e modalità di collaborazione seppure nel rispetto delle peculiarità di ogni Paese. Per questo a suo avviso è significativo assistere a una sorta di flusso ideale che dal G20 porta a Cop26. Ma deve essere chiaro e condiviso da tutti i leader mondiali l’obiettivo di cooperare per trovare soluzioni comuni.

In ogni caso, non possono esserci impegni di sostenibilità ambientale, come i tagli previsti alle emissioni, senza piani per il periodo cruciale di transizione, da elaborare pensando in particolare alle fasce più deboli, come raccomanda l’esperta di risorse naturali  dell’Ifad Romina Cavatassi:

La ricercatrice innanzitutto mette in luce la complessità di problematiche, sottolineando che non può esserci sostenibilità ambientale senza sostenibilità sociale. E poi invita ad una riflessione su due binari: il primo riguarda le misure di “contenimento” da prendere, come ad esempio quelle per diminuire le emissioni di carbonio. Cavatassi sottolinea che sono doverose e importanti e che bisogna trovare accordi che le assicurino. Il secondo binario di riflessione, però, non può mancare: è quello delle misure che definisce di “adattamento”, cioè in grado di sostenere aree geografiche, popoli, fasce di popolazioni che sono destinate a pagare i prezzi più alti del passaggio da vecchie e nuove produzioni, tra vecchie e nuove concezioni di sviluppo. Non si può dimenticare – raccomanda – di assumere impegni precisi per far sì che la fase di transizione non stritoli i più deboli. Fino ad oggi – ricorda – la maggior parte di investimenti stanziati è diretta alle misure di contenimento, mentre troppo poco è pensato per accompagnare i coltivatori di Paesi africani, ad esempio, nel passaggio a tipi di colture che consumano meno acqua o a risorse energetiche rinnovabili. Si tratta di tutte misure doverose nella inevitabile lunga fase di transizione.

Le sfide nel concreto

Secondo rapporti delle Nazioni Unite, se anche gli accordi presi finora venissero rispettati, non basterebbero ad invertire la rotta: entro il 2100 il mondo sarebbe comunque più caldo di 2,7 °C rispetto ai livelli preindustriali. Un aumento ben superiore all’obiettivo di 2°C degli Accordi di Parigi del 2015. In un pianeta più caldo di 2 gradi le ondate di calore, considerate finora eccezionali, diventerebbero fino a 14 volte più probabili ogni anno, raddoppiando gli eventi di siccità o le alluvioni. “Siamo sulla buona strada per la catastrofe climatica” ha detto senza mezzi termini il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres. “Gli scienziati sono chiari sui fatti. Ora i leader devono essere altrettanto chiari nelle loro azioni, devono venire a Glasgow con piani audaci, vincolanti nel tempo per raggiungere lo zero netto”, ha dichiarato.

La temperatura del pianeta già oltre gli 1,2°C rispetto ai livelli pre-industriali e l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale entro 1,5°C fallirà già nel 2040 se non si procederà immediatamente a tagli massicci delle emissioni di gas serra: almeno il 50 per cento del totale entro il 2030. La sfida di Glasgow, dunque, è innanzitutto quella di fissare obiettivi più ambiziosi per ridurre le emissioni entro i prossimi dieci anni, considerati ‘cruciali’ per il futuro del pianeta.

La questione combustibili fossili

Il settore dell’approvvigionamento energetico, ancora fortemente dipendente dai combustibili fossili e responsabile per circa il 75 per cento delle emissioni dirette di CO2, è in assoluto il più inquinante a livello globale. Questo spiega perché i Paesi più industrializzati sono anche quelli che inquinano di più e perché è a loro che l’Onu chiede di intensificare gli sforzi economici: eliminando i sussidi alle fonti fossili, ma anche sostenendo i Paesi più vulnerabili. L’eliminazione graduale dei combustibili fossili dovrebbe essere realizzata però attraverso una transizione equa. Ciò significa porre fine al sostegno pubblico per i progetti sui combustibili fossili, in via prioritaria il carbone, il più inquinante, che dovrebbe essere eliminato il più rapidamente possibile, tutelando al tempo stesso le popolazioni e le comunità più colpite. Dei 100 miliardi di dollari l’anno promessi per sostenere i Paesi in via di sviluppo – che inquinano meno ma devono adattarsi ad un modello di crescita sostenibile – ne sono arrivati solo 80, di cui 60 sotto forma di prestiti.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-10/vertice-g-20-conferenza-onu-clima-leader-mondiali.html

Golpe a Khartoum

In Sudan forze militari hanno arrestato i membri civili del Consiglio sovrano. Si rischia seriamente la fine della transizione democratica con l’esclusione dalla scena politica dell’Associazione dei professionisti, il principale gruppo politico pro-democrazia che due anni fa aveva guidato le proteste contro il trentennale regime di Bashir, come spiega Bruna Sironi

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il primo ministro sudanese, Abdallah Hamdok, è stato arrestato  da  non meglio identificate forze militari, così come diversi esponenti civili, tra cui i ministri che facevano parte del Consiglio sovrano. Proprio questo organismo “misto”, che finora è stato guidato dal generale Abdel Fattah al-Burhane, in base alla nuova Costituzione avrebbe dovuto lasciare il posto a un rappresentante civile. Dei gravi fatti di queste ore in Sudan, dopo la fine del regime trentennale di Bashir e due anni di speranze e contrasti, abbiamo parlato con Bruna Sironi, corrispondente da Nairobi per la rivista dei Comboniani “Nigrizia”:

Sironi conferma che da Khartoum si riferisce di “restrizioni nell’accesso alle telecomunicazioni”, il che rende difficile avere notizie su quanto sta accadendo. Sembra accertata l’interruzione di Internet e confermata la chiusura dell’aeroporto principale del Paese. Inoltre fonti del ministero dell’Informazione hanno riferito via facebook dell’irruzione di forze militari nella sede della radio e della tv e di alcuni dipendenti portati via dai soldati. Si sa che il ministro dell’Industria è stato arrestato dopo aver postato sui social la notizia di una presenza militare davanti alla sua abitazione. Sironi cita l’Associazione dei professionisti del Sudan, il principale gruppo politico pro-democrazia del Paese, sottolineando che l’Associazione stessa ha denunciato il colpo di Stato in atto ed ha invitato la popolazione a scendere in piazza per protesta. Nelle strade però – spiega – sono scesi reparti dell’esercito per bloccare sul nascere ogni manifestazione e le grandi arterie verso la capitale sono chiuse.

La speranza nel processo costituzionale

Sironi ricorda che nelle prossime settimane il Consiglio sarebbe dovuto passare sotto il controllo più diretto dei civili, in un processo costituzionale di transizione che dalla “rivolta del pane” del 2019 doveva condurre verso nuove elezioni democratiche previste per il 2023. E’ un duro colpo per il Paese di oltre 40 milioni di abitanti, il terzo più vasto dell’Africa, considerato cerniera cruciale con il mondo arabo a Est e con i Paesi del Sahel sempre alle prese con le fiammate jihadiste.

L’aspetto economico e l’ombra del terrorismo

E’ chiaro – nelle parole di Sironi – il riferimento alla situazione economica: i capi militari accusano i civili di non essere in grado di contrastare le crescenti difficoltà economiche in cui versa il Paese. Le difficoltà vengono anche accentuate dai blocchi sui trasporti in particolare nell’est del Paese. Sono blocchi di varia natura, tra scioperi e interdizioni, ma, comunque, vanno a incidere sui commerci di petrolio e di grano, di cui il Paese ha bisogno. E nelle ultime settimane si sono alternate nelle piazze della capitale Khartoum manifestazioni pro-democrazia e assembramenti di gruppi inneggianti a un nuovo golpe militare. Inoltre, Sironi richiama l’attenzione al tentativo di golpe di fine settembre, che era stato attribuito a nostalgici del dittatore Omar al-Bashir, deposto nel 2019, e che – spiega – ha messo in ogni caso in luce un elemento che può essere preoccupante: la presenza di una cellula con base logistica e armi a Khartoum.

Le prime reazioni internazionali

Gli Stati Uniti sono stati i primi a esprimere preoccupazione per le notizie da Khartoum. Sono “fortemente allarmati” secondo i messaggi sui social network dell’inviato per il Corno d’Africa, Jeffrey Feltman, secondo cui questi annunci vanno “contro la dichiarazione costituzionale che deve regolare la transizione nel Paese e le aspirazioni democratiche del popolo sudanese”.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-10/sudan-militari-governo-civile-transizione-democratica-africa.html

Dal vertice Ue buoni propositi contro i rincari energetici

I capi di Stato e di governo dell’Ue hanno approvato una serie di raccomandazioni per evitare che i rincari delle risorse energetiche ricadano sulle bollette dei consumatori. Spetta a ogni Stato membro considerarle. L’economista Marzio Galeotti sottolinea l’importanza di una roadmap di emergenza che però non impatti negativamente sulla svolta green e l’analista di Studi strategici Germano Dottori avverte che le dinamiche di mercato sono difficili da invertire in tempi brevi

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Gli Stati membri e la Commissione sono invitati a seguire alcune indicazioni per “alleviare nel breve termine l’impatto dei rincari sui consumatori più vulnerabili e per sostenere le imprese europee, tenendo conto della diversità e specificità di ciascuna situazione nazionale”. E’ quanto si legge nelle conclusioni approvate dai capi di Stato e di governo al Consiglio europeo, che si conclude oggi, sul tema della risposta da dare ai rincari dei prezzi dell’energia.

Le misure possibili

Il Consiglio europeo considera come “misure utili” quelle che la Commissione ha proposto con il suo “toolbox”, ovvero la lista di provvedimenti che possono essere presi dagli Stati membri nel breve termine, per mitigare gli effetti dei rincari su imprese e famiglie vulnerabili, e misure a livello europeo prospettate per il medio-lungo termine. La Commissione è invitata “a studiare il funzionamento dei mercati del gas e dell’elettricità, così come il mercato Ets (la borsa europea dei permessi di emissioni di CO2, ndr) con l’aiuto dell’Esma”, l’Autorità europea per i mercati e i prodotti finanziari. In seguito, la Commissione “valuterà se il comportamento di alcuni operatori di mercato richieda un’ulteriore azione regolatoria”. Questo punto risponde, in particolare, alle preoccupazioni di alcuni Stati membri secondo cui l’impennata dei prezzi potrebbe essere causata da speculazioni degli operatori di mercato.

Marzio Galeotti, docente della Luiss, economista esperto di questioni ambientali e energetiche, a Vatican News fa una valutazione delle misure prese in considerazione.

Tutte le misure di emergenza possono avere effetti positivi nell’immediato ma poi devono essere valutate alla lunga, spiega Galeotti, sottolineando che sempre le misure di prima risposta non vanno bene in una seconda fase dei processi. Cita il testo proposto dalla Commissione per evitare che i cittadini paghino costi eccessivi, ricordando che l’impennata dei prezzi dell’energia cui stiamo assistendo richiede una risposta rapida e coordinata e sottolienando che il quadro giuridico vigente permette all’Ue e agli Stati membri di intervenire per porre rimedio all’impatto immediato sui consumatori e sulle imprese.  Galeotti ribadisce, così come si legge nel testo della Commissione, che la priorità va accordata a misure mirate, in grado di attenuare rapidamente l’effetto degli aumenti sui consumatori vulnerabili e sulle piccole imprese. In concreto, tra le misure immediate Galeotti cita le più importanti:  offrire un sostegno di emergenza al reddito dei consumatori in condizioni di povertà energetica, ad esempio attraverso buoni o pagamenti parziali delle bollette, che possono essere finanziati con i proventi del sistema Ue di scambio di quote di emissioni; autorizzare proroghe temporanee per il pagamento delle bollette; predisporre misure di salvaguardia per evitare la sconnessione delle utenze dalla rete; introdurre temporaneamente riduzioni mirate dell’aliquota d’imposta per le famiglie vulnerabili; fornire aiuti alle imprese e alle industrie, in linea con le norme Ue sugli aiuti di Stato; indagare su potenziali comportamenti anticoncorrenziali nel mercato dell’energia; agevolare l’accesso ad accordi di compravendita di energia elettrica da fonti rinnovabili e predisporre misure di accompagnamento.

Misure di emergenza e prospettive sostenibili

Queste misure – sottolinea Galeotti – devono poter essere ricalibrate con facilità in primavera, quando si prevede che la situazione si stabilizzi, e non devono ostacolare la transizione a lungo termine e gli investimenti in fonti di energia più pulite. Dunque, dopo aver ribadito la necessità di misure di emergenza che possano evitare costi eccessivi per i cittadini e dunque contrastare anche la ripresa, Galeotti però ricorda che deve trattarsi di misure temporanee che devono poi tornare a lasciare il passo alla tendenza a superare la carbonizzazione e a puntare sulle energie rinnovabili. Altrimenti si rischia che il risultato finale sia un freno alle importanti svolte in campo di energia e sostenibilità che siamo chiamati a fare per tutelare il pianeta.

Dietro le dinamiche del mercato

Secondo quanto sottoscritto al Consiglio europeo, che si conclude oggi, la Commissione e il Consiglio Ue sono sollecitati “a considerare misure di medio e lungo termine che contribuirebbero a determinare un prezzo accessibile dell’energia per le famiglie e le imprese, che aumenti la resilienza del sistema energetico dell’Ue e del suo mercato interno dell’energia, che fornisca sicurezza degli approvvigionamenti e sostenga la transizione verso la neutralità climatica”, e questo sempre “tenendo conto della diversità e specificità della situazione in ciascuno Stato membro”.

Germano Dottori, docente di Studi strategici alla Luiss spiega a Vatican News quali siano le dinamiche di mercato da valutare.

La principale motivazione dei rincari, spiega Dottori, è l’aumento delle quotazioni delle materie prime energetiche e soprattutto del gas naturale per cui l’Europa dipende dall’estero. La crescita economica globale – spiega – ha spinto la domanda di energia, mentre la produzione e il trasporto faticano a stare dietro i nuovi ordini europei. Si tratta – sottolinea Dottori – di un meccanismo di mercato già noto e che mai in precedenza ha visto invertire la rotta in tempi brevi. Si tratta di una sorta di onda lunga in concomitanza con la ripresa economica dopo il forte stop durante il periodo acuto di pandemia. Le raccomandazioni emerse dal Consiglio europeo, secondo Dottori, confermano che nessuno dei leader europei ha intenzione di frenare la ripresa appesantendo troppo i costi e dunque minando la ripresa dei consumi.

In secondo luogo, secondo gli esperti contribuiscono al rincaro anche gli alti prezzi dei permessi di emissione di CO2. L’assolvimento degli obblighi del mercato Ets delle quote dei gas inquinanti è un elemento di costo nei mercati energetici, che influisce sui prezzi all’ingrosso e, quindi, su quelli finali: le aziende che producono anidride carbonica devono pagare per questo, comprando quote di emissioni nel sistema europeo Ets. Il prezzo di queste quote viene aumentato gradualmente, per spingere le aziende a decarbonizzare. L’aumento fa sì che i consumatori del carbone si spostino verso il gas, e quindi delle tariffe in bolletta. Inoltre, la maggior parte delle centrali in cui si produce corrente sono centrali termoelettriche. Vuol dire che per produrre energia elettrica si brucia soprattutto gas. Per questo ad aumentare sono anche i costi nella bolletta della luce.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-10/consiglio-europeo-costi-energia-prezzi-cittadini-consumatori.html

Le questioni giuridiche sullo sfondo del vertice Ue dedicato a Covid e prezzi energetici

“Dobbiamo trovare modi e possibilità per raggiungere un terreno comune”. E’ l’auspicio espresso da Angela Merkel al suo ultimo vertice da cancelliera in cui pesa, tra gli altri temi, il dibattito sul diritto comunitario sollevato dalla Polonia. La questione va affrontata in un quadro giuridico ampio e possibilmente non politicizzato, sottolinea Francesco Tufarelli, mentre Fulco Lanchester ricorda i limiti dei Trattati europei rispetto alla mancata Costituzione

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Sono tanti gli argomenti al centro della riunione del Consiglio europeo ieri e oggi a Bruxelles. E’ l’ultimo vertice cui partecipa  Angela Merkel come cancelliera della Germania, il 107esimo della sua carriera. All’ordine del giorno compaiono tutti temi per i quali si cercano strategie comuni o maggiore coordinamento: pandemia, crisi dei prezzi energetici, dossier migranti,  commercio e transizione digitale. E c’è poi il dibattito aperto in tema di diritto comunitario.

Sullo sfondo del vertice il caso Polonia

I media presentano un’Unione europea spaccata sulla vicenda che riguarda la Polonia, cioè i vari ricorsi presentati dal 2018 dalla Commissione europea alla Corte Ue a proposito della riforma della magistratura decisa da Varsavia. L’ultimo, presentato nella scorsa primavera, è nei confronti della Corte costituzionale di Varsavia, che, dopo aver confermato in questi anni la legittimità delle misure del governo nell’ambito della giustizia e della magistratura, a inizio ottobre ha decretato che alcuni articoli dei Trattati europei sono “incompatibili” con la Costituzione dello Stato polacco, aggiungendo che le istituzioni comunitarie “agiscono oltre l’ambito delle loro competenze”. Ieri, mentre si riuniva il Consiglio dei capi di Stato e di governo, l’Europarlamento in seduta plenaria ha approvato con 502 voti favorevoli, 153 contrari e 16 astensioni, una risoluzione in cui si “deplora profondamente” il pronunciamento della Corte costituzionale polacca del 7 ottobre 2021, “in quanto attacco alla comunità europea di valori e leggi nel suo complesso”, e si afferma che il Tribunale è stato trasformato “in uno strumento per legalizzare le attività illegali delle autorità”.  Mercoledì scorso, di fronte agli eurodeputati sono intervenuti la  presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro di Varsavia, Mateusz Morawiecki. La presidente della Commissione europea ha sottolineato che in discussione c’è il primato del diritto comunitario, ma che in ballo c’è lo stato di diritto. Secondo la von der Leyen, si intravede una sfida diretta all’unità dell’ordinamento giuridico e ad un “pilastro essenziale” dell’Ue, che “mette a rischio la democrazia europea”. Di ricatto e di sovranità rivendicata ha parlato Morawiecki.

L’appello all’unità

“Una valanga di cause legali alla Corte di giustizia europea non è la soluzione al problema dello stato di diritto” nell’Unione europea. E’ quanto ha dichiarato la cancelliera tedesca, Angela Merkel, riferendosi al confronto in atto tra Bruxelles e la Polonia prima dell’inizio del vertice dei leader Ue a Bruxelles. La questione – ha osservato Merkel – è “come i singoli Stati membri immaginano che sia l’Unione europea, un’Unione sempre più integrata” oppure fatta da “più Stati nazionali”, e “questo non è certamente solo un problema tra la Polonia e la Ue”. Secondo la cancelliera, la Conferenza sul futuro dell’Europa è “un buon luogo” per discuterne. Si tratta della piattaforma di confronto anche con i cittadini che sarebbe dovuta iniziare il 9 maggio 2020, ma che, a causa della pandemia di COVID-19, ha preso il via il 9 maggio 2021,  71 anni dopo la dichiarazione di Schuman.

Le questioni giuridiche

Di punti nevralgici delicati di una costruzione europea sempre in fieri, che toccano la questione della Polonia e non solo, abbiamo parlato con Francesco Tufarelli, docente di Scienza dell’Amministrazione all’Università Guglielmo Marconi e presidente del network di studi Europolitica:

La prima “debolezza” – spiega Tufarelli – è che il diritto europeo non copre tutto lo scibile dei Paesi e questo accade perché in Europa al momento di unirsi i Paesi avevano già una significativa storia moderna alle spalle e forti Costituzioni nazionali. Non si può parlare di federazione, come nel caso degli Stati Uniti, per vari motivi e essenzialmente anche proprio perché gli Stati Uniti nascono in sostanza nel momento in cui si fondono realtà recenti e non organizzate come invece gli Stati europei. E’ una caratteristica che presenta debolezze, ma è anche la ricchezza dell’Ue che ha al suo interno Paesi che non hanno scelto la federazione, ma un’unione nella diversità. Si tratta di accordi tra Paesi che hanno ognuno una legislazione con una storia importante che nessuno ha voluto o vuole cancellare. Non può che trattarsi, dunque, di un lento processo di confronto e armonizzazione del diritto in una situazione in cui pesa il fatto che da una parte ci sono Costituzioni nazionali e dall’altra Trattati. E Tufarelli ricorda altri casi di confronto, per esempio quello con la Corte costituzionale tedesca anni fa. Il rischio – mette in luce lo studioso – è che il dibattito, che deve essere portato avanti sul piano giuridico più proprio, balzi alle cronache come caso politicizzato, e dunque esasperato nei toni e nelle possibili conseguenze. In ogni caso, la problematica esiste – ammette Tufarelli – e va affrontata cercando di costruire piani di incontro oltre che di confronto e ricordando che la costruzione europea non può essere un percorso continuo solo sul piano economico, ma appunto deve esserlo anche sul piano giuridico, affrontando – afferma – materia per materia, come alcune questioni legate allo stato di diritto. Anche se – ribadisce Tufarelli – i valori fondanti sono chiari, come quelli democratici, rimangono spazi di interpretazione da affrontare.

Una questione che affonda le radici nella mancata adozione di una Costituzione europea sostituita piuttosto da Trattati, come sottolinea il costituzionalista Fulco Lanchester:

Il costituzionalista spiega che agli inizi del 2000 ci si è fermati a un trattato rinunciando alla Costituzione, che avrebbe significato superare l’elemento del diritto internazionale pubblico, cioè avrebbe comportato quel salto di qualità in grado di regolare davvero i rapporti tra  sovranità nazionali e struttura comunitaria,  tra centro e periferia. Secondo Lanchester sarebbe il momento di porsi l’obiettivo di questo salto di qualità, importante per evitare altre discussioni e altre eventuali ipotesi di uscita di altri Stati membri, come quella avvenuta con la Brexit.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-10/unione-europea-polonia-trattati-costituzione-democrazia-vertice.html